
A fine Ottocento la comunità di Newport, cittadina del Galles sulle rive dell’Usk, si lascia coinvolgere nel sogno di uno dei suoi figli più illustri nella costruzione del primo nastro trasportatore che colleghi i due lembi di terra separati dal fiume.
È un racconto lieve, in cui l’autore sembra prender per mano il lettore per accompagnarlo tra le campagne del Galles a far conoscere i paesaggi, i colori, i profumi, i personaggi con le loro storie. Si ha la sensazione che l’autore lo conduca nelle loro case, per renderlo partecipe dei loro pensieri più intimi, dei loro affanni e dei loro sogni. Tutti hanno una propria storia, fatta di attese, di desideri che negli anni si trasformano in paure di “ritorni”, di amori “negati”, una vita diversa dall’altra, un vissuto a volte anche duro e pesante: eppure tutte le vite sono narrate con delicatezza, quasi non si sente il “peso” di alcune vite che pure c’è. Tante singole storie e vite che tutte insieme danno corpo ad una comunità indivisa e coesa, quella stessa comunità capace di andare incontro al progresso, di accelerarlo e allo stesso tempo di frenarlo se esso si scontra con i principi che la anima.
Così se da una parte c’è la pragmaticità di Geremia Scottfish, il guardiano del faro, che spiega al figlio, che “la linea dell’orizzonte era stata tirata dritta per far capire all’uomo che i limiti degli oceani sono rigidi come quelli della vita”, dall’altra c’è George Stanton, l’imprenditore, il “folle”, l’ideatore di tutto, quello che insegue il sogno per il padre, tanto da svelare a Hewitt, il suo stretto collaboratore, “volevo farlo volare sul fiume… portarlo sull’altra sponda, dove mia madre lo aveva amato insieme alle sue rose…” e tra di loro un ponte.
Anna L'Assainato
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