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venerdì 29 luglio 2016

Il mio Mediterraneo si racconta tra archeologia ed etno –antropologia

di Pierfranco Bruni*

Archeologia ed etno – antropologia: un viaggio tra popoli e civiltà.  Le minoranze etno-linguistiche hanno una loro etnie di origine (non tutte le minoranze classificate possono essere considerate, comunque, sotto dei parametri etnici originari perché accanto a modus storici vi sono anche modus linguistici che non sono certamente da rapportare a dei dialetti) in quanto sono portatori di interessi culturali primigenei e, proprio in virtù di ciò, i territori sono i veri luoghi di una comprensione che non può prescindere da una rappresentazione che deve avere una sua specificità nel dato archeologico e nella lettura archeologica dei territori stessi.



Oggi più che mai bisogna penetrare quelle realtà storiche nel cui interno insistono dimensioni etno - archeologiche. La cultura degli Arbereshe o dei Catalani o degli Occitani o Provenzali o Grecanici ha una sua sistematicità in una temperie territoriale e non solo storica. Ecco perché il rapporto tra i luoghi reali e i non luoghi di una metafora viva nell’antropologia moderna va oggi riscontrata sia sul piano di una metodologia storica sia attraverso uno scavo che possa mettere in relazione i popoli che hanno abitato un determinato territorio sia come insediamento vergine sia come insediamento sopraggiunto.

E’ su questo profilo che i popoli si interpretano e vanno riconosciuti in una geo-politica che possa abbracciare, certamente, il loro destino ma anche la loro conflittualità storica. Non so se affermando che le presenze minoritarie in Italia sono il risultato di un conflitto esistente nei popoli di appartenenza nei quali si è creata una frattura e quindi una successiva diaspora, sia errato o meno. Ma è naturale che queste etnie costituitesi tali nel contesto italiano provengono o da una diaspora o da un ripopolamento coatto di un territorio o da una tradizione  di viaggiatori che hanno lasciato le loro terre e che hanno trovato una loro terra simile a quella abbandonata.

La loro presenza nell’attuale situazione geografica e storica è frutto di una persistenza e di un credo  che non è soltanto la fedeltà ad una etnia ma forse è qualcosa di più  che si trova nel valore di difesa di una identità e di una tradizione. Soprattutto in quei popoli provenienti da una storia mediterranea, il valore di etnia rapportato a quello di tradizione si impone e si impone anche come trasposizione di elementi che hanno come riferimento il mare. La metafora e la realtà del mare non sono trascurabili perché in essi ci sono, antropologicamente, il luogo e il non luogo, il viaggio e la diaspora, la fuga e il ritorno. Sentimenti che sono alla base di una consapevolezza “etnica” delle minoranze. 
Si pensi appunto agli Arbereshe ai Catalani ai Gracanici. Popolazioni ben delineate all’interno di una dimensione geografica che è storia del Mediterraneo. Non si può eludere il fatto che queste tre etnie (come d’altronde anche quella Occitana) sono nate all’interno di una cultura che è quella del Mediterraneo non soltanto in un incidere che è storico ma è profondamente archeologico, in quanto le culture della Magna Grecia, la cultura dei Fenici, e più tardi la cultura Ispanica sono state al centro di un progressivo modello letterario.
Dove è presente una forte letteratura l’archeologia ha contribuito a trasformare i non luoghi della memoria e della metafora in luoghi della coscienza e della storia. Queste etnie citate si sono ben integrate nel territorio di accoglienza e molte loro istanze etniche sono diventate testimonianze importanti e modelli di confronto con le realtà territoriali esistenti. Ma è proprio sulla versione di una lettura archeologica che queste etnie possono maggiormente provare una loro capacità di sintesi. In fondo sono il portato di quella chiave di volta che pone come tensione culturale l’idea di occidente ed oriente. Il bacino del Mediterraneo è l’espressione di un essere e di un sentire che si tramanda tra popoli.
Ci troviamo in un contesto di ramificazione Greco - Balcaniche e Latine. Nelle Regioni nelle quali queste presenze si sono insediate la costante archeologica mediterranea continua a svolgere una sua specificità di ricerca. Ed è naturale che l’insieme dei fattori importati ed esistenti ha fatto si che queste comunità trovassero un luogo di esistenza che è diventato in fondo identitario pur in una diversità etnica di partenza, che non pochi problemi avrebbe potuto mostrare.
E’ più opportuno realizzare delle letture tra archeologica ed etnologia (in una dimensione giustamente antropologica) grazie ad una verifica sul territorio. Perché è qui che si regolarizzano i sistemi di approccio. Una minoranza etnica resiste in un territorio non solo per motivi di accoglienza e di accettazione umana e culturale reciproca ma anche perché ci sono “segreti” che il territorio stesso riesce a contenere, a custodire, ad amalgamare. La prima lettura di un territorio passa in una chiave di interpretazione archeologica.
Archeologia e minoranze etnico – linguistiche è un rapporto di straordinaria rilevanza scientifica (tutto da approfondire) che resta completamente aperto, ma da ciò si potrebbe, attraverso una riflessione comparata e articolata sul piano delle discipline, dare maggiore senso alla persistenza di alcuni popoli che hanno costruito una loro storia, sulla loro antica storia, all’interno dei nostri territori, i quali non hanno mai dimenticato il valore di quelle culture sommerse che vanno difese grazie ad una espressione di umanità che pone a confronto la tradizione e l’identità. Proprio il legame tra tradizione e identità scava nelle eredità delle civiltà.




* Pierfranco Bruni, Archeologo, Responsabile Progetto Etnie – Minoranze etnolinguistiche storiche del Mibact





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