Del Mahatma è stato scritto moltissimo, sia sulla sua vita
che sul suo pensiero, ma quello che tutto il mondo ricorda di Gandhi riguarda
soprattutto la sua enorme impresa : un piccolo uomo, ne’ ricco ne’ potente,
solo grazie alla forza della sua mente e della sua anima, riuscì a liberare una
grandissima ma debole nazione come l’India dalla dominazione di un paese ricco,
potente ed arrogante come l’Inghilterra.Il nucleo del pensiero di Gandhi
racchiude tre punti fondamentali: l'autodeterminazione dei popoli, il rifiuto
della violenza quale strategia di lotta rivoluzionaria, la tolleranza
religiosa.Il primo tema è strettamente intrecciato con la lotta del popolo
indiano contro il dominio coloniale. Gandhi era convinto della necessità che
gli indiani fossero liberi di poter decidere come amministrare il loro Paese
perché la miseria nella quale era ridotto dipendeva proprio dal prelievo
forzato delle risorse dell'India da parte dei britannici. Purtroppo a diversi
decenni dalla liberazione (e dalla morte di Gandhi, avvenuta nel 1948) il
subcontinente indiano versa ancora in condizioni d'estrema povertà e ciò perché
l'indipendenza politica non è stata accompagnata da una reale indipendenza
economica.
Da questo punto di vista il problema dell'India è lo stesso di tutti
i Paesi del Terzo Mondo e delle zone sottosviluppate e sfruttate
dell'Occidente. In definitiva il tema dell'autodeterminazione dei popoli non
può essere separato da quello dello sfruttamento e dalla dipendenza economica
che non permettono la reale indipendenza politica. Naturalmente Gandhi, ben
conscio di questa limitazione, si è battuto a lungo nella sua vita per
l'autosufficienza dell'India dagli inglesi.Il rifiuto della violenza come
strategia di lotta, è comunque il punto caratterizzante del pensiero di
Gandhi. Il Mahatma era convinto che la violenza non potesse essere un mezzo
efficace per ottenere gli obbiettivi prefissati e ciò per varie ragioni. La
prima è senza dubbio legata alla profonda umanità del personaggio, alla sua
educazione e alla sua cultura; sua ferma convinzione era che i violenti
sono alla lunga più deboli dei non-violenti, e usano la violenza proprio a
causa della loro debolezza. Gandhi sosteneva anche che una
liberazione violenta avrebbe generato dei governanti violenti, figli del metodo
usato per giungere al potere (e se si guarda la storia, non si può non essere
d’accordo con Gandhi). In ogni caso non bisogna pensare che Gandhi proponesse
un atteggiamento passivo di fronte agli oppressori e ai violenti, tutt'altro.
La strategia di lotta organizzata dal Mahatma consisteva nella resistenza
passiva, cioè non reagire alle provocazioni dei violenti (pratica che richiede
un'enorme forza morale e Gandhi lo sapeva bene) e nella disobbedienza civile,
in pratica il rifiuto di sottoporsi a leggi ingiuste (si ricordino, a tal
proposito, la campagna contro le stoffe inglesi oppure la marcia del sale, le
giornate di digiuno e preghiera,veri e propri scioperi generali in grado di
paralizzare l'intero Paese).Ultimo grande tema è la tolleranza religiosa.
Nel caso di Gandhi il problema si riferisce alla particolare situazione etnica
dell'India. Paese immenso, grande quasi quanto l'Europa intera, abitato da
un'infinità di gruppi etnici e professioni religiose diverse, spesso a stretto
contatto tra loro, vero e proprio laboratorio della società globale. Gandhi era
convinto che questa fosse una ricchezza dell'India e che andasse salvaguardata,
ma senza dividere politicamente la nazione. In fondo le diversità religiose
potevano essere superate da un comune interesse verso l'essere umano. Nella
pratica gli eventi non andarono come sperava Gandhi. I musulmani guidati da
Jinnah pretesero uno stato indipendente, con la conseguenza che la linea di
confine tra India e Pakistan, tracciata nel 1947, spezzò molti legami umani
costringendo milioni di persone ad abbandonare la propria casa. Gandhi era
consapevole della portata esplosiva della contrapposizione religiosa e per
questo si oppose alla separazione dell'India. Nelle città dove imperversava la
violenza Gandhi riuscì quasi a fare ciò che gli eserciti non erano riusciti a
fare. A Calcutta, con la sua semplice presenza, accompagnata da un digiuno a
rischio della propria vita (aveva ben 77 anni), riuscì a fermare la lotta
interna tra indù e musulmani. Quest'enorme sforzo lo rese inviso ai fanatici
indù (la professione religiosa di Gandhi, maggioritaria in India) e fu uno di
loro che lo assassinò il 30 gennaio del 1948.
"Per riuscire a vedere faccia a faccia lo Spirito della
verità, universale e onnipresente, bisogna riuscire ad amare la più modesta
creatura quanto noi stessi. E un uomo che nutre questa aspirazione non può
esimersi dal partecipare a nessun aspetto della vita, ecco perché la mia
adorazione per la Verità mi ha portato ad interessarmi anche di politica; posso
affermare senza la minima esitazione, sebbene con molta umiltà, che coloro che
sostengono che la religione non c'entra con la politica, ignorano cosa sia la
politica."
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blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis