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mercoledì 22 ottobre 2014

Siamo moderni grazie a... Lucrezio!



Un mondo fatto di atomi e di vuoto, di responsabilità e felicità tutte umane che rendeva inutile l'intervento divino e attaccava i pregiudizi irruppe nella cultura europea e ne ridefinì i valori: e’ il mondo di Lucrezio Caro, gigante della letteratura latina. Epicuro aveva impresso al materialismo antico, e a quello moderno una  svolta decisiva: Gli atomi, spiegava, non si muovono lungo un'immutabile linea retta, ma deviano casualmente e impercettibilmente: solo così si spiega la miriade di aggregazioni atomiche possibili; solo così, soprattutto, si spiega la libertà d'azione dell'uomo, una «volontà libera dal fato / in virtù della quale procediamo dove il piacere ci guida». La tesi di Karl Marx non sarebbe mai stata scritta se quattro secoli prima, all'altro capo della Germania, un segretario papale di alterne fortune, Poggio Bracciolini, non avesse sfruttato le pause nei lavori del concilio di Costanza per perlustrare le biblioteche della zona e trarne capolavori di cui non restavano altro che la memoria e qualche citazione: l'epica di Silio Italico, tutto Quintiliano, il poema astronomico di Manilio.E soprattutto se il caso non avesse aggiunto un'opera grandiosa che da qualche secolo aveva quasi del tutto fatto perdere le tracce di sé, il poema Sulla natura del discepolo romano di Epicuro, Lucrezio.
Sulle orme dei grandi poeti epici, Lucrezio racconta in versi una battaglia sui generis, quella degli uomini oppressi dalla superstizione, che grazie al magistero di Epicuro riescono a spezzarne le catene e conquistare una comprensione razionale del l'universo basata su leggi di natura. Atomi e vuoto, infiniti, consentono l'aggregazione e la dissoluzione dei corpi e dei mondi (plurimi anche questi, come dirà poi Giordano Bruno... meritandosi il rogo) senza che gli dèi possano in alcun modo interferire con processi meramente fisici. Né Lucrezio né il suo maestro arrivano a negare l'esistenza degli dèi, ma li riducono a modelli remoti e imperturbabili, icona della serenità cui potrà giungere chi si converte alla lezione liberatrice dell'epicureismo. Inutile quindi pretendere aiuto da queste divinità asettiche o temerne la collera, inutili le pratiche religiose che a Roma scandiscono minuziosamente lo scorrere dei giorni. Tutto questo, compresa la spiegazione dettagliata dei meccanismi fisici che presiedono alla costituzione dell'universo e ai fenomeni naturali, trattato appunto in poesia, una poesia potente e raffinata cui da secoli non si dischiudeva un compito tanto inusuale e sconvolgente. I contemporanei reagirono con un prevedibile intreccio di ammirazione e imbarazzo, elogiando le qualità dell'opera ma anche arginandone il ruolo nel dibattito culturale con una mossa che prefigurava il ben più pesante oblio cui la condanneranno il trionfo del cristianesimo e il generale naufragio dei testi classici. L'esplosione di interesse per La natura delle cose è immediata, fragorosa. I protagonisti del l'Umanesimo e del Rinascimento lo leggono con meraviglia, lo prendono a modello di poesia o di dottrina, o di entrambe: da Poliziano a Pontano, da Marsilio Ficino al Sannazzaro e poi ancora Tasso, Boiardo, Copernico. Machiavelli giovane ricopia di sua mano il testo e tracce di questa frequentazione intensa affiorano nella sua opera. La «Primavera» di Botticelli, complici le Stanze del Poliziano, mette in scena il trionfo di Venere che inaugura, con sottile sfida all'ortodossia epicurea, un poema destinato a sradicare la fiducia umana nel loro operato.

Leonardo ne trae ispirazione per la sua machina mundi, la concezione di un universo autonomo sottratto all'azione divina. Mentre in Francia Montaigne eregge Lucrezio a modello e lo studia e lo cita con passione infinita (la copia da lui annotata è stata riscoperta da poco), mentre i personagggi di Shakespeare alludono alla danza degli atomi, Aeonio Paleario e Giordano Bruno pagano con la vita le loro letture pericolose e l'ispirazione che ne hanno tratto. Spetterà ad una generazione più fortunata, il cui campione è Newton, asserire definitivamente la compatibilità tra gli atomi epicureo-lucreziani e la creazione divina dell'universo senza temere l'Inquisizione, che nulla potrà, in ogni caso, per arrestare la penetrazione del materialismo nella cultura illuministica.
Su quella scia, grazie ai padri fondatori della repubblica americana, Lucrezio guadagna un tardivo suggello ufficiale nel testo di una costituzione che si impegna non solo a garantire la vita e la libertà dei cittadini ma anche a consentire «la ricerca della felicità», quasi che la repubblica ideale fosse il Giardino in cui Epicuro intratteneva i suoi discepoli.
Poco prima di morire, Italo Calvino aveva promosso Lucrezio a paradigma del nuovo millennio come poeta della «leggerezza» resa possibile proprio dalle «deviazioni imprevedibili dalla linea retta»: una «poesia dell'imprevedibile» che ancora ci accompagna solo grazie alla fortunata scoperta di un manoscritto perduto.

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