Mi ricorda qualcuno…
Un principe deve saper bene usare la
bestia e l’uomo, la volpe e il leone.
Il principe deve saper dissimulare, saper colorire, cioè
trovare le giustificazioni convincenti della mancata osservanza dei patti
sottoscritti.Sono affermazioni che operano una distinzione tra gli
interessi politici e i principi fondamentali della morale e sembrano implicare
la riduzione della morale alla politica. Ai fini politici non c’è bisogno che il
principe sia pietoso, umano, religioso, sincero, leale, fedele: l’importante è
che sembri essere tale e che sembri essere attento osservante della religione.In politica l’essere non corrisponde al sembrare: noi non
sembriamo quello che siamo.
Due sono le sfere nel cui ambito deve essere
valutata l’azione: quella privata e quella pubblica, sociale, politica, nella
quale l’azione ha una risonanza più ampia. Mentre nell’ambito della sfera del
privato sussiste l’uguaglianza tra l’essere e il sembrare, nella sfera pubblica
tale corrispondenza viene meno: accade che azioni che hanno come fine il bene
dei consociati sembrano per questi ultimi perseguire fini opposti.
Per questo
il principe deve sembrare umano, fedele, religioso, nel senso che deve
comportarsi in modo tale da ingenerare in chi considera i suoi atti il
convincimento che questi ultimi sono ispirati a quei valori. La società
politica non può esistere senza che questi valori vengano affermati e quindi
riconosciuti.Nella scoperta dell’uomo rinascimentale, come individualità
assoluta e di per sè tendente all’ideale, si erge questa profonda antinomia tra
l’essere e il dover essere che nel caso di Machiavelli si risolve
solo nella verità effettuale, il nocciolo duro che attirerà tutta
l’esecrazione da parte degli ipocriti, dei servi imbelli e degli adulatori dei
potenti ma che, da questo momento in poi, non potrà più non essere presa in
considerazione e adeguatamente valutata.
Molti critici, infatti, inventeranno la massima "il
fine giustifica i mezzi" invece di mettere in evidenza la realtà di un
principe che molto spesso è necessitato a compiere determinate azioni
col fine di salvaguardare non solo se stessi ma lo Stato e la
complessità di interessi di una complessità più o meno estesa di individui. Il fine
non può giustificare i mezzi né sul piano morale perchè l’uso di
certi mezzi è comunque condannabile (come l’uso della frode, della forza,
dell’assassinio, ecc.), ne sul piano razionale, in quanto si rovescerebbe il
discorso logico delle cause che generano determinati effetti in effetti che
giustificano l’esistenza di determinate cause.L'origine della regola
"il fine giustifica i mezzi" trae origine da quel che scrive nel cap.
XVIII “Facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: e' mezzi
saranno sempre iudicati onorevoli, e da ciascuno laudati”. Machiavelli non fa
distinzione tra fini e mezzi, ma mette in evidenza che primo compito del
Principe è il mantenimento dello Stato e i mezzi che avrà usato per questo fine
saranno sempre lodati dal "vulgo", cioè dalla generalità delle
persone che in questo modo vedono difesi i propri interessi e la propria
tranquillità.È la causa, come il mezzo, che esiste per sè, come norma
generale che viene utilizzata solo se necessitati dal momento e dalla realtà
generale. Mutando le cause mutano gli effetti, così mutando i mezzi, mutano i
fini e viceversa: il Principe non deve tener conto in primo luogo dei mezzi ma
dei fini, all’interno dei quali i mezzi trovano la loro logica collocazione,
non giustificazione
Quando parliamo, quindi, di verità effettuale, parliamo
di una verità basata sulle norme che discendono dai fatti e che permettono di
raggiungere i fini prefissati; i mezzi possono essere scelti tenendo
necessariamente conto dei fini. Quindi, mezzi adeguati per fini voluti.
PS: Il potere si può acquistare o per virtù o per fortuna,
e tanto più a lungo e con facilità lo si mantiene quanto più lo si è acquistato
con difficoltà e in un arco di tempo non breve. Quando lo si acquista con fortuna,
e quindi in breve tempo, occorre che il Principe agisca con virtù e
apporti quei cambiamenti nell’organizzazione del principato che più gli possono
tornare utili nel mantenerlo, e primi fra tutti l’eliminazione di coloro che
potrebbero avversarlo (per riconquistare il potere perduto) e il favorire
l’ascesa di un gruppo di persone favorevoli e fedeli. La fortuna, come
elemento modificatore assoluto, si realizza all’interno dell’occasione,
la condizione generale in cui versa una nazione, nella quale esistono le
condizioni per un cambiamento radicale del potere, dalle quali sono partiti i
fondatori di Stati: la condizione generale di schiavitù del popolo israelita in
Egitto era l’occasione sfruttata da Mosè, ispirato e guidato da Jahvè,
per portare il suo popolo alla liberazione dalla schiavitù; l’occasione di
Ciro è stata quella di trovare i Persiani malcontenti del dominio dei Medi e i
Medi stessi molli ed effeminati per la lunga pac
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blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis