23mag.1992, un'attentato bomba a Capaci, pochi km da Palermo uccide insieme a sua moglie Francesca Morvillo ed alla scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Morinari, il giudice Giovanni Falcone, il fallito attentato del 21 giugno 1989, cinquanta candelotti nascosti tra gli scogli a venti metri dalla casa fu il preludio di cio che sarebbe successo 3 anni dopo.
Racconta un carabiniere grottagliese, membro della scorta del giudice Ayala: "fummo tra i primi ad accorrere sul luogo raggiunto gia dagli artificieri e ricordo che il giudice Ayala rivolgendosi al giudice Falcone disse, che quattro dei miei uomini valgono dieci dei tuoi".
Undici anni trascorsi nell'ufficio bunker del palazzo di giustizia di Palermo a far la guerra a cosa nostra, nemico numero uno della mafia, un combattente senza macchia e senza paura, coraggio e determinazione contraddistinse l'uomo ed il magistrato.
" Non sono Robin Hood, ne un kamikaze, sono semplicemente un servitore dello Stato in terra infidelium, appartengo a quella categoria di persone che ritiene che ogni azione debba essere portata a termine, non mi sono mai chiesto se dovevo affrontare o no un problema, ma solo come affrontarlo, certo il pensiero della morte mi accompagna ovunque, ma diventa presto una seconda natura e mi consola l'ironia su di essa che fa parte del retaggio culturale siciliano. Sorrido se ripenso quando mi viene a trovare a casa il collega Paolo Borsellino chiedendomi di dargli immediatamente la combinazione della cassaforte del mio ufficio, sorpreso chiesi perche` e Paolo mi rispose senno` quando t'ammazzano come l'apriamo?"
Giovanni Falcone diventerà un magistrato da manuale, un servitore dello Stato che da per scontato che lo Stato debba essere rispettato cosi com'è, paradossalmente, cercando solo di applicare la legge, si trasformò in un personaggio che disturbava, un giudice che dava fastidio, un eroe scomodo. Siciliano, anzi meglio palermitano, ha trascorso tutta la vita immerso nella diffusa cultura mafiosa, è stato l'unico magistrato che si sia occupato in modo continuo e con impegno assoluto di quel particolare problema noto come cosa nostra. La mafia sistema di potere, che si fa Stato dove lo Stato è tragicamente assente, dove il concetto di cittadinanza tende a diluirsi mentre la logica dell'appartenenza tende a rafforzarsi, dove il contenuto delle sue azioni sono una soluzione alternativa al sistema democratico.
Ma quanti sono coloro che oggi si rendono conto del pericolo che essa rappresenta per la democrazia? "Devo dire che fin da bambino avevo respirato giorno dopo giorno aria di mafia, violenze, estorsioni, assassinii, la mia cultura progressista mi faceva inorridire di fronte alla brutalità, guardavo a cosa nostra come all'idra dalle sette teste, invincibile, responsabile di tutti i mali del mondo. L'inizio della mia professione coincise con l'interesse dell'universo di cosa nostra, questa avventura a reso più autentico il mio senso dello Stato. Io credo nello Stato e ritengo che sia proprio la mancanza di senso dello Stato a generare quelle distorsioni presenti nell'animo, il dualismo tra società e Stato, vivere e lavorare senza alcun riferimento a regole di vita collettiva in perfetta anomia. Che cosa se non il miscuglio di anomia e di violenza primitiva e` all'origine della mafia? Quella mafia che essenzialmente non è altro che espressione di un bisogno di ordine e quindi di Stato ma quando mostra il suo vero volto si rivela per una delle maggiori mistificazioni della storia meridionale, non frutto del solo sottosviluppo economico, ma prodotto delle distorsioni dello sviluppo stesso. Siamo giunti al punto che qualsiasi intervento economico dello Stato rischia soltanto di offrire altri spazi di speculazione alla mafia e di allargare il divario tra nord e sud ed è anche fin troppo chiaro a quali fini, tipicamente preelettorali risponda la scelta politica degli stanziamenti di aiuti, per i partiti, l'Italia meridionale è spesso solo un serbatoio di voti, infatti un partito, la Democrazia Cristiana, ha monopolizzato soprattutto in Sicilia il potere fin dal giorno della liberazione. Certamente i governi si sono preoccupati di votare leggi di emergenza che sulla carta avrebbero dovuto imprimere slancio alla lotta antimafia, ma che si sono risolte in una delega di responsabilità a una struttura dotata di mezzi inadeguati e priva di poteri di coordinamento.
La mafia essendo un fenomeno socio-economico, non può venire efficacemente repressa senza un radicale mutamento della società, della mentalità, delle condizioni di sviluppo, senza la repressione non si ricostituiranno le condizioni per un ordinato sviluppo e occorre sbarazzarsi una volta per tutte delle equivoche teorie della mafia figlia del sottosviluppo, quando in realtà essa rappresenta la sintesi di tutte le forme di illecito sfruttamento delle ricchezze.
Credo che cosa nostra sia coinvolta in tutti gli avvenimenti importanti della vita italiana a cominciare dallo sbarco alleato in Sicilia durante la seconda guerra mondiale e da alleanze con gruppi politici dopo la liberazione per una evidente convergenza di interessi nel tentativo di condizionare la nostra democrazia ancora immatura eliminando personaggi scomodi per entrambi.
Accade quindi che alcuni politici a un certo momento si trovino isolati nel loro stesso contesto, essi diventano vulnerabili e si trasformano inconsapevolmente in vittime potenziali. Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande, si muore spesso perché si è privi di sostegno, si muore perché la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere.
Certo dovremo ancora per lungo tempo confrontarci con la criminalità organizzata, per lungo tempo, non per l'eternità`, perché` la mafia non è invincibile, è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine.
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