Un mondo fatto di atomi e di
vuoto, di responsabilità e felicità tutte umane che rendeva inutile
l'intervento divino e attaccava i pregiudizi irruppe nella cultura europea e ne
ridefinì i valori: e’ il mondo di Lucrezio Caro, gigante della letteratura
latina. Epicuro aveva impresso al materialismo antico, e a quello
moderno una svolta decisiva: Gli atomi,
spiegava, non si muovono lungo un'immutabile linea retta, ma deviano
casualmente e impercettibilmente: solo così si spiega la miriade di
aggregazioni atomiche possibili; solo così, soprattutto, si spiega la libertà
d'azione dell'uomo, una «volontà libera dal fato / in virtù della quale
procediamo dove il piacere ci guida». La tesi di Karl Marx non sarebbe mai
stata scritta se quattro secoli prima, all'altro capo della Germania, un
segretario papale di alterne fortune, Poggio Bracciolini, non avesse sfruttato
le pause nei lavori del concilio di Costanza per perlustrare le biblioteche
della zona e trarne capolavori di cui non restavano altro che la memoria e
qualche citazione: l'epica di Silio Italico, tutto Quintiliano, il poema
astronomico di Manilio.E soprattutto se il caso non avesse aggiunto un'opera
grandiosa che da qualche secolo aveva quasi del tutto fatto perdere le tracce
di sé, il poema Sulla natura del discepolo romano di Epicuro, Lucrezio.
Sulle
orme dei grandi poeti epici, Lucrezio racconta in versi una battaglia sui
generis, quella degli uomini oppressi dalla superstizione, che grazie al
magistero di Epicuro riescono a spezzarne le catene e conquistare una
comprensione razionale del l'universo basata su leggi di natura. Atomi e vuoto,
infiniti, consentono l'aggregazione e la dissoluzione dei corpi e dei mondi
(plurimi anche questi, come dirà poi Giordano Bruno... meritandosi il rogo)
senza che gli dèi possano in alcun modo interferire con processi meramente
fisici. Né Lucrezio né il suo maestro arrivano a negare l'esistenza degli dèi,
ma li riducono a modelli remoti e imperturbabili, icona della serenità cui potrà
giungere chi si converte alla lezione liberatrice dell'epicureismo. Inutile
quindi pretendere aiuto da queste divinità asettiche o temerne la collera,
inutili le pratiche religiose che a Roma scandiscono minuziosamente lo scorrere
dei giorni. Tutto questo, compresa la spiegazione dettagliata dei meccanismi
fisici che presiedono alla costituzione dell'universo e ai fenomeni naturali,
trattato appunto in poesia, una poesia potente e raffinata cui da secoli non si
dischiudeva un compito tanto inusuale e sconvolgente. I contemporanei reagirono
con un prevedibile intreccio di ammirazione e imbarazzo, elogiando le qualità
dell'opera ma anche arginandone il ruolo nel dibattito culturale con una mossa
che prefigurava il ben più pesante oblio cui la condanneranno il trionfo del
cristianesimo e il generale naufragio dei testi classici. L'esplosione di
interesse per La natura delle cose è immediata, fragorosa. I protagonisti del
l'Umanesimo e del Rinascimento lo leggono con meraviglia, lo prendono a modello
di poesia o di dottrina, o di entrambe: da Poliziano a Pontano, da Marsilio
Ficino al Sannazzaro e poi ancora Tasso, Boiardo, Copernico. Machiavelli
giovane ricopia di sua mano il testo e tracce di questa frequentazione intensa
affiorano nella sua opera. La «Primavera» di Botticelli, complici le Stanze del
Poliziano, mette in scena il trionfo di Venere che inaugura, con sottile sfida
all'ortodossia epicurea, un poema destinato a sradicare la fiducia umana nel
loro operato.
Leonardo ne trae ispirazione per la sua machina mundi, la
concezione di un universo autonomo sottratto all'azione divina. Mentre in
Francia Montaigne eregge Lucrezio a modello e lo studia e lo cita con passione
infinita (la copia da lui annotata è stata riscoperta da poco), mentre i
personagggi di Shakespeare alludono alla danza degli atomi, Aeonio Paleario e
Giordano Bruno pagano con la vita le loro letture pericolose e l'ispirazione
che ne hanno tratto. Spetterà ad una generazione più fortunata, il cui campione
è Newton, asserire definitivamente la compatibilità tra gli atomi
epicureo-lucreziani e la creazione divina dell'universo senza temere
l'Inquisizione, che nulla potrà, in ogni caso, per arrestare la penetrazione
del materialismo nella cultura illuministica.
Su quella scia, grazie ai padri fondatori della repubblica americana, Lucrezio
guadagna un tardivo suggello ufficiale nel testo di una costituzione che si
impegna non solo a garantire la vita e la libertà dei cittadini ma anche a
consentire «la ricerca della felicità», quasi che la repubblica ideale fosse il
Giardino in cui Epicuro intratteneva i suoi discepoli.
Poco prima di morire, Italo Calvino aveva promosso Lucrezio a paradigma del
nuovo millennio come poeta della «leggerezza» resa possibile proprio dalle
«deviazioni imprevedibili dalla linea retta»: una «poesia dell'imprevedibile»
che ancora ci accompagna solo grazie alla fortunata scoperta di un manoscritto
perduto.
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blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis