giovedì 21 aprile 2011

Invisibili. Vivere e morire all’Ilva di Taranto

Giuse Alemanno
Scheda di Anna L'Assainato

Fulvio Colucci
Gli invisibili sono gli operai dell’Ilva di Taranto e tutti gli operai a cui questo opera cerca di dar corpo e cittadinanza. Non é un romanzo:è un reportage giornalistico, è testimonianza ma allo stesso tempo è letteratura. Colucci redattore della Gazzetta del Mezzogiorno, da voce ai racconti dei protagonisti, gli operai dell’Ilva appunto, mentre Alemanno oltre ad esser uno scrittore è anche un operaio ilva per cui racconta le storie in prima persona e nei suoi racconti le anime dello scrittore e dell’operaio si fondono e si confondono.
 Quelli di Colucci e Alemanno sono per lo più articoli, narrazioni, reportage (apparsi sulla «Gazzetta del Mezzogiorno» e sulla «Voce del Popolo») qui raccolti in forma unitaria, sino a comporre un viaggio che conduce dal passato al presente dell’acciaieria e dall’esterno della sua struttura al cuore degli operai. Colucci racconta la solitudine degli operai dell’ilva, il distacco tra la fabbrica e la città, gli operai sono invisibili a Taranto, ma sono invisibili anche al resto del paese: 6700 cassaintergrati nel 2009 eppure nessuno ne parla. Gli operai diventano “visibili” solo quando sono vittime di incidenti mortali: “visibili” solo ai politici che si presentano in giacca e cravatta ai funerali, “visibili” per le poche ore dell’ultimo saluto per ricadere subito nel limbo dei dimenticati, son “visibili” solo in quanto “morti bianche”, ma come si chiede il padre di un ragazzo vittima di un incidente: “come si fa ad associare la parola bianca alla morte?”
Un altro elemento che colpisce dal reportage di Colucci è il silenzio: i giovani operai dell’Ilva non raccontano nulla  alle loro famiglie, la memoria è prerogativa degli anziani che raccontano ai nipoti: mi viene in mente una analogia, probabilmente dura: i sopravvissuti dei campi di sterminio nazisti hanno avuto lo stesso comportamento: hanno “recuperato” la memoria solo attraverso i nipoti, hanno avuto bisogno di una generazione per elaborare il dolore e il lutto.
L’Ilva è una fabbrica fatta di lavoratori, oggi gli operai sono ragazzi allo sbaraglio, privi della coscienza di classe e di veri ideali; ambiscono a una macchina di grossa cilindrata, mentre una volta erano lavoratori che, non appena terminava il turno all’ex Italsider, portavano avanti le attività ereditate dai padri, ed erano dunque metalmezzadri (felice neologismo di Walter Tobagi) o operai pescatori; uomini abituati a scaricare le tensioni a contatto con l’ambiente, abituati alla paziente attesa delle diverse stagioni dell’anno, ciascuna con incombenze specifiche; uomini che nel sindacato vedevano un’espressione concreta delle proprie esigenze, della tutela dei propri diritti.
Autori: Fulvio Colucci e Giuse Alemanno

Editore: Kurumuny

Giuse Alemanno, scrittore, ha vinto numerosi premi letterari, è stato vicedirettore de «La Voce del Popolo», lavora all’Ilva di Taranto dal 2001.
Fulvio Colucci, giornalista, lavora nella redazione tarantina de «La Gazzetta del Mezzogiorno». Nel 1995 ha vinto il premio “Ilaria Alpi”.



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