
Il PLI non ha ancora affrontato la questione dei quattro referendum, e credo che se ne parlerà in occasione della riunione di Direzione fissata per il 9 giugno.
Da conversazioni informali in corso, ho notato che emergono opinioni molto diverse sui vari quesiti, il che mi fa pensare che, alla fine, la decisione più saggia potrebbe essere quella di non prendere una posizione univoca, lasciando libertà di orientarsi in relazione al merito dei quesiti sulla base della sensibilità di ciascuno, tenendo in particolare conto che il referendum è un istituto di democrazia diretta che sollecita scelte eminentemente personali e difficilmente omologabili, com’è dimostrato dal dibattito in corso che sta dividendo tutti i partiti.
Tuttavia, essendo stato personalmente interpellato da tanti amici, non intendo sottrarmi ad una risposta, che ovviamente, in ragione di quanto precede, ha anch’essa natura strettamente personale.
ANDRÒ A VOTARE
Al di là della tecnicalità dei primi tre quesiti – che riguardano in particolare i servizi pubblici locali (il primo), la tariffa del servizio idrico integrato (il secondo) e la realizzazione dei siti nucleari (il terzo) – il significato di ciascuna scelta è chiaro, coerente ed univoco, e quindi, nonostante qualche improprietà nel linguaggio della propaganda, sarà possibile decidere con cognizione di causa.
Il Presidente della Repubblica ha detto chiaramente che sente come un dovere civico quello di recarsi alle urne, e non ci sarebbe nulla da aggiungere.
Per parte mia non demonizzo chi la pensa diversamente, essendo da sempre convinto, in via di principio, che l’astensione dal voto referendario sia un diverso modo di partecipare al voto.
Il referendum abrogativo (a differenza di quello confermativo sulle leggi costituzionali) interviene dopo che il percorso legislativo si è concluso con la promulgazione di una norma, per cui mi sembra ragionevole che il cittadino che confida nella saggezza del Parlamento debba restare assolutamente libero di non partecipare allo scrutinio referendario.
Mi permetto tuttavia di aggiungere che, almeno in questa occasione, c’è qualche specifica ragione in più per andare a votare.
Intanto, perché, in via generale, c’è la necessita di risollevare il prestigio dell’istituto referendario, che è andato via via scemando nell’interesse dell’opinione pubblica, dopo i reiterati fallimenti che si sono susseguiti a partire dal 1995.
E poi, nello specifico, perché questi referendum, al di là del fatto che si raggiunga o meno il quorum, sono una preziosa occasione per fare un sondaggio assolutamente non opinabile circa l’orientamento dell’opinione pubblica su materie di generale interesse, che comportano scelte fondamentali sia per l’oggi sia per le future generazioni, con ricadute economiche ed esistenziali di enorme valenza; e di questo sondaggio, ove mai fosse solo tale, il Parlamento dovrà comunque tenere conto.
Infine, se in un domani che mi auguro non lontano fosse possibile promuovere un referendum abrogativo dell’attuale legge elettorale, non mi piacerebbe che qualcuno potesse rimproverarmi di avere contribuito al fallimento dei referendum di oggi.
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