Nella letteratura del mondo classico, epica o drammatica, la
madre, anche se dea, vive in funzione del figlio, lo protegge come fa Teti con
Achille o, nell’Eneide, Venere con Enea; è disposta ad annullarsi del tutto per
lui e se il figlio muore, come accade alla madre di Eurialo, perde ogni ragione
di vita.
Virgilio, nelle Bucoliche, dà alla madre un ruolo di primaria
importanza nella vita dell’uomo che è esortato a sorridere a colei che tanto ha
sofferto per metterlo alla luce:
"Incipe, parve puer, risu cognoscere matrem,
matri longa decem tulerunt fastidia menses"...
"Comincia, o piccolo fanciullo, a riconoscere col sorriso
la madre:
alla madre nove mesi arrecarono lunghi travagli"...
Raramente nella letteratura classica troviamo madri feroci e
spietate: suscita scandalo , infatti, un personaggio trasgressivo come Medea
che, accecata dalla gelosia per la rivale e dal desiderio di vendetta nei
confronti di Giasone che l’ha tradita, arriva ad uccidere i figli avuti da lui. Per tutto il Medioevo e fino al Seicento la figura della
madre si confonde ed è rappresentata con l’immagine sacra della Madonna, madre
di tutte le madri.
Col passare dei secoli cambia la rappresentazione della
figura materna e cambia anche il rapporto tra l’autore e il soggetto: la madre
cantata diventa la dedicataria di una poesia da parte del figlio poeta
che si rivolge a lei per lo più in modo diretto. Nei momenti di sofferenza ella diventa un punto di
riferimento saldo, il “nido” a cui l’uomo aspira per ritrovare l’armonia e la
serenità.Diventa la depositaria dei valori familiari, il tramite di
vite lontane, l’unica certezza confortante che può vincere l’inquietudine
angosciosa.
"La madre or sol, s' io dì tardo traendo,
parla di me col tuo cenere muto"...(U. Foscolo- In morte del fratello Giovanni- vv 5-6)
Una poesia dedicata alla madre diventa il bilancio di una
vita, la messa a fuoco di un rapporto, della lontananza, del rimpianto, della
nostalgia, del rimorso. Tanti i poeti che hanno dedicato i loro versi alla madre:
"E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano"... Ungaretti,
La madre (1930) in Sentimento del tempo.
La madre che ci ha messo al mondo e aiutato in vita, diviene
l’ emblema di un amore che dura oltre la morte, una forza senza eguali, in
grado di sfidare la volontà superiore dell'Eterno affinché il figlio sia
perdonato e ammesso in Paradiso. Un rapporto quello con la madre che esclude qualsiasi altra
presenza . La madre è il passato da cui è difficile staccarsi. E’ colei che dà
coraggio e conforto nei momenti di pianto e dolore. E il Poeta scrive alla Madre in un immaginario colloquio
"Mater dulcissima, ora scendono le nebbie,
il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
gli alberi si gonfiano d'acqua, bruciano di neve"...(S. Quasimodo. Lettera alla madre)
Quanti sulla terra possono e sanno rivolgersi alla propria
madre con l'espressione di Salvatore Quasimodo? "Mater dulcissima"...
"ora ti ringrazio,
questo voglio, dell’ironia che hai messo
sul mio labbro, mite come la tua.
Quel sorriso m’ha salvato da pianti e da dolori"...
Quanti di noi hanno o hanno avuto la forza di ringraziare la
madre per ciò che ci dà , ci ha dato, per ciò che ha saputo comunicarci, per i
sorrisi che, speso, tra le lacrime ci ha donato? Non siamo, forse, noi figli,
pronti più a puntare il dito che a tendere la mano?
Ma le madri conoscono, più di quel che dicono, gli animi dei
figli:
"E’ difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
}Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile"… (P.P.Pasolini-Supplica a mia madre)
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile"… (P.P.Pasolini-Supplica a mia madre)
Comprendono anche le parole non dette.E se sbagliano lo
fanno solo per amore.
E anche lo sconosciuto poeta disse alla Madre, oramai
mitizzata:
“Sei bella sullo
spagnolesco balcone
in calce bianca,
i capelli tinti di
rosso geranio.
Ineffabile figura
profumata di basilico,
tu sei la coscienza
dell’infanzia"…
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blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis