Qualcuno ne ha sentito mai parlare? Per me e’ stata una piacevolissima scoperta, quando nel 1990 partecipai ad un Convegno di Letteratura a Bari e ne sentii parlare per la prima volta!Secondo molti autorevoli critici, Luisa Giaconi è stata la poetessa di maggior talento del Novecento italiano. Certo, pensare ad una poesia femminile di un dato secolo è un concetto sicuramente sbagliato, perchè allora dovrebbe esisterne anche una al maschile; comunque sia, è cosa certa che la poesia della Giaconi rappresenti un momento altissimo della nostra letteratura novecentesca e dispiace sinceramente che il suo nome sia spesso trascurato o, peggio, dimenticato dalle antologie e dai compendi letterari del XX secolo. La poesia della Giaconi spicca per eleganza e musicalità; i suoi punti di riferimento sono Giovanni Pascoli, Gabriele D'Annunzio e, in ambito internazionale, i poeti preraffaelliti, parnassiani e decadenti.
Anche la sua opera poetica è rimasta per quasi un secolo accantonata; la raccolta più consistente di poesie della Giaconi fu pubblicata nel 1912, col titolo "Tebaide" (Treves, Milano); questa era in verità la seconda edizione ampliata del libro che uscì per la prima volta nel 1909, quando la poetessa era già scomparsa. Soltanto nel 2001, dopo ottantanove anni dalla 2° edizione di "Tebaide", è uscito un altro volume con una selezione antologica delle poesie della Giaconi: "Dalla mia notte lontana" (Petite Plaisance, Pistoia); a questo a fatto seguito un altro volume con l'intera opera poetica della poetessa toscana ed altri tipi di materiali che la riguardano: "A fiore dell'ombra. Le poesie, le lettere, gli inediti", Petite Plaisance, Pistoia 2009. E veramente bisogna essere grati al piccolo editore Petite Plaisance perchè, se non ci fosse stata tale iniziativa quanto mai opportuna, l'opera in versi di Luisa Giaconi sarebbe rimasta nell'oblio forse per secoli. Dunque, come già detto, la Giaconi in vita non pubblicò mai un libro di sue liriche, ma il suo nome è già presente in varie riviste famose o meno di fine Ottocento; da quel momento, più o meno regolarmente, i suoi versi furono pubblicati da varie riviste letterarie. Fu così che, a poco a poco, il nome della Giaconi cominciò ad essere conoscuto soprattutto dagli addetti ai lavori, e fu proprio una di questi: Eugenia Levi, che incluse per la prima volta la poetessa in una importante antologia: "Dai nostri poeti viventi" (la Giaconi però compare soltanto nella 3° edizione del 1903). Molto merito va attribuito anche al critico Glauco Viazzi, che, dopo oltre cinquant'anni dalla sua scomparsa, inserì la poetessa nelle sue antologie: "Poeti simbolisti e liberty in Italia" (1967-1972) e "Dal Simbolismo al déco" (1981, qui è l'unica donna, insieme ad Amalia Guglielminetti, a comparire). Curioso l'episodio che accomuna Luisa Giaconi a Dino Campana: infatti il poeta di Marradi, lettore entusuasta della Giaconi, nel 1916 trascrisse e inviò in una lettera indirizzata a Mario Novaro, allora direttore della rivista "La Riviera Ligure", la poesia "Dianora", affermando che l'autrice era una donna fiorentina scomparsa a trent'anni. Luisa Giaconi nacque a Firenze nel 1870, la sua famiglia era di origini nobili, suo padre professava l'insegnamento ed era per questo costretto, così come i suoi famigliari, a frequenti trasferimenti da una città all'altra. Dopo la scomparsa del genitore Luisa tornò nella sua città natale dove si diplomò all'Accademia di Belle Arti. Visse facendo copie di quadri presso i musei e le gallerie d'arte fiorentine fino al momento della prematura morte, avvenuta a Fiesole nel 1908. Luisa Giaconi è una di quelle gentili figure di donna che la letteratura offre alla nostra attenzione ai margini delle cronache ufficiali, come in sordina ed avvolte da un velo di mistero. Le poche notizie biografiche di cui siamo in possesso concorrono tutte a disegnare il profilo di un’esistenza semplice ed umile, non attraversata da avvenimenti “memorabili”, ma costantemente calata in un’umbratile atmosfera di silenzio e di assorta contemplazione. Timida ed introversa, seppe esprimere se stessa dietro quel velo di pudore che spesso coincide con l’oggettività artistica e con l’autentica vocazione. La sua ispirazione poetica è complessa e inquieta, ricca di energie spirituali e affettive, nutrita delle più vive matrici della poesia romantica inglese (Shelley, Keats ed i preraffaelliti) e della poesia decadente francese (Baudelaire, Verlaine). Ad una tale rete di riferimenti letterari è necessario aggiungere, come presenza immediata e quasi vigile, il Pascoli, specialmente quello dei Poemi Conviviali e dei Canti di Castelvecchio – di cui ripropone a volte, scopertamente, certe immagini canoniche (i “sistri d’argento” della poesia Il vento), o alcune locuzioni (“cuore d’un cipresso”, “cade l’ombra e gracida la gora” entrambe nella poesia La casa sul monte ) – oltre che il D’Annunzio del Poema paradisiaco. Ma in lei ogni esperienza spirituale e stilistica è sempre rielaborata in modo originale ed è per questo che la sua poesia risulta di una sorprendente ed inquietante modernità. Essa si dispiega spesso in una contemplazione di paesaggi naturali che rifuggono da una raffigurazione realistica ed oleografica ma ci appaiono inquietantemente trasfigurati in un’aura di sogno e di mistero, intrisi di luce lunare, velati d’ombra, o popolati dalla forza rapace e angosciante del vento, come nella magnifica lirica Il vento, che per il rintocco cupo di parole assonanti, per la martellante percussione degli ictus su alcune sillabe e per il grido ripetuto dopo ogni terzina come un truce ritornello, ricorda certe macabre evocazioni di Poe. L’ora prediletta dalla Giaconi è infatti quella irreale/surreale che “cose con sogni fioca confonde”: l’alba ancora velata dall’ombra notturna, la sera che “tesse con le stanche dita foschi velari ai cieli”, e, più di ogni altra, la notte, immagine di quel “nulla eterno” in cui si dissolve la realtà, poiché tutto è sogno, tutto è “sconfinata vanità che illude”. Il mistero dell’invisibile e la nostalgia della patria celeste che seppe esprimere con vibrante intensità di commozione in una delle sue poesie più belle, Armonia, sono tra i motivi più cari e indagati della sua poesia. I suoi occhi sembrano infatti continuamente perduti nell’infinito, presi a scrutare tra “le pagine dei cieli”, a cui l’anima nostalgicamente anela far ritorno.Ogni lirica risulta infatti sempre saldamente composta intorno ad un suo nucleo creativo e ritmico. Un intenso lavorio di sperimentazione presiede inoltre all’elaborazione dei suoi versi, che cerca di plasmare sul ritmo stesso dell’anima. In una lettera al Gargano, parlando della struttura metrica de L’ultima pagina, dirà: “Il verso è composto di un novenario accentato come l’endecasillabo e di un senario. Se mi si domanda perché scrivo di tali versi, non posso rispondere altro che è perché così li sento e corrispondono ad un mio ritmo interiore. Ma potrebbe essere un’illusione mia soltanto e che l’arminia non vi fosse ... E il ritmo interiore mi dice anche di fare come un’impercettibile sosta al novenario quando si può. Certo la poesia perde del suo carattere cantabile e circoscritto in certe battute tradizionali, ma chissà se, portata a un grado di perfezione, non possa divenire più profonda e trovare meglio le vie del cuore”.
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