di Francesco Annicchiarico
(docente UniBa Taranto)
“Protect me from what I want”(Proteggetemi da ciò che
voglio): frase e opera d’arte composta da luci LED, concepita dall’artista
americana Jenny Holzer, che nel 1982 campeggiò insieme ad altre frasi della
serie “Truisms” sullo schermo gigante di Times Square a New York.
È un pensiero che percorre lo spirito postmoderno, una
definizione del quale, è data dal filosofo Maurizio Ferraris come “il tramonto
di un mito”.
Il mito che termina, con l’avvento del postmoderno, è quello
della modernità con le sue verità “forti” tra le quali si annoverano
principalmente l’illuminismo, l’idealismo e il marxismo e ciò che rimane è una
spinta individualista.
Il filosofo che teorizzò questa nuova concezione sociale e
umana fu il francese Jean-François Lyotard, che nel 1979 pubblicò il saggio
intitolato “La condizione postmoderna” definita, già nelle prime pagine, come “l’incredulità
verso la metanarrativa”: il venir meno della fede nelle grandi ideologie.
Il termine, però, fu coniato, nel 1917, dal filosofo tedesco
Rudolf Pannwitz come aggettivo, nella sua frase: “L’uomo postmoderno si
sottomette alle tendenze culturali, esigenti quanto vane ed irrisorie, della
modernità”, ad indicare un passaggio ad una visione che non agogna più ad abbracciare
i grandi sistemi.
Si trattò solo di una frase e non ancora di un programma estetico e filosofico.
Per i teorici di questa concezione, la gravità della storia passata sembrerebbe
non interessare più: l’individuo vive la propria individualità, risultante
dalla natura egoista ed edonista e al contempo fa i conti con la limitatezza
della propria capacità d’azione, percependo le Istituzioni politiche,
economiche e amministrative distanti dai
propri bisogni.
Un altro importante filosofo, avrebbe individuato la matrice
di questo stato di cose e lo avrebbe esplicitato anche nel titolo della sua
opera più importante del 1986: “Il Postmoderno o la logica del tardo
capitalismo”, ovvero il nuovo corso postmoderno trae origine dalla diffusione
del capitalismo a livello globale e dalla nuova tecnologia utilizzata dai media
di comunicazione.
L’opera citata è di grande pregio intellettuale e vorrei
ricordare alcuni passi:
-“È successo che, oggi, la produzione estetica si è
integrata nella produzione di merce in generale: la frenetica necessità
economica di produrre nuove linee di beni dall'aspetto sempre più inconsueto
(dal vestiario agli aeroplani), con un giro d'affari sempre più grande, assegna
all'innovazione e alla sperimentazione estetiche una funzione e una posizione
strutturali più essenziali.
-“…un’assuefazione – storicamente originale- dei consumatori
a un mondo trasformato in pure immagini di se stesso o a pseudo eventi e
“spettacoli”. E’ ad oggetti di questo tipo che vorremmo riservare la concezione
platonica del “simulacro” – copia identica di un originale mai esistito. Si può
dire che la cultura del simulacro prenda vita in una società in cui il valore
di scambio si è talmente generalizzato da cancellare la stessa memoria d’uso”.
(Jameson, 1986)
Insomma, per Jameson noi prendiamo per reale solo la
porzione di mondo che il mercato globale ci “impachetta” e che ci “spaccia” per
realtà.
Egli riprende una frase di Guy Debord dall’opera “La società
dello spettacolo”: “L’immagine è diventata la forma finale della reificazione”.
La cultura dell’immagine così esplicitata ci condanna a non
conoscere il passato storico perché oggi viviamo: “una situazione storica
nuova e originale, in cui siamo
condannati ad indagare la Storia passando per le nostre immagini ‘ pop’ e per i
simulacri di questa stessa storia, che come tale resta sempre irraggiungibile.”
(Jameson, 1986)
Nella visione del filosofo, il capitalismo unito alla
tecnologia è la causa della condizione postmoderna:
“La tecnologia della società contemporanea è perciò
cattivante e affascinante, non tanto di per sè, ma perchè sembra fornire una
rappresentazione sintetica e privilegiata per comprendere un network di potere
e controllo ancor più difficile da cogliere per la nostra mente e per la nostra
immaginazione - ossia l’intero nuovo network globale decentrato del terzo
stadio del capitalismo.” (Jameson, 1986)
Il terzo stadio del capitalismo sarebbe quello che egli
definisce “multinazionale” e viene dopo il primo stadio “mercantile” ed il
secondo “imperialistico o monopolista”.
Caratterizzante questo terzo stadio è la componente
cospirativa globale, come si evincerebbe
dalle stesse produzioni cinematografiche e di fiction, in cui i soggetti
istituzionali agiscono con l’utilizzo delle tecnologie più moderne a scapito
dei comuni cittadini; egli infatti spiega:
“Soltanto nei termini di quest’altra realtà, quella delle
istituzioni economiche e sociali- enorme e minacciosa, ma percepibile soltanto
oscuramente – è a mio avviso possibile teorizzare adeguatamente il sublime
postmoderno” (Jameson, 1986)
Pertanto, gli uomini di potere sono mossi da interesse
personale, e sarebbe questa la ragione alla base degli scambi economici e
finanziari: nulla viene ideato e prodotto se non per perseguire la volontà di
potenza dei singoli individui o dei governi nazionali.
È lo stesso Friedrich Nietzsche, annoverabile tra i
precursori postmoderni a scrivere in riferimento agli “oltreuomini”: “una specie superiore di
uomini che grazie alla loro sovrabbondanza di volontà, sapere, ricchezza e
influsso, si serviranno dell'Europa democratica come del loro strumento più
docile e maneggevole per prendere in mano le sorti della terra, per plasmare,
come artisti, l'uomo stesso” (Frammenti postumi, 1885,1887)
Qualunque forma ideale, viene così persa, e anche la
scienza, come argomentato da Lyotard, è soggetta alle stesse regole della
finanza postmoderna: nulla viene concepito scientificamente se non ha un valore
di accrescimento economico o militare, altrimenti non verrebbe finanziato, in
quanto privo di utilità.
“(Il sapere) può circolare nei nuovi canali, e divenire
operativo, solo se si tratta di conoscenza traducibile in quantità di
informazione. Se ne può trarre la previsione che, tutto ciò che nell’ambito del
sapere costituito non soddisfa tale condizione sarà abbandonato…. L'antico
principio secondo il quale l'acquisizione del sapere è inscindibile dalla
formazione (bildung) dello spirito, e anche della personalità, cade e cadrà
sempre più in disuso. Questo rapporto tra la conoscenza ed i suoi fornitori ed
utenti, tende e tenderà a rivestire la forma di quello che intercorre fra la
merce ed i suoi produttori e consumatori, vale a dire la forma del valore. Il
sapere viene e verrà prodotto per essere venduto, e viene e verrà consumato per
essere valorizzato in un nuovo tipo di produzione: in entrambi i casi, per
essere scambiato.” (Lyotard, 1979)
La conoscenza è oggetto di studio, limitatamente alla
componente che può essere riconosciuta come merce:
“Si può immaginare
che le conoscenze, invece di essere diffuse in virtù del loro valore
“formativo” o della loro importanza politica (amministrativa, diplomatica,
militare), vengano fatte circolare negli stessi circuiti della moneta,
“conoscenza dei mezzi di pagamento/conoscenza dei mezzi di investimento”, vale
a dire: conoscenze scambiate nell’ambito della riproduzione della vita
quotidiana (riproduzione della forza-lavoro, “sopravvivenza”) versus credito di
conoscenza per ottimizzare le prestazioni di un programma.” (Lyotard, 1979)
Inoltre, la società smette di essere coesa creando forti
divergenze incolmabili.
La volontà di potenza dei singoli individui come degli Stati
Nazione diventa l’unica ragione dell’agire:
“Da questa decomposizione delle grandi Narrazioni..., deriva
ciò che alcuni analizzano come dissoluzione del rapporto sociale e passaggio
delle collettività sociali allo stato di una massa composta di atomi
individuali lanciati in un assurdo movimento browniano” (Lyotard, 1979)
La più importante di queste “Narrazioni”, l’Illuminismo è
ben descritta dallo stesso filosofo francese nell’introduzione della sua Opera:
“…avviene per esempio che la regola del consenso fra
destinatore e destinatario di un enunciato con valore di verità venga
considerata accettabile qualora si inscriva nella prospettiva di una possibile
unanimità degli spiriti razionali: tale era la narrazione dei Lumi, dove l’eroe
del sapere lavora per un fine etico-politico buono, la pace universale. Da
questo caso risulta evidente come legittimando il sapere attraverso una
metanarrazione, che implica una filosofia della storia, si è portati ad
interrogarsi sulla validità delle istituzioni che governano il legame sociale:
anch’esse richiedono una legittimazione. La giustizia diviene in tal modo il
referente di una grande narrazione, allo stesso titolo della verità”. (Lyotard,
1979)
La filosofia postmoderna perde, quindi i valori laici e
illuministici.
La finanza non è più concepita come strumento di
emancipazione dell’individuo, e la banca, l’Istituzione che codifica l’attività
finanziaria, non è più motore di libertà, come lo fu per la fiorente borghesia
duecentesca, che si affermò nei liberi Comuni, Italiani prima e Europei dopo.
Né lo scambio di merci, avrebbe più quel valore che Voltaire
attribuiva e che amerei ricordare in una sua lettera: “Entrate nella borsa di
Londra, questo luogo più rispettabile di tante Corti, vi vedrete riuniti i
deputati di tutte le nazioni per l’utilità degli uomini. Là il giudeo, il
maomettano e il cristiano trattano l’uno con l’altro come se fossero della
medesima religione, e non danno l’appellativo di infedeli se non a coloro che
fanno bancarotta; là il presbiteriano si fida dell’anabattista e l’anglicano
accetta la cambiale del quacchero. (…) Se in Inghilterra vi fosse una sola religione,
ci sarebbe da temere il dispotismo; se ve ne fossero due, si scannerebbero a
vicenda; ma ve ne sono trenta, e vivono felici e in pace”.(VI delle lettere
inglesi dell’ Encyclopédie)
Perché, dunque, nella nostra età attuale la finanza e il
capitalismo evocano scenari postmoderni di oppressione della élite dirigente,
anziché opportunità per i comuni cittadini?
Indubbiamente i fatti di cronaca, ci avvertono della pericolosità
degli uomini di potere, soggetti talvolta senza scrupoli a cui interesserebbe il
solo tornaconto personale, mentre le condizioni di vita e lavorative della
classe popolare peggiorano qualitativamente senza intravedere possibilità di
cambiamento.
Pertanto, verrebbe da chiedersi: le pesanti crisi
economiche, i fallimenti bancari sono la realizzazione sempre più visibile
della concezione nichilista “incredula” della postmodernità?
La società disgregata e atomista, è quindi impotente nei
confronti della spregiudicatezza della classe che governa le istituzioni
politiche ed economiche?
A mio giudizio, la postmodernità caratterizza la decadenza
culturale e conseguentemente istituzionale della nostra società.
La capacità di avversare la tendenza postmoderna
consisterebbe nel proporre ancora l’Illuminismo, libero dai compromessi
culturali che lo hanno mortificato, nel corso delle epoche successive, unito ad
una visione patriottica e romantica.
Chi ricorda le “metanarrazioni” di Giuseppe Mazzini o di
Abramo Lincoln?
Tornando alla finanza, senza la quale non sarebbe possibile
alcuna ipotesi di sviluppo, cosa dovrebbe accadere alle istituzione bancarie
per riacquistare la fiducia dei cittadini?
Anche in questo caso, andrebbero applicati i principi
illuministici di libero mercato: la classe
politica dovrebbe togliere i suoi giri clientelari, create, in Italia,
dalle fondazioni bancarie, che permettono ai politici di governare le banche
e conseguentemente permettono solo ai
pochi raccomandati di ottenere credito oltre ogni merito.
Sarebbe necessario separare la funzione del prestito a
famiglie e imprese, che è la vera ragione dell’importanza di questa
Istituzione, dalla funzione di investimento in prodotti bancari e finanziari,
tristemente noti per l’abuso dei titoli derivati e che dovrebbe essere di
appannaggio degli esperti del settore. Insomma dividere la banca commerciale
dalla banca d’investimento.
La divisione delle due tipologie, permetterebbe di separare
i capitali presi a prestito dai correntisti, dagli impieghi in attività
finanziarie che niente hanno a che fare con la crescita economica e sociale, ma
solo con attività speculative di cui beneficiano soltanto le cerchie
dirigenziali e clientelari.
Perché ciò non viene fatto? Forse è proprio la mancata
educazione laica anche in questo settore, e la tendenza culturale che in questo
articolo è stata descritta come postmoderna, che spinge verso una visione
irrimediabilmente decadente senza spiegare i termini della questione.
Ricordo una frase di
Abramo Lincoln: “Dobbiamo avere fede che la ragione disponga della forza” che
apre la via ad una narrazione illuminata.
Inoltre ricordo l’ importante elettore del politico
americano: il poeta e filosofo Ralph Waldo Emerson: “L’uomo deve essere
capitalista” in quanto: “la vera prosperità consiste nello spendere sempre su
un piano più elevato; nell’investire e investire, così da poter spendere in
creazione spirituale e non nell’accrescere l’entità animale”.
Un ritorno pertanto alla narrazione, da opporre al declino
attuale.
È questa infatti la forza dell’Occidente fin dalle
origini, ed è lo stesso Lyotard a
ricordarcelo:
“… è con la sua stessa forma, che lo sforzo di
legittimazione nei ‘Dialoghi’ scritti da Platone, rende l'onore delle armi alla
narrazione; l'uno e l'altra rivestono sempre infatti la forma del racconto di
una discussione scientifica. Poco importa qui che la storia del dibattito sia
più rappresentata che riferita, messa in scena piuttosto che narrata e che
appartenga dunque più alla tragedia che all’epica. ..Il sapere scientifico non
può sapere e far sapere che è il vero sapere senza ricorrere all’altro sapere,
il racconto” (Lyotard, 1979)
Di Aristotele, il filosofo francese scrive:
“Aristotele è stato indubbiamente uno dei più moderni,
isolando la descrizione delle regole cui devono sottostare gli enunciati
che si dichiarano scientifici (l’Organon)
e della ricerca della loro legittimità all’interno di un discorso sull’essere
(la Metafisica).” (Lyotard, 1979)
L’antica Grecia da cui ha avuto origine la narrazione
occidentale ha contenuto in sé i germi della forza di progresso umano, come
egli stesso scrive:
“Questa inclinazione generale della modernità a definire le
condizioni di un discorso in un discorso sulle condizioni, si accompagna ad una
reintegrazione della dignità delle culture narrative (…) già nell’umanesimo
rinascimentale, e successivamente con modalità diverse nell’Illuminismo… Questo
esplicito ricorso alla narrazione nella problematica del sapere coincide con
l’emancipazione delle borghesie dalle autorità tradizionali. Il sapere
narrativo ricompare in Occidente per offrire una soluzione alla legittimazione
delle nuove autorità… Chi ha il diritto di decidere per la società? Qual è il
soggetto le cui prescrizioni hanno valore normativo per coloro che esse
obbligano? Questo modo di interrogare la legittimità socio politica si combina
con la nuova attitudine scientifica: il nome dell’eroe è il popolo, il segno
della legittimità è il consenso popolare, il modo della produzione normativa è
la deliberazione. Ne deriva immancabilmente l’idea di progresso…”(Lyotard,
1979)
Nonostante l’ottima analisi del filosofo postmoderno, egli
evidenzia la sua avversione al sistema:
“Ognuno dei grandi racconti di emancipazione, a qualunque
genere abbia dato l’egemonia, è stato per così dire invalidato nel suo
fondamento dagli ultimi cinquant’anni. – Tutto ciò che è reale è razionale,
tutto ciò che è razionale è reale: “Auschwitz” confuta la dottrina speculativa.
Almeno questo crimine, che è reale, non è razionale. – Tutto ciò che è
proletario è comunista, tutto ciò che è comunista è proletario: “Berlino 1953,
Budapest 1956, Cecoslovacchia 1968, Polonia 1980” (e la serie non è completa)
confutano la dottrina del materialismo storico: i lavoratori insorgono contro
il partito. – Tutto ciò che è democratico viene dal popolo e va al popolo, e
viceversa: il “Maggio 1968” confuta la dottrina del liberalismo parlamentare.
Il sociale quotidiano mette in crisi l’istituzione rappresentativa. – Tutto ciò
che è libero gioco della domanda e dell’offerta favorisce l’arricchimento
generale, e viceversa: le “crisi del 1911 e del 1929” confutano la dottrina del
liberalismo economico mentre le “crisi degli anni 1974-1979” confutano la
versione post-keynesiana di essa”.
(Lyotard)
“ L’inevitabilità storica” di questa condizione è sempre
oggetto di riflessione, per Jameson: “Possiamo individuare qualche momento di
verità dentro i più evidenti momenti di falsità della cultura
postmoderna?....Non tende forse a smobilitarci e a consegnarci alla passività e
all’impotenza, facendo svanire sistematicamente le possibilità di azione nella
nebbia impenetrabile dell’inevitabilità storica? Converrà discutere questi due
problemi (relati) nei termini delle attuali possibilità di condurre oggi una
efficace politica culturale e di costruire una
cultura genuinamente politica.”
Una svolta culturale, nella realtà odierna dominata dalla
forza delle immagini, dall’iperrealtà visiva e virtuale e da un flusso informativo ininterrotto , potrà
trovare campo d’azione in nuovi collegamenti con le migliori tradizioni del
passato: un’opera “aperta”, pertanto, citando l’ importante opera di Umberto
Eco, in cui scienza e linguaggio di oggi trovano i loro precursori:
James Joyce, in primis, ben ricordato da U. Eco:
“In Finnegans Wake (l’ultima Opera di Joyce) infine siamo
veramente in presenza di un cosmo einsteniano, incurvato su se stesso – la
parola di inizio si salda con quella finale – e quindi finito, ma proprio per
questo illimitato” (da “Opera Aperta” ed. 1997)
Vorrei ricordare una frase, in particolare, del Finnegans
Wake: “I miei consumatori non sono forse i miei produttori?”.
Un concetto sul quale anche i banchieri di oggi dovrebbero
riflettere quando attuano nuove strategie.
Ai pensatori del postmoderno, spesso critici nei confronti
della cultura occidentale, vorrei rivolgere un’altra frase di Joyce: “L’Ovest
scuoterà l’Est svegliandolo, mentre tu
cammini avendo la notte per il dì”.( Finnegans Wake, 1939).
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