



Il libro "l'albero del mondo" realizzato dal Direttore di Rai Uno,
Mauro Mazza, è stato dettagliatamente presentato dallo scrittore
e autore carosinese Mino Rodia.
Carosino si candida a diventare la vetrina del panorama culturale
ionico aperto al mediterraneo, nelle prossime settimane si svolgeranno
altre iniziative.
Ecco la recensione di Cosimo
Rodia
L’albero
del Mondo di Mauro Mazza, Fazi editore, è un romanzo che ha come
macrocornice l’autunno del 1942, anno della guerra totale e di massima
espansione territoriale delle forze dell’Asse, come microcornice Weimar (famosa
città tedesca della Turingia, di Bach, Goethe, Schiller, sede della Bauhaus e
del Parlamento Costituente dell’omonima Repubblica), in cui il ministro della
propaganda Goebbels organizza (per la terza volta) un incontro dell’Unione
europea degli scrittori, per affermare l’egemonia culturale del terzo Reich.
La delegazione italiana è
formata (dopo la rinuncia di Papini, Bacchelli, Montale…), da giovani studiosi:
Cecchi, Baldini, Falqui, Pintor, Vittorini…
L’Autore si sofferma su Giaime
Pintor, Elio Vittorini e Joseph Goebbels, impastando i tre destini con fatti
storici, personali e di mera fantasia, in una narrazione ora sincronica ora
diacronica.
Tre personaggi con una medesima
koinè: ognuno esprime l’inizio della fine di qualcosa in cui ha fortemente
creduto; essendo stati tutti temprati e modellati da un’unica ideologia,
lasciano trasparire segnali di una tragedia incombente.
Il plot del libro è semplice.
Pintor è a Weimar con altri scrittori italiani; è raggiunto da Vittorini, con
cui ha una consonanza elettiva; dopo i lavori, partecipano alla chiusura
congressuale con l’intervento di
Goebbels; durante e dopo la kermesse aleggia nell’aria un’atmosfera di mestizia
perché tra le cose credute e la realtà effettuale si infiltra il dubbio; dubbio
che porterà i due studiosi italiani all’antifascismo e il Ministro al suicidio
perché l’adesione al Reich avrebbe comportato o «il trionfo o l’apocalisse» o «la
gloria o la tragedia».
A fianco ai quadri sinottici
che si susseguono, si sovrappongono dei flashback riguardanti amori tormentati
sia di Pintor sia di Vittorini; un intreccio, dalle atmosfere di giallo ad
enigma, legato alla scomparsa del fisico italiano Ettore Majorana; e un altro intreccio
dai toni gotico-splatter riguardante una visita di Goebbels al campo di
sterminio di Buchenwald, per punire un direttore e la moglie corrotti e troppo
sanguinari (sic!).
Nel romanzo spira un’aria di frenata
esaltazione, di scoramento nel cuore che traspare dagli occhi e dalle parole meno
cariche di verità degli attori.
Mazza non fa agiografia, perché
i protagonisti (principali e secondari) sono funzionali a rappresentare gli
avvenimenti funesti, conseguenti di scelte scellerate.
L’autore fa emergere attraverso
i pensieri e i dialoghi dei tre attori principali la dimensione tragica,
scaturita dall’adesione all’ideologia di morte. Sono personaggi alla deriva che
coincidono con la visione del “Tramonto dell’Occidente” (libro tradotto in
Italia da Evola); uomini formati alla corte di Spengler nel credere
nell’inverno della civiltà europea, nella sua decadenza ineluttabile, a meno
che uno Stato Totalitario non avesse recuperato i valori spirituali originali. È
l’humus culturale entro cui si muovono gli eroi del romanzo.
Così Mazza mette brillantemente
in luce le ragioni del consenso popolare al fascismo e al nazismo, attraverso
le parole di la Rochelle, un altro eroe tragico, «Hitler ancora adesso può contare sulla fedeltà del popolo tedesco
perché è l’immagine del suo destino, il riscatto dopo l’umiliazione dell’altra
guerra, lo spazio vitale per una nazione che si sente Europa essa stessa. Prima
di Hitler, soltanto Napoleone Bonaparte era stato così in simbiosi con il suo
popolo. Hitler e Napoleone sono la forma del desiderio, della fede e delle
frustrazioni degli uomini, che nel loro Capo vedono rispecchiarsi le speranze e
cancellare le disperazioni».
Il Capo dunque interpreta i
sogni individuali e gli individui compiono un trasfert sul Capo. Da qui il
consenso. Fascismo e Nazismo non sono dei nei della storia, ma momenti di un’esaltazione
di massa per un sogno, per un’idea che ha portato alla follia.
Cosa manca a questi personaggi
che vivono sotto un cielo annuvolato, in atmosfere autunnali? Manca di credere nell’uomo,
nella sua unicità e nella sua libertà; manca il richiamo alla sua responsabilità,
alla partecipazione e alla vigilanza, in una sola parola manca di credere nella
democrazia (contrario dell’abiura), la migliore forma di Stato possibile, come
ha scritto il beato Giovanni Paolo II, nell’enciclica Centesimus annus, perché può difendere la dignità della persona
integrale (Laborem exercens), può
promuovere la solidarietà e lo sviluppo solidale (Sollecitudo rei socialis). Antidoti, non sentimentali, per difendere
l’uomo dalle aberrazioni umane e della storia, ma questa è un’altra vicenda tutta
da scrivere e per scriverla bisognava cambiare coordinate e valori. E Mazza dà proprio
conto anche dello svegliarsi dal sonno dogmatico; con un sottile lavoro
psicologico, coglie e rappresenta queste prime avvisaglie. Un risveglio
accompagnato da dubbi, senza una roccia, una certezza; ma è tanto per proiettarsi
oltre; le parole di Pintor recitano: «Per
noi, amico mio, il fascismo è stato una religione, una mentalità, un orizzonte.
Ora tutto vacilla di fronte alla strage di vite, alla devastazione delle
coscienze. Non ho idea di cosa farò a partire da domani, caro Elio. Se c’è
qualcosa di diverso da guardare e inseguire con un po’ di speranza, dimmelo tu.
Dimmi se c’è qualcosa che io non riesco a vedere o a immaginare».
Un romanzo che si sarebbe
potuto titolare “La caduta della grande utopia” e che rappresenta un esempio di
letteratura che diventa vita nella misura in cui spinge la coscienza del
lettore a tenere alta la guardia e a non addormentarsi. La coscienza civile
anelastica impigrisce il soggetto e pietrifica la società rendendola vulnerabile.
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blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis