Entrambi i termini hanno
origine greca, sia nel nome, sia nelle figure che incarnano. Eros, antico dio
greco dell'Amore figlio di Afrodite ed Ermes, simboleggia quella forza
naturale, positiva e creatrice che da’ la Vita, che è Amore e che spinge la
Natura a dare i suoi frutti per mantenere in vita le sue creature. Tànato o
Thanatos è un demone negativo figlio della Notte e dell’Inganno, fratello
gemello di Hypnos (il Sonno), simboleggia la Morte che porta con sé la
Distruzione e il Nulla. Spesso veniva rappresentato come un nero fanciullo
portato dalla Notte tra le sue braccia, oppure come un demone barbuto e alato
che portava con sé una fiaccola spenta. Considerato insensibile alle preghiere,
si diceva che fosse una creatura dal cuore di ferro. Essendo i rappresentanti
dei complementari impulsi di vita (eros) e di morte (thanatos), questi concetti
sono sempre stati contrapposti e il connubio tra amore e morte è stato
frequentemente posto alla base di molte opere della narrativa del passato. Gli
scrittori, i poeti e gli artisti di ogni genere attorno a questa tematica hanno
costruito opere famosissime come la storia di Didone ed Enea di Virgilio,
la storia di Orfeo ed Euridice di Ovidio,
il Tristano e Isotta di Wagner, il Romeo e Giulietta di Shakespeare, il Paolo e Francesca del Canto V dell’Inferno
di Dante, Amore e Morte di Leopardi, il Gelsomino Notturno di Pascoli e la
Traviata di Verdi. Viaggiare dentro le vicende di Baccanti di Euripide. In
“Eros e thanatos” si parte dalla tragica morte del migliore amico per arrivare
all’urlo terribile di Achille di fronte alla morte di Patroclo. Questo il
prologo...attraverso la rievocazione del mio esame di greco alla maturità...Baccanti è l’ultimo
testo della tragedia attica, con esso si chiude per sempre il grande ciclo
della cultura ateniese. E’ un testo che non finisce di illuminarci e di porci
nel cuore delle contraddizioni dell’uomo e delle sue società: vediamo Agave con
la testa mozzata del figlio Penteo arrivare alle porte di Tebe e chiamare il
padre, Cadmo, perché gioisca di quella che, nella sua follia, considera una
grande impresa di caccia.Nell’urlo di dolore di Agave, quando il padre riesce a
farla rinsavire, c’è l’urlo di un’intera civiltà, che, senza accorgersene, finì
per autodistruggersi. Come a dire: se solo aprissimo i nostri occhi prima
dell’irreparabile, sapremo evitare lutti e dolori. Invece, troppo spesso
accecati dalle nostre meschinità, non vediamo la rovina che si abbatte su di
noi, inesorabile.Un monito lanciato 2500 anni fa per tutti noi. C’è comunque
bisogno della morte per prendere consapevolezza della vita. Certamente ogni
lutto può mettere in difficoltà la persona a cui viene a mancare un sostegno
affettivo più o meno intenso, è una parte di se che se ne va, ma risanata la
ferita ad ogni vuoto che si crea una nuova realtà riempirà l’evoluzione della
propria esistenza. Dal contrasto risaltano i valori.
L’importanza della vita
viene data dalla sua mancanza. Il nostro io bambino davanti a essa ha solo
paura o vuole sfidarla ed esorcizzarla in qualche modo, ma poiché è un fatto,
qualcosa su cui bisogna per forza fare i conti, è l’io adulto che deve
riflettere su di essa, porsi in un atteggiamento ragionevole e costruttivo per
poterla accettare e sublimare. Certe esistenze si trasformano dopo aver
rischiato di morire, incidenti o malattie. La morte ha fatto da stimolo per un
recupero di significati e di valori, la vita rinasce più forte.Del resto a ben
vedere l’uomo è l’unico essere su questo pianeta che pianifica oltre la propria
singola esistenza, mentre per il resto degli animali, pur dotati di
intelligenza ed affettività come tutti i mammiferi, è il solo istinto
riproduttivo a programmare il mantenimento della specie. L’uomo ha una
“genitorialità” consapevole, Tutte le istituzioni e le leggi, le tradizioni, le
religioni, con difetti e virtù. sorpassano il singolo e gli permettono di avere
un senso di continuità. L’io genitore non si limita ad accudire la prole ma ad
inserire il figlio in questo mondo culturale di segni e simboli in cui presto
si identificherà. Esso è così forte da poter superare l’istinto di
sopravvivenza e la ragione. Quanti sono morti felici in nome della patria e
della religione senza nemmeno domandarsi perché combattevano! In questi casi,
purtroppo numerosi, l’io genitore inglobava l’io adulto e l’io bambino , non
permetteva all’uno di ragionare e all’altro di affermare la legittima voglia di
vivere. Ben diversa è la fede, intesa come originaria pulsione umana ancora
libera da credenze codificate. In essa c’è la percezione di una realtà divina,
di un significato del mondo e della vita che assimila la morte come un momento
della vita, san Francesco la chiamava sorella. Ecco come l’io adulto può
integrare la morte in se stesso ed evitare che diventi motivo di
depressione (o di esaltazione per chi la sfida anche nel terribile gioco della
guerra.) Insomma… la morte non è un giocattolo da lasciare ai bambini.Un monito, che, non so voi, ma io vorrei cercare di ascoltare.
Per ora, intanto, cerco di raccontarlo.
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blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis