di Beatrice Maranò
“ Miei cari, quella che voglio raccontarvi è la storia del vs bisnonno Gennaro Lupo morto ormai cinquant’anni fa, perché voi possiate conoscerlo, apprezzarlo e custodirne la memoria”….così cominciava il ricordo di zia Nini’ nella prefazione del libro dedicato alla vita e alle opere del padre Gennaro Lupo …noto nei miei ricordi di bambina come zio Gennaro ( fratello della mia bisnonna Rosa), autore di una deposizione ( in foto) che troneggiava nella stanza degli ospiti dei mie nonni Vincenzo e Bice Corallo e ora nella stanza da letto di mia madre.
Egli nacque il 30 marzo del 1877 in Puglia, nella “Città delle Ceramiche”,per antonomasia, da Carlo Lupo e Maria Filomena Corrente …i cui ritratti severi ( quello di Carlo eseguito dal figlio Gennaro, e quello di Maria Filomena eseguito da Ciro Fanigliulo) e dallo sguardo capace di frugare dentro, mi inquietavano non poco da bambina.
Dopo aver frequentato le scuole elementari si iscrisse alla Regia Scuola Ceramica di Grottaglie, dove scoprii la propria vocazione: le sue mani erano “ impastate” di arte. Iniziò il suo “cursus” di pittore copiando la natura, rubando i vividi colori al prato, al cielo, agli alberi, ai monti e alle colline. Decorò l’argilla in vasi, anfore e piatti. Zia Ninì racconta che portava a casa tutto ciò che non riusciva bene nella cottura nei forni della Scuola di Ceramica per cui tra i suoi giocattoli di bambina c’erano piccoli vasi e mattonelle. Egli dopo aver conseguito il diploma all’Accademia di Brera di Milano, diventò professore di Disegno e per molti anni fu Docente presso la Scuola di Ceramica di Grottaglie. Ricorda zia Ninì che faceva spesso lezione all’aperto, in campagna ed era sempre circondato da allievi.
Era un uomo gioviale e allegro di indole assai riservata, condusse una vita sempre molto defilata, amava la famiglia ( sposò nel 1924, Giuseppina Piergianni, quindici anni più giovane di lui, figlia del facoltoso notaio Alberto e dal matrimonio nacquero due sole figlie , “zia Maria” ( Maria Filomena come la nonna) e “zia Nini’ ( Anna Maria Vittoria), la natura e gli animali, soprattutto i gatti, si i gatti, : zia Ninì nei suoi racconti aveva memoria di uno in particolare con tante leccornie e tanto amore.
In una foto che i miei nonni materni conservavano e che lo raffigurava nel terrazzo di casa con la moglie, le figlie ed un piccolo cagnolino in braccio a zia Ninì …era straordinariamente somigliante nei tratti a mio nonno Vincenzo ( Gennaro era suo zio). Amava la libertà e non voleva essere schiavo delle costrizioni e non accettò mai di buon grado il fascismo: Zia Ninì nei suoi ricordi rammenta che nel cassetto era costretto a tenere pronta la camicia nera, la bustina nera con la classica frangia di stelle pure nera e le stellette a forma di fascio, ma non le ha mai indossate. Tra le opere più significative si ricordano gli affreschi realizzati a Grottaglie nella Chiesa di Santa Chiara, nella cappella del Preziosissimo Sangue della Chiesa Matrice, e nel salone di casa ( il Baciamano, l’intimità, il Broncio, Storiella Allegra , Il Minuetto). Sono invece scomparsi gli affreschi della farmacia di San Ciro, sita in via Garibaldi. I quadri furono molto più numerosi e si trovano oggi disseminati in varie case private e presso alcuni enti pubblici come il Comune di Grottaglie, e a Taranto, in Prefettura, in Provincia, e alla Camera di Commercio. Allievo di Agesilao Flora , con Ciro Fanigluolo e Francesco Paolo D’Amicis è tra i maggiori esponenti della “Scuola Pittorica Grottagliese” . E’ giovanissimo quando nel 1900, vince il concorso, indetto dal Museo artistico industriale di Roma, per la decorazione del soffitto della Chiesa Madre ( il soffitto purtroppo non è più visibile perché nel 1938, fu eliminato nel corso di alcuni di tanti lavori che hanno cambiato il volto della Chiesa Collegiata per la corrosione verificatasi a seguito di infiltrazioni dal tetto). Per gli affreschi delle Clarisse, fu impegnato tutta un’estate, sicchè le figlie e la moglie andarono da sole in villeggiatura in campagna, mentre egli restò in paese per lavorare affettuosamente assistito dalle suore che tramite la portinaia gli mandarono il pranzo ogni giorno. Alla fine non volle accettare alcun compenso soltanto tredicimila lire per le spese di colori, pennelli ed altro. Tra i pochi artisti che sono rimasti affezionati alla sua memoria vi è Benedetto D’Amicis che in una lettera a zia Maria scrisse che l’amico Gennaro gli aveva insegnato la difficile tecnica dell’acquerello Nei suo vari racconti serali quando- raccontava zia Nini’- in autunno erano tutti sul terrazzino intorno ad un braciere, egli ci diceva che immaginava la morte come un’aquila che con i suoi artigli ghermiva la vita spezzandole le ali. Egli era perfettamente consapevole della caducità dell’esistenza umana ed in calce ad suo quadro, raffigurante un’immensa distesa di papaveri e margherite gialle mosse dal vento, scrisse un verso del Petrarca: “ cosa bella mortal passa e non dura”. Quando se ne andò mia mamma non aveva neanche un anno era il 3 agosto 1946. Oltre che un artista versatile e capace Gennaro Lupo fu “uomo di scuola”, come scrive il Dott. Alfengo Carducci ( nipote di zio Gennaro per linea materna : la sorella della moglie aveva sposato il marchese di Fragagnano Giovan Gualbero Carducci), autore della prefazione del testo a tre mani redatto in suo ricordo dal prof Giovangualberto Carducci Junior, dal prof. Orazio Del Monaco, e dal preside dell’Istituto d’arte De Filippis, e da Daniela De Vincentis. Egli infatti insegnò per trentaquattro anni Disegno in vari istituti di Puglia, in particolare presso la Scuola Tecnica pareggiata di Martina Franca e presso la Scuola Ceramica di Grottaglie, della quale fu anche Direttore. E sebbene la sua carriera di docente non fu sempre lineare, come accade agli “ artisti di razza”, non v’è dubbio che egli fu un insegnante molto valido secondo quanto provano le lusinghiere relazioni dei suoi superiori e soprattutto i risultati della sua attività didattica. “La vita e l’opera di questo artista possono e devono rappresentare per le nuove generazioni di artisti un esempio, di come si possa rivendicare il valore della tradizioni e delle proprie radici sulla scorta di un’erudita conoscenza e di una lucida interpretazione della cultura iconografica moderna e contemporanea per guardarsi dalle insidie della “ fuggevole moda” e dei pervertimenti dell’imitazione esotica, rievocando le stesse parole con cui Pietro Marti nei primissimi anni del ‘900 si rivolgeva agli artisti salentini.” ( Daniela De Vincentis)
Basterà guardare i paesaggi, le fresche pinete e le accese distese di papaveri, e fiori campestri, le marine, i colori del cielo, del mare e della terra, le pennellate per tocchi rapidi, sintetici e pregnanti, per ritrovare la forza , la fantasia, la profonda qualità umana di questo artista che ha portato agli altri maestri della Scuola di Grottaglie, una ventata di rinnovamento nel Salento, additando e seguendo la via maestra dello studio dal vero, già intrapresa in area partenopea da Palizzi e Morelli. L’auspicio del Dott. Carducci nella prefazione del testo dedicato a Gennaro Lupo e di noi tutti, è che il ricordo di questo pittore non rimanga un fatto isolato ma serva da sprone alle pubbliche amministrazioni e a lungimiranti privati, per il recupero memoriale di altre figure e di altre esperienze culturali e locali, altrimenti destinate ad un immeritato oblio. “ Perché è cosi’ io dico che si concretizza seriamente il processo di sviluppo culturale ed etico di una comunità, con la riscoperta e la evidenziazione dei contemporanei più illustri. Tra i quali possiamo annoverare – in posizione sicuramente privilegiata- il nostro Gennaro Lupo” (Alfengo Carducci)
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blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis