di Alfonso Casale

Mio
padre era orgoglioso di esibire i “cordoni d’onore” ricevuti dal Generale
Graziani per aver fatto parte delle truppe che avevano catturato il “ribelle”
Omar al Mukhtar. Nel suo
medagliere faceva spicco una
medaglia con la scritta “teneo te Cirenaica” celebrativa della definitiva
vittoria sul nemico.
Egli
era fiero di aver servito la Patria, di aver portato la “civiltà” sull’altra
sponda. I miei nonni raccontavano
di come avevano piantato agrumi e viti nelle terre a loro assegnate dal fascismo nel villaggio Garibaldi in
Tripolitania.
Tutti
erano sinceramente convinti di aver compiuto un sacro dovere.
Io
però, venticinquenne, con il vento del ’68, incominciai ad avere un
atteggiamento critico sulla storia coloniale italiana. Mi fu risposto che non
potevo giudicare il passato con i principi morali del presente... i miei
interrogativi sono ancora senza risposta.
Quando
il 9 giugno del 2009 il colonnello Gheddafi apparve in cima alla scaletta
dell’aereo che era atterrato a Ciampino, portava vistosamente appesa sul petto una foto a me già nota: un
vecchio di piccola statura in catene, lunga barba bianca e barracano bianco, circondato da militari e funzionari impettiti. La foto risaliva all'11 settembre 1931.
Cinque
giorni dopo, alle 9 del mattino, nel campo di concentramento di Soluch a 56
kilometri a sud di Bengasi, in Cirenaica, di fronte a ventimila libici deportati dai lager circostanti e
difronte ai notabili confinati a Benina, fu impiccato con un ostentato rituale – come un
delinquente comune - il settantenne Omar Al-Mukhtar che per otto anni aveva
tenuto in scacco le soverchianti truppe coloniali italiane
il Libia. La sua richiesta di essere fucilato fu ignorata. La sua esecuzione spettacolare e Il suo corpo, penzolante dalla forca,
rispose a precisi obiettivi del
regime fascista. La scenografia enfatizzava efficacemente gli intenti
intimidatori, ostentava la potenza dell’invasore e dimostrava la capacità di
annientare la resistenza.
Era
necessario alimentare il terrore nella popolazione e lanciare un monito forte.
( Questo metodo fu sempre un chiaro
orientamento del fascismo che
adottò ferocemente questa politica
- con Graziani “ il
macellaio”- anche in Etiopia. Nel corno d’Africa ci fu l’apoteosi nell’utilizzo
del corpo del nemico ucciso.)
Badoglio,
governatore della Libia, subito dopo la cattura dell’eroe, con un processo che fu una tragica farsa, che soddisfece l’esigenza di un rituale, che
serviva a rendere legale un assassinio, in dispregio di tutte le convenzioni
internazionali, ne decise la condanna a morte raccomandando che fosse eseguita “in uno dei grandi concentramenti
di popolazione indigena”; L’impiccagione soddisfece la “necessità dello spettacolo” che serviva a dare forza ed efficacia al messaggio da
comunicare.
La efferatezza di Badoglio e il suo disprezzo del nemico già si manifestava
nella lettera scritta a Graziani (20/6/1930) “ormai la via ci è stata tracciata
e noi dobbiamo perseguirla fino alla fine anche se dovesse perire tutta la
popolazione della Cirenaica”
Contemporaneamente, da Roma, il sottosegretario alle colonie De Bono richiese “l’esecuzione clamorosa” del prigioniero
Come
riconosciuto dallo stesso Badoglio, Omar, con la sua autorità ed il suo
prestigio assoluto, rappresentava “l’anima della ribellione “per questo
l’impiccagione pubblica ,con la conseguente esposizione del corpo sulla forca, serviva a scrivere la parola fine alle
operazioni di “polizia coloniale”, mentre il metodo di esecuzione prescelto stigmatizzava il nemico come fuorilegge,
come delinquente comune.
Graziani
così lo descriveva : "...Omar al Mukhtar era dotato di un’intelligenza pronta e
vivace; era colto in materia religiosa, palesava carattere irruento ed energico
, disinteressato ed intransigente; infine era rimasto molto religioso e povero,
sebbene fosse stato uno dei personaggi più rilevanti della Senussia”
La
resistenza anticoloniale contro gli italiani non era stata piegata nemmeno dalla deportazione di 100.000
libici (su una popolazione di 700.000 abitanti) fra i quali ci furono 60.000
morti.. Gli italiani impiegarono armi chimiche (fosgene e iprite), impiegarono bombardamenti
sulle oasi,costruirono una barriera di 700 chilometri di filo spinato, distrussero
sistematicamente le greggi di ovini e le mandrie di cammelli, avvelenarono
pozzi di acqua e devastarono le coltivazioni per fare terra bruciata intorno ai
guerriglieri, confiscarono case e 70.000 ettari della migliore terra.
In
occasione della rivolta di Tripoli, dopo la conquista, vi furono ovunque scene di fucilazioni di
massa,razzie nelle abitazioni, stupri, incendi di villaggi, rastrellamenti ed
uccisioni indiscriminate. Come in tutte le "small wars" del tempo, la soluzione
stava nell’attaccare la popolazione stessa. La gente doveva imparare ad avere
paura.
Il corpo di
Omar, appeso alla forca raggiunse lo scopo, spense definitivamente la resistenza libica Esso rispose a una chiara logica di strategia “ammonitiva”. Ciò fu il
coronamento della sistematica
politica di terrore e “dello sterminio dei ribelli e delle popolazioni
complici” perché “senza la legge del taglione al decuplo non si sana la piaga
in tempo utile” (Mussolini)
L’impiccagione
spettacolare restituì prestigio e
diede “soddisfazione” alle truppe coloniali, umiliate e frustrate da una guerra asimmetrica inaspettatamente lunga e
sanguinosa, nonostante l’ammontare
delle risorse impiegate.( 20.000 uomini dotati dei mezzi più moderni ed
efficienti, con l’appoggio dell’aviazione contro appena 2-3000 beduini a cavallo.)
Le
truppe coloniali italiane dovevano
poter poi affrontare la successiva campagna di Etiopia con entusiasmo ed ardore.
Le
foto del prigioniero e dell’impiccagione furono rese pubbliche ed utilizzate ai
fini della propaganda. (Oggi però mostrano
la vera faccia del colonialismo italiano in Libia.)
Le immagini riproposte di Omar Al Mukhtar richiamano alla mente
una triste vicenda – del
tutto ignorata o rimossa da noi italiani – spesso portati ad illuderci di essere
un popolo di “buon cuore”.
La
sorte dell’eroe libico fu tale da disonorare i suoi vincitori e Gheddafi ha
voluto ricordarcelo.
Per
circa trenta anni, la censura in Italia ha impedito la proiezione del film “Il
Leone del deserto” perché ritenuto lesivo dell’onore dell’esercito italiano;
mantenendo un lungo ed incredibile ostracismo attraverso una subdola campagna
di mistificazione e disinformazione che tende a conservare della nostra recente
storia coloniale una visione romantica, mitica, radiosa. Cioè assolutamente
falsa.
Omar
mantenne la sua superiorità tattica grazie alla natura dei luoghi e alla
conoscenza posseduta del territorio che consentivano una superiore mobilità ai
cavalieri beduini, mentre i mezzi motorizzati erano inutilizzabili per il nemico.
L’esposizione
del corpo del nemico ucciso pose
fine alla guerra coloniale in Libia.
Il
nemico fu considerato “inferiore” anche con argomentazioni di tipo
ideologico, sociale, religioso, per cui ogni violenza eccessiva poteva considerarsi legittima.
Omar martire per la libertà è oggi venerato
come eroe nazionale e la sua effige è riprodotta sulle banconote da 10 dinari.
L’università di Tobruk porta il suo nome...
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