sabato 27 aprile 2013

L’ideale cavalleresco e la civilta’ cortese.



“Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori,le cortesie, l'audaci imprese…”: questi versi meravigliosi del proemio dell’Orlando Furioso dell’Ariosto, ci introducono in quel sognante e meraviglioso mondo che fu il Medioevo e di cui la Cavalleria fu un aspetto fondamentale. Sullo scorcio del secolo XII e all’ inizio del XIII, essa comincia a diventare un ceto chiuso, a cui non si può accedere dall’ esterno. D’ora in poi possono diventare cavalieri solo i figli dei  cavalieri. Per essere considerati nobili, non basta più il diritto al feudo, e neppure l’alto tenore di vita, ma occorrono le precise condizioni e tutto il rituale della nomina solenne. L’acceso alla nobiltà viene così nuovamente sbarrato, e probabilmente non si sbaglia a supporre che furono proprio i cavalieri nuovi di zecca a propugnare col massimo zelo questa serrata.
Comunque, il momento in cui la cavalleria si trasforma in senso ereditario e diventa una casta militare  chiusa, e’ senza dubbio il momento più importante  nella sua storia e uno dei momenti più decisivi in quella della nobiltà. Non solo perchè d’ ora in poi i cavalieri fanno parte integrante della nobiltà, e sono in netta maggioranza rispetto agli antichi nobili, ma perchè ora e soltanto, e proprio per opera loro, si foggia l’ ideale cavalleresco, la coscienza di classe e l’ ideologia di classe della nobiltà. Soltanto ora, in ogni caso, i principi della condotta e dell’etica nobiliare acquistano quella chiarezza e quell’intransigenza con cui si presentano sull’epopea e nella lirica cavalleresca. L’idealismo romantico e l’ eroismo riflesso e sentimentale della cavalleria, questo idealismo e eroismo di seconda mano, nascono soprattutto dalla consapevolezza e dall’ ambizione con cui la nobiltà sviluppa il suo concetto dell’ onore. Da un lati essa si attacca all’esteriorità ed esaspera il formalismo della vita aristocratica; dall’ altro pone l’intima nobiltà dell’ animo al di sopra della nobiltà esteriore e formale della nascita e del tenore di vita. Non è pensabile alcuna realtà cavalleresca senza la forza fisica e l’esercizio fisico, e tanto meno in contrasto con essi, come le virtù del cristianesimo primitivo. Nelle singole parti del sistema che, ad analizzarle attentamente, comprendono le virtù stoiche, cavalleresche, eroiche e aristocratiche in senso stretto, il valore delle doti fisiche e di quelle spirituali è in ognuna diverso, ma in nessuna di questa categorie il fisico perde del tutto la sua importanza. Il  primo gruppo contiene essenzialmente, come è stato affermato del resto per tutto il  sistema, i noti principi della morale classica in veste cristiana. Forza d’animo, fiducia, tenacia , misura e dominio di se’ costituivano già i concetti fondamentali dell’etica aristotelica, e più tardi, in forma più rigida, di quella stoica; la cavalleria li ha semplicemente ricevuti dall’antichità attraverso la mediazione della letterature italiana del Medioevo. Le virtù eroiche , specie il disprezzo del pericolo, del dolore e della morte, l’assoluta osservanza della parola data, la sete di gloria e di onore, sono già in gran pregio nella prima età feudale; l’etica cavalleresca non ha fatto che mitigare l’ideale eroico di quell’ epoca, infondendogli un colorito sentimentale, ma è rimasta fedele al principio.
Il nuovo senso della vita si afferma - nella forma più pura e immediata - nelle virtù propriamente cavalleresche e gentili: da un lato la generosità verso i vinti, la protezione del debole e il culto della donna, cortesia e galanteria; dall’altro le caratteristiche del moderno gentiluomo, liberale e disinteressato, superiore ai vantaggi materiali, sportivamente corretto e gelosissimo del proprio decoro. Sebbene la morale cavalleresca non sia del tutto indipendente dall’emancipata mentalità borghese, tuttavia nel culto di queste nobili virtù, è in netto contrasto con lo spirito borghese del guadagno. La cavalleria si sente minacciata nella sua esistenza materiale dall’economia monetaria borghese, e si volge con odio e con disprezzo contro il razionalismo economico del mercante, contro il calcolo e la speculazione, contro l’attitudine a risparmiare a e contrattare. Antiborghese è tutto il suo tenore di vita, la sua prodigalità, il suo gusto per la cerimonia, il suo disprezzo per ogni lavora manuale e di ogni regolare attività di lucro. Molto più difficile dell’analisi storica del sistema etico cavalleresco è a piegare storicamente le due grandi creazioni culturali della cavalleria: il nuovo ideale amoroso e la nuova lirica amorosa. E’ evidente fin da principio che esse sono in stretto rapporto con la vita di corte. Le corti non sono soltanto il loro a fondo, ma anche il terreno che le alimenta. Ora però sono le corti minori, quelle dei principi e dei feudatari, e non più quelle dei re, a determinare lo sviluppo generale. La cornice più modesta spiega anzitutto il carattere relativamente più libero, individuale e vario, della cultura cavalleresca. Essere originali in questo mondo dominato dalle forme, equivale ad una scortesia inammissibile. Appartenere al circolo di corte è in se il maggior premio e onore; ostentare la propria originalità è coma disprezzare quel privilegio. Così tutta la civiltà dell’epoca resta legata a convenzioni più o meno rigide. Come sono stilizzate le buone maniere, l’espressione dei sentimenti, anzi i sentimenti stessi, così lo sono anche le forme di poesia e dell’arte.
La cultura della cavalleria medievale è la prima manifestazione moderna di una cultura organizzata dalle corti, la prima in cui fra il signore, i cortigiani e i poeti ci sia una vera comunione spirituale. Le corti delle muse non sono soltanto strumenti di propaganda e istituzioni culturali sovvenzionate dai principi, ma rappresentano organismi complessi in cui quelli che inventano le belle forme di vita e quelli che le mettono in pratica mirano allo stesso fine. 
Ma una simile comunione è possibile solo dove ai poeti che salgono dal basso è aperto l’accesso ai più alti strati della società, dove tra i poeti e il loro pubblico c’ è una grande somiglianza di vita (che sarebbe stata inconcepibile un tempo), e dove cortesia e scortesia non implicano solo una differenza di condizioni, ma di educazione: dove quindi non si è necessariamente gentili per nascita e per grado, ma lo si diventa per istruzione e carattere. La civiltà cortese del Medioevo si distingue da ogni altra - anche da quella della corti ellenistiche, pur fortemente influenzata dalla donna- soprattutto per il suo carattere spiccatamente femminile; e non solo perché le donne prendono parte alla vita intellettuale e contribuiscono a orientare la poesia, ma perché, sotto molti rispetti, è femminile anche il pensiero e il sentimento degli uomini. Mentre gli antichi poemi eroici, e le stesse Chanson de Geste, erano destinati a un auditorio maschile, la poesia amorosa provenzale e i romanzi bretoni del ciclo di Artù si rivolgono anzitutto alle donne. Eleonora d’Aquitania, Maria di Champagne, Ermengarda di Narbona, o comunque si chiamino le protettrici dei poeti, non sono soltanto gran dame, coi loro salotti letterali, esperte e promotrici di poesia, ma sono spesso loro a parlare per bocca dei poeti. E non basta dire che gli uomini debbano alle donne la loro educazione estetica e morale, che esse sono la sorgente, l’argomento e il pubblico della poesia …Ciò che contraddistingue la poesia cavalleresca nei confronti della antichità e della alto medioevo è soprattutto il fatto che l’amore, per quanto spiritualizzato, non si eleva a principio filosofico, come in Platone o nei neoplatonici, ma conserva il suo carattere sensuale ed erotico; e proprio in quanto tale opera la rinascita della personalità morale. Nuovo, nella poesia cavalleresca, è il culto consapevole dell’ amore, il senso che l’amore va protetto e alimentato; nuova è la credenza che l’ amore sia la fonte di ogni bontà e bellezza e che ogni atto turpe, ogni bassa inclinazione sia un tradimento verso l’amata. Nuovo è l’intimo dolce affetto, la pia devozione, che l’amante prova in ogni pensiero per la sua donna; nuova l’infinita, inappagata e inappagabile, perché illimitata, sete d’amore. Nuova è la felicità d’amore, che è indipendente dalla soddisfazione del desiderio e resta suprema beatitudine anche nel più duro insuccesso. Nuovo infine è l’intenerimento e la femminilizzazione dell’ uomo innamorato. Già l’uomo che faccia la parte del corteggiatore capovolge il rapporto primitivo fra i sessi. Le età arcaiche ed eroiche, in cui i bottini di schiave e ratti di fanciulle sono all’ordine del giorno, ignorano il corteggiamento. Che, del resto, contrasta anche l’uso del popolo. 
Qui è la donna, non l’uomo, che canta canzoni d’amore. Ancora nelle Chanson de Geste sono le donne a fare gli approcci; solo alla cavalleria questo comportamento appare scortese e sconveniente. Cortese è appunto la ritrosia femminile e lo spasimare dell’ uomo. Cortese e cavalleresca è l’infinita pazienza e la perfetta abnegazione dell’uomo, che sopprime la propria volontà e all’essere superiore alla donna. Cortese è la rassegnazione di fronte all’inaccessibilità dell’oggetto adorato, l’abbandono alla pene d’amore, l’esibizionismo e il masochismo sentimentale dell’uomo: tutte caratteristiche del moderno romanticismo amoroso, che appaiono qui per la prima volta. L’amante nostalgico e rassegnato, l'amore che non esige accoglimento e adempimento, anzi si esalta per il suo carattere negativo: così comincia la storia della poesia moderna.
 

Nessun commento:

Posta un commento

blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis