Femminicidio e stalking sembrerebbero temi così
attuali, eppure sono così antichi. Gli episodi tramandati dagli storiografi
della letteratura latina e le iscrizioni funerarie di età imperiale sembrano le
prime pagine dei giornali del nuovo millennio: stalking e femminicidio,
corteggiamenti ossessivi e omicidi violenti. Dall’antica Roma ad oggi non è
cambiato niente.La storia della letteratura latina è tempestata di episodi
di donne uccise dai loro mariti o costrette al suicidio da circostanze divenute
insostenibili. Livio, nel suo Ab Urbe Condita, ci ricorda il celebre
episodio della cacciata dell’ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo: ad
accendere gli animi dell’insurrezione, cui seguì l’instaurazione della
Repubblica, fu l’oltraggio compiuto da Sestio Tarquinio, figlio del re tiranno,
ai danni della nobile matrona romana Lucrezia, moglie di Collatino, che dopo
aver subito la brutalità dello stupro decise di togliersi la vita, lavando con
il proprio sangue la macchia della vergogna.
Ancora Livio racconta la storia di
Virginia, una giovane plebea “corteggiata” e rapita dal patrizio Appio Claudio:
l’uomo intentò un processo alla fanciulla, con lo scopo di ridurla al rango di
schiava al suo servizio, ma il padre della ragazza, Virginio, che non avrebbe
mai accettato un tale destino per la propria figlia, decise di assicurarle la
libertà “nell’unico modo in cui gli fu possibile”, con la morte. Lo storico
Tacito, invece, in un capitolo degli
Annales (XIII, 44), ci tramanda la
vicenda di Ponzia Postumia, una donna vissuta al tempo di Nerone, di cui non si
conosce nulla eccetto la tragica morte, avvenuta per mano del tribuno della
plebe Ottavio Sagitta, in seguito condannato per omicidio: il senatore costrinse
la donna all’adulterio e dopo una «notte [che] passò in litigi, preghiere,
rimproveri, scuse e, in parte effusioni, ad un tratto, quasi fuori di sé,
infiammato dalla passione, trafi[sse] col ferro la donna che nulla sospettava».
E infine, ma non meno eclatante, la brutalità dell’imperatore Nerone, giacché,
come riportato da Svetonio nelle
Vitae Caesaris, fu responsabile della
morte della madre Agrippina, della prima moglie Ottavia e si accanì con
l’amante Poppea, uccisa con un calcio al ventre che ne portava il figlio. Ma
quest’ultima vicenda ci riporta a quella analoga descritta da Filostrato, nelle
Vite dei Sofisti, su Annia Regilla, una nobile matrona imparentata con
la famiglia imperiale e sposa del ricco console Erode Attico: questi, per un
motivo non specificato, ma probabilmente senza una reale intenzione di
ucciderla, fece picchiare dal suo liberto Alcimedonte la moglie Regilla che,
incinta di otto mesi, morì di parto prematuro dovuto dalle percosse; alla fine
del processo sia il console che il liberto furono giudicati innocenti per
mancanza di prove.
Se facciamo un passo indietro nella Grecia classica, il mito
si rende portatore di quale fosse, effettivamente, la percezione che gli uomini
avevano della controparte femminile. La donna non riesce ad uscire dal ruolo di
subordinazione alla figura maschile e viene quindi raffigurata come una
vittima; il mito di “Medea” sottolinea chiaramente questi aspetti, in aggiunta
all’utilitarismo maschile nell’ordine sociale Se la cultura classica attraverso
il mito ci ha proposto una visione della donna succube delle dinamiche sociali
maschiliste, il cui eco lo si trova anche nella Bibbia attraverso Eva, autrice
del peccato originale, ci fornisce inoltre quello che potrebbe essere
evidenziato come il primo “caso di stalking”. Infatti è il dio Apollo a
macchiarsi per primo di questo reato, inseguendo fino alla disperazione la
bellissima ninfa Dafne obbligò la madre Gea a trasformarla in una pianta
d’alloro, affinchè potesse sottrarsi al supplizio.
In Italia si adopera anche il termine femicidio,
italianizzazione del termine usato nel 1992 da due femministe statunitensi,
Jill Radford e Diana Russel, per il titolo del loro libro “Femicide: The
politics of woman killing”. E’, questo, un termine per porre fine ad ogni forma
di discriminazione e violenza contro le donne in quanto donne, affinchè le
donne non debbano più pagare con la loro vita la scelta di essere se stesse e
non come vorrebbero i loro fidanzatini, i loro compagni, i loro mariti o ex
mariti/compagni. Essi, uccidendo “per amore”, si sentono nobilitati: è, questo,
un tema profondamente radicato nella letteratura nostrana. Un esempio possiamo
extrapolarlo dalla Divina Commedia di Dante, dal padre della letteratura
italiana. In particolare dal canto V della prima cantica, l’Inferno, dove al v.
106 Francesca racconta a Dante: <<Amor condusse noi ad una morte>>.
Francesca da Polenta, per unire le due famiglie tra le più rinomate della
Romagna, fu data in sposa allo zoppo e rozzo Gianciotto Malatesta, ma la ragazza
era innamorata del fratello del suo sposo, Paolo. Questo loro amore condusse
Paolo alla morte per mano del marito di Francesca, un vero e proprio
fratricidio e, quel che a noi qui più interessa, un uxoricidio.
Altri esempi nel campo della letteratura, musica,:Otello che
soffoca Desdemona, la Carmen di Bizet che viene pugnalata,l’eterea e diafana
Pia dei Tolomei , di dantesca memoria, fatta uccidere dal marito che voleva
risposarsi con un’altra .Arriviamo all’’800, in piena clima romantico ed allora
assistiamo ad un cambiamento totale dello scenario:la nobilitazione dell'uomo
che uccide "per amore" è profondamente radicata nella nostra
letteratura. L'uomo che uccide la "sua" donna compie il più alto
sacrificio di sé, in tutta una sublime tradizione artistica e letteraria, più
che se ammazzasse sé per amore. E solo oggi, e faticosamente, ci si divincola
da questo inaudito retaggio di ammirazione e commiserazione per l'uomo che
uccide per amore, e lo si vede nella sua miserabile piccineria.Lo dimostra
anche il Rosso e il Nero dello scrittore francese, nel quale
Mademoiselle de la Mole "arrivava fino a dirsi: è degno d'essere il mio
padrone perché è stato sul punto di uccidermi".
Come si vede tutto e’
incentrato sull’uomo, che e’ il soggetto che scarica la sua azione sulla donna,
complemento oggetto.
Di mestiere faccio il linguista, il professore di Lettere
Classiche: voglio concludere su questo tema. la lingua cambia in continuazione,
è un organismo vivente, vive come vivono gli esseri umani che la usano. Lo
sapevano già gli antichi greci, lo sanno i linguisti moderni. L’italiano, ad
esempio, si arricchisce di continuo: vi entrano forme da altre lingue (oggi
soprattutto dall’inglese), dai dialetti, si creano parole nuove per rispondere
ai bisogni della società. E, nello stesso tempo, qualche parola o espressione
cade in disuso e scompare, come è naturale nel ciclo perenne della vita.
«Se l’italiano ha già la parola omicidio, che indica
l’assassinio dell’uomo e della donna, perché creare una parola nuova? Non è
inutile?». La risposta, come spesso càpita, ce la danno i vocabolari. La voce
«femmina» viene spiegata cosi: ‘essere umano di sesso femminile, spesso con
valore spregiativo’. Badate all’aggettivo «spregiativo», la soluzione è lì. Il
«femminicidio» indica l’assassinio legato a un atteggiamento culturale
ributtante, di chi considera la moglie, la compagna, l’ amica, la donna
incontrata casualmente, non un essere umano di pari dignità e di pari diritti,
ma un oggetto di cui si è proprietari; se la proprietà viene negata, se un
altro maschio si avvicina all’oggetto che si ritiene proprio, scatta la
violenza cieca.
Io non so se questo atteggiamento sia generato da alcune abitudini della
società in cui viviamo: una società che, insieme, esibisce sfacciatamente il
corpo femminile visto come una merce e preferisce ascoltare chi urla e offende
invece di riflettere sulla ragionevolezza delle argomentazioni. Chi mi conosce
sa che non sono un parruccone pudibondo; mi ripugnano l’arbitrio, la mancanza
di rispetto, l’offesa. Torniamo alla lingua. Se una società genera forme
mostruose di sopraffazione e di violenza, bisogna inventare un termine che
esprima quella violenza e quella sopraffazione. E quindi è giusto usare «femminicidio»,
per denunziare la brutalità dell’atto e per indicare che si è contro la
violenza e la sopraffazione. Bene ha fatto la lingua italiana a mettere in
circolo la parola «femminicidio»; il generico «omicidio» risulterebbe troppo
blando.
Nessun commento:
Posta un commento
blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis