Ripropongo una mia vecchia riflessione di qualche anno fa: credo che sia sempre attuale.
Tante, tantissime, alcune con il loro proprio nome e altre no, ma tutte dolorosamente incantevoli, gioiosamente indimenticabili,sensualmente attraenti. Diverse, mutevoli, variegate, esse s'aggirano - di solito con ingenua dolcezza, talvolta con determinazione commossa - da una canzone all'altra, da un testo all'altro, a formare le perle di una sfolgorante collana.
Per tutte, Fabrizio De André sa trovare qualche parola che, anche con brevissime pennellate, le rende vive; e sono parole che sempre, anche quando spunta il sorriso dell'ironia, dicono la donna con rispetto.Tante donne, tante diverse tra loro, per ruolo e per età:Sotto la croce, s'intrecciano le voci di tre madri; accanto a Maria, infatti, piangono la morte del figlio anche le madri dei due ladroni; anzi, disperate, esse rimproverano amaramente la madre di Gesù per le sue troppe lacrime: lei sa infatti che suo figlio è destinato a risorgere il terzo giorno, mentre il loro sarà morto per sempre. Ma è allora, nella replica di Maria, che ritroviamo la sintesi (totale e profonda) del sentimento materno, che è legame inestinguibile ma anche essenzialmente carnale; queste infatti sono le sue parole:
che vedo spegnersi ora per ora. […] Per me sei figlio, vita morente,
[…] Non fossi stato figlio di Dio, t'avrei ancora per figlio mio. (Tre madri, 1970)
Certo, De André è capace di creare una grande varietà di tipi nel campionario della donna-prostituta: c'è Bocca di Rosa che fa l'amore per vocazione, c'è la grande puttana scambiata dal re Carlo Martello per virtuosa pulzella, c'è l'ingenua fanciulla (che ancora crede a Babbo Natale) trasformata in una dea bellissima cinica e infelice.
Ancora, c'è la cortigiana di lusso che, ormai vecchia, è ridotta a vendere immaginette sacre all'angolo della chiesa, e c'è la prostituta bambina, ancora priva di esperienza ma pronta a imparare; c'è quella che pronuncia i fatidici "micio bello e bamboccione" e quell'altra che inganna un vecchio, per derubarlo con il suo complice-protettore. Il vecchio (creduto ricchissimo) sostiene di non possedere nulla: irati, i due lo uccidono, ma quando si accorgono che aveva detto la verità, si pentono e s'inginocchiano "sul pover'uomo / chiedendogli perdono".
Mai per De André la prostituta è veramente colpevole; la colpa, semmai, è dalla parte di chi profitta dei suoi servigi: così è per Maggie "uccisa in un bordello / dalle carezze d'un animale", così è per Nancy, che nel suicidio ha cercato il rimedio alla sua insopportabile solitudine; e il dito è puntato su quel "noi" che di lei ha usato e abusato, rifugiandosi dietro una falsa buona coscienza: "Dicevamo che era libera / e nessuno era sincero"; egualmente è smascherata la buona coscienza del professore in pensione (piccolo-borghese spregevole e, difatti, disprezzato) che di giorno definisce la prostituta come "pubblica moglie" e che di notte spasmodicamente la cerca e la paga.
Graziosa, bambina, puttana: questa è la prostituta di De André, il quale chiude la canzone a lei dedicata con le notissime parole dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fior.E fiori nati dal letame, oltre alla prostituta, sono le numerose figure di donna che popolano gli spazi dell'emarginazione, così frequenti nel canzoniere di De André: sono gli indimenticabili personaggi di Sally, la zingara con il tamburello, di Pilar, la ragazza drogata e assassinata, di Princesa, amara figura di transessuale; sono le giovani spose rom, che vanno a mendicare "con le vene celesti ai polsi"; è Maddalena, compagna del fuggiasco in terre messicane ed è Franziska, la promessa sposa del bandito eternamente in attesa, eternamente sola, sulla quale nessun uomo può posare gli occhi, pena la vendetta; è Suzanne infine, Suzanne, la pazza incantevole, adorna di "stracci e piume / presi in qualche dormitorio": silenziosa e dolcissima, Suzanne la pazza sa far conoscere l'amore, un amore libero e armonioso, anche questa volta tra spazzatura e fiori.
Ma non sarebbe giusto chiudere queste note dedicate alla figura femminile nel canzoniere di De André su una tanto disperante visione; bardo della donna assoluta, della donna sintetica, De André - lo abbiamo visto - sa chinarsi sulla sua condizione con sorridente affetto, con dolente pietà, sino a svelarne le radici più nascoste. Tuttavia, Fabrizio De André è un uomo, e sembra quasi riconoscere che per lui nella donna c'è ancora del mistero, c'è ancora un'insondabile, un'inconoscibile essenza.
Così, nella raccolta Le nuvole (1990), il primo testo (un recitativo che porta lo stesso titolo), vede tacere il cantore della donna, che preferisce cedere a lei, donare a lei la parola. Ed ecco allora sorgere, lente e quiete, le voci di due donne, una giovane e una vecchia, che dicono con dolcezza le semplici figure disegnate in cieli dalle nuvole, in una delicata, incantatoria ricerca di magia, ricerca di sogno, ricerca di infinito, desiderio di pioggia:
che non vedi più il sole e le stelle
e ti sembra di non conoscere più
il posto dove stai.
Vanno, vengono, per una vera
mille sono finte
e si mettono lì tra noi e il cielo
per lasciarci soltanto una voglia di pioggia.
http://www.youtube.com/watch?v=IbfKwXEOjxE
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