Analisi della realtà storica e delle vigenti leggi dell'epoca dei fatti e del processo che ha portato Gesù alla condanna
di Maria Beatrice Maranò
Analizzare la realtà storica e le leggi vigenti all’epoca dei fatti e il processo che ha portato alla condanna di Gesù, non è cosa semplice La prima domanda che mi sono posta è se sia legittimo parlare di condanna nel senso giuridico del termine e cioè se tale condanna sia stata scaturigine di una vero e proprio decretum ( nel significato di sentenza di condanna, nel diritto romano vigente all’epoca), o di una vera e propria pronuncia del Grande Sinedrio organo deputato per la legge ebraica dell’epoca a decidere?
In medias res ( senza la presunzione di essere Virgilio nell’Eneide), caliamoci nella realtà storica dell’epoca. Siamo nel 33 d.c. ( è questa la data che la tradizione della Chiesa colloca come di morte e resurrezione di Cristo). L’imperatore Romano, tra l’altro primo ad entrare in contatto con la neonata religione cristiana fu Tiberio. Alcune fonti cristiane (Giustino e Tertulliano) riferiscono infatti di un messaggio inviato dal prefetto di Giudea, Ponzio Pilato a Tiberio nel 35 d.c. riguardante la crocifissione di un certo Gesù di Nazareth. Il non aperto sfavore di Tiberio si evidenzia dalla proposta che egli stesso avanzò al Senato di riconoscimento del Cristianesimo come religio licita, ma avendo ricevuto un rifiuto, avrebbe posto soltanto un veto generico ad accuse e persecuzioni nei confronti dei seguaci di Gesù.
In Palestina invece ( nome dato dai romani alla terra d’Israele ) anticamente chiamata Canaan vi era la regione della Galilea al Nord (governata per conto dei Romani al tempo di Gesù da Erode Antipa, figlio di Erode), e al sud la Giudea, molto più estesa territorialmente (governata al tempo di Gesù, per conto dei Romani da Ponzio Pilato)
La domanda circa l’esistenza a quell’epoca di specifiche leggi anticristiane, non trova una risposta univoca.
ASPETTO NORMATIVO
1) Un primo orientamento riscontrabile in Tertulliano e Lattanzio ( filocristiani), individua l’esistenza di un‘antica e confusa foresta di leggi, non specificatamente anticristiane ma volte a preservare le tradizionali religioni politeiste e con esse i Mores Maiorum. 2) Una differente ricostruzione è stata operata dal Mommsen : considerato che la diffusione del Cristianesimo creò problemi sociali più nelle provincie, che non in Roma e nell’area italica le problematiche connesse alla repressione del Cristianesimo riguardarono più gli organi periferici che gli organi centrali, più i governatori che gli imperatori. Secondo questo indirizzo, nelle provincie, le persecuzioni dei Cristiani, non avrebbero dato luogo a processi, ma ad azioni di polizia giudiziaria fondate sullo ius coercitionis spettante ai magistrati romani. Tali misure sarebbero state la conseguenza di inertia, pertinacia o obstinatio di celebrazione dei culti tradizionali, e quindi all’implicito misconoscimento della maiestas Caesaris. 3) Secondo un terzo orientamento la repressione del Cristianesimo avrebbe trovato il suo fondamento nel diritto penale comune. I Cristiani sarebbero stati perseguitati non per la loro fede ma in quanto rei di lesa maestà ( e qui si colloca Crimen maiestatis –ed il reato di sedizione puniti dalle leggi : lex Cornelia de maiestate emanata da Lucio Cornelio Silla nell’81 a.c. che prevedeva la pena capitale o l’interdictio acqua et igni e la lex Julia de maiestate 8 a.c. Augusto , che prevedeva sempre la pena capitale o l’interdictio acqua et igni), Crimen Vis ( Lex Plautia de vi 70-80 a.c. con pena capitale e interdictio acqua et igni) ; il crimen homicidi ( punito con la Lex Cornelia de sicariis et veneficis )..e poi i reati di incendio , infanticidio, incesto e magia. Tuttavia il diritto penale comune rafforzava e forniva pretesti ad una repressione, per la fede, difficilmente giustificabile sul piano della legittimità costituzionale. Fu dopo Tiberio che si realizzò l’apice della persecuzione anticristiana, nel 35 d.c. con il martirio di Santo Stefano – lapidato e nel 64 d.c. con l’Insitutum Neronianum ( il famoso incendio appiccato a Roma del quale i Cristiani furono accusati da Nerone).
SISTEMA PROCESSUALE VIGENTE
Per ciò che attiene le fasi del processo vero e proprio a Gesù, occorre distinguere le varie fasi di esercizio del potere giurisdizionale sulla persona di Gesù, e comprendere le leggi esistenti a livello centrale e a livello periferico di carattere processuale.
SISTEMA PROCESSUALE VIGENTE EBRAICO
Nell’ambito di applicazione della legge Ebraica risulterebbe certo che non fosse possibile la condanna per un reato capitale basata sulla testimonianza di un numero di testimoni inferiori a due ( unus testis nullus testis). Sotto le prescrizioni rabbiniche l’accusato aveva diritto alla consulenza legale. Tanto per la Legge Mosaica quanto per la legge Ebraica la confessione non era una prova regina ( mentre oggi negli ordinamenti giuridici più evoluti il cosiddetto onere della prova pesa sullo Stato essenzialmente per stabilire se la confessione è stata prestata liberamente volontariamente ed intelligentemente), lo Stato non avrebbe mai potuto basarsi su una confessione.
Anche le prove circostanziali non avevano valore come pure le testimonianza de relato. Insomma per la legge ebraica vigeva la presunzione di innocenza.
L’accusato in un processo per reati capitali doveva essere processato e giudicato di giorno ed in pubblico. Nessuna prova poteva essere prodotta in assenza dell’accusato.
I testimoni non dovevano sottostare ad alcun giuramento, bastava il comandamento ed inoltre la previsione che mentire in un processo per reati capitali, causava la morte, e inoltre i testimoni dovevano essere presenti all’esecuzione che avevano cagionato con la loro testimonianza.
Il Grande Sinedrio ( Supremo Consiglio / Corte Ebrea ), era l’unica assise con giurisdizione sui crimini punibili con la morte. Era una Corte di 70 membri, presieduta da un Gran Sacerdote e composta da una camera religiosa di 23 membri ( sadducei) da una camera legale di 23 scriba ( esperti di legge di estrazione farisea ed una camera popolare di 23 anziani.
L’età prevista per farvi parte era di almeno 40 anni bisognava essere di impeccabile integrità ed ebrei stretti ( da parte di entrambi genitori). I verdetti venivano decisi solo sulla base delle testimonianze presentate in aula. Il Sinedrio non si poteva riunire nel periodo Pasquale.
Vi era un udienza preliminare nel corso della quale veniva portato un sommario di prove. Una maggioranza semplice era sufficiente per assolvere o condannare. Se veniva decisa l’assoluzione il processo si chiudeva immediatamente e l’eventuale difensore veniva esonerato dall’incarico.
Se invece veniva decisa l’imputabilità, non poteva essere emesso il verdetto lo stesso giorno. La Corte doveva aggiornarsi per un giorno solare intero. I giudici potevano recarsi a casa ma non dovevano permettere ai loro pensieri divagazioni. Nella seconda votazione, frutto di abbondante meditazione nessun innocentista poteva modificare il suo voto, mentre lo potevano modificare i giudici colpevolisti, nel corso della prima votazione. Non era possibile alcun verdetto unanime di colpevolezza. Tale situazione avrebbe condotto ad un immediata assoluzione e rilascio sulla base di quanto previsto dalla legge Mosaica, che supponeva in caso di split decision- verdetto unanime di colpevolezza , una coospirazione. Il sistema di esecuzione caratteristico del popolo ebraico era quello della lapidazione o dello strangolamento.
SISTEMA PROCESSUALE ROMANO
A Roma le procedure processuali erano di due tipi : a) Le Quaestiones, che prevedevano formali giudizi con giuria ed eventuale difensore nelle quali reato e pena erano prefissate. In questo periodo la pena era spesso capitale ( decapitazione o strangolamento) sostituita con l’esilio ( interdictio aqua et igni) B) La cognitio ( o cognitio extra ordinem) in cui il potere inquisitorio o di indagine e decisionale risiedeva nelle mani del magistrato romano con grande discrezionalità; In questo caso l’emissione del decretum ( sentenza), poteva conseguire a procedimenti diversi : 1) pro tribunale quando la sentenza veniva emessa nel contraddittorio delle parti ed il magistrato giudicante era assistito da un consilium 2) procedimento de plano quando la sentenza veniva emessa direttamente senza speciali formalità ed il magistrato assumeva la veste di investigatore, giudice e giuria e che poteva comportare i cd “summa supplicia” ( crocifissione, condanna “ad bestias”, vivi combustione), oltre a nuove forme di sanzione quali la condanna “ad metalla”, “ad ludos”, i “opus pubblicum” “deportatio” “relegatio” “exilium”.
Alla luce di queste regole il processo di Gesù come descritto dai sinottici (Luca Matteo e Marco) e da Giovanni ci appare seguire un suo corso, molto discrezionale.
Le varie fasi del processo sono le seguenti
1) Arresto Cattura
Questa si verifica di notte, ( ma salvo casi eccezionali come la flagranza gli arresti potevano essere effettuati solo di giorno), in assenza di un mandato legale ( un’ altra violazione delle leggi rabbiniche). La procedura ha le caratteristiche di una coospirazione , con la complicità di Giuda, a mezzo della famosa bustarella dei trenta denari d’argento). Giuda è paragonabile ad un moderno pentito che riceve protezione, assistenza e assegno di mantenimento in cambio dell’ausilio che fornisce per la cattura di un boss.
2) PROCESSO vero e proprio
A) VERSIONE DEI SINOTTICI: PRIMO SINEDRIO, avviene di notte , in violazione di legge, senza convocazioni ufficiali ma in modo ufficioso e irregolare. Sono presenti testimoni, con versioni non concordi. Sono presenti discepoli ed altri soggetti non appartenenti alla Corte. Vengono portate accuse di blasfemia e viene estorta una sorta di confessione, il secondo Sinedrio avviene solo dopo poche ore e senza che sia passato un giorno intero. E nel periodo pasquale cosa vietata dalla Legge Ebraica. In uno dei sinottici Marco, si riporta “e tutti sentenziarono che era reo di morte”ma la condanna unanime avrebbe portato all’assoluzione perché sintomo di cospirazione. Inoltre le accuse di blasfemia per la legge Ebraica avrebbero portato alla lapidazione, per la crocifissione e la pena capitale c’era bisogno dell’intervento delle autorità centrali. Ecco perché l’esito della condanna in fustigazione e crocifissione ci fa propendere per la versione di Giovanni.
B)VERSIONE DI GIOVANNI: riferisce una procedura che assomiglia alla cognitio extra ordinem romana con procedimento per l’emissione del decretum de plano e cioè Caifa che interroga Gesù da solo e probabilmente accertato che il reato di sedizione non era di competenza del Sinedrio, lo conduce direttamente da Pilato. Una volta condottogli l’accusato Pilato non domanda perche cosa sia stato condannato dal Sinedrio ma di che cosa sia accusato, Nella risposta presentata in Giovanni “se costui non fosse un malfattore non te lo avremmo condotto”, Pilato risponde: “ prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge”
Ma i possibili esiti delle decisioni di Pilato in caso di processo del Sinedrio e applicazioni della legge Ebraica avrebbe portato ad un nihil factum:
Se Gesù era accusato di blasfemia sulla base di testimonianze non conformi. Pilato avrebbe rovesciato il verdetto
Se Gesù era presentato come reo confesso Pilato avrebbe dovuto annullare la sentenza
Se Gesù era presentato con condanna unanime del Sinedrio Pilato avrebbe dovuto assolverlo.
Tutte queste argomentazioni conducono nel senso che sia stata seguita una COGNITIO EXTRA ORDINEM con procedimento per l’emissione del decretum de plano
D’altro canto i molti seguaci di Gesù avrebbero portato molto disordine in caso di riunione del Sinedrio.
Quale Prefetto di una zona calda e periferica Pilato poteva seguire una procedura ad hoc ( riportata in Giovanni) e accusare Gesù sulla base di crimini generali ( dei quali abbiamo parlato all’inizio), con un sostegno normativo scaturigine del potere centrale e risalenti a molti anni prima, e quindi accusandolo di Lesa Maestà e quindi di un tradimento contro le autorità centrali e contro Cesare avrebbe potuto scongiurare per il futuro sedizioni e ribellioni contro le autorità centrali.
3) INTERROGATORIO DINANZI A PILATO
Il comportamento di Gesù e’ ambiguo, quasi tutte le espressioni verbali sono incoerenti con il Sitz in leben ( le parabole), anche se congrue con la ricostruzione religiosa cristiana (successiva di almeno un secolo). Gesù si rifiuta di rispondere. Frasi riportate dai sinottici ( Marco e Matteo: “Tu lo dici”), alla domanda Tu sei il re dei Giudei?, possono significare : l’hai detto tu, “E’come tu dici” , “Questo è quello che dici tu”ma Pilato sembra considerarla una negazione. In Giovanni : Pilato : “ Dunque tu sei re?”, Rispose Gesù : “ Tu dici bene che sono Re. Io per questo sono nato e per sono venuto al mondo: per rendere testimonianza di verità. Chiunque è della verità ascolta la mia voce”. Anche l’interrogatorio ci fa propendere per il capo d’imputazione della lesa maestà.
Inoltre l’espressione figlio di Dio nei Vangeli è resa coi termini greci “ Uios tou Theou “( letteralmente figlio di Dio), mentre nella versione latina Filius Patris figlio del Padre sull’eco del tabù Ebraico che proibisce di nominare il nome di Dio invano. Ora, ma se tutto il processo si svolge in Aramaico quali parole avrebbe usato per chiedere a Gesù se era figlio dell’Altissimo o del Padre? Semplicemente l’espressione Bar Abba
E comunque l’eventuale blasfemia nel dichiarare se medesimo figli di Dio, per la legge Ebraica ( per la quale la confessione non aveva valore), non avrebbe determinato una condanna.
In questa atipica cognitio extra ordinem con procedimento per l’emissione del decretum de plano, in un primo momento Pilato per espressa ammissione dei sinottici e di Giovanni non riscontrò alcun capo d’imputazione e quindi ne sancì l’innocenza. In Luca si riferisce il passaggio ad Erode per questione di competenza, provenendo Gesù dalla Galilea ma Erode propenso ad una assoluzione o ad una dichiarazione di incompetenza lo restituisce indenne e vestito di bianco. La figura di Pilato che a questo punto se ne lava la mani, viene inquadrata dai Vangeli come figura di un uomo che ne sancisce l’innocenza e quindi una figura non negativa, così pure negli Atti degli Apostoli e negli Apocrifi come nel Vangelo di Pietro. In realtà la misteriosa usanza di liberare un prigioniero che emerge dai Vangeli non ha un riscontro normativo nelle leggi rabbiniche né nelle usanze ebraiche, e pertanto il gesto di lasciar decidere alla popolazione, costituisce una totale discrezionalita’ all’interno delle cognitiones extra ordinem fino a quel momento praticate. Non solo l’epilogo cruento e spaventoso che ne seguì con una doppia pena fustigazione e crocifissione e quindi con una metodica del tutto distante dai paradigmi ebrei ma anche da quelli romani fin qui praticati e la conseguente iscrizione I.N.R.I. “ Il re dei Giudei”, e’ un esecuzione in applicazione di una cognitio extra ordinem, con ampia discrezionalità avente come finalità di rappresentare una sanzione deterrente e repressiva (cfr Ipotesi su Gesù di Vittorio Messori) verso una popolazione ribelle ed indisciplinata e probabilmente risultato di una condotta indiscriminata di uno dei tanti uomini della storia, che per mantenere inalterato il proprio potere o accrescerlo e’ passato incurante in modo spaventoso e terrorizzante, sopra una vita umana consegnandoci il mistero della morte di Cristo che con fede contempliamo e ricordiamo. D'altra parte, dallo storico giudeo Giuseppe Flavio sappiamo che Pilato non brillava per tatto e abilità diplomatica nei confronti di un popolo così indomito e duro. Né Pilato, né Giuseppe Flavio né lo stesso Tacito ( che cita quel processo nei suoi Annali), avrebbero immaginato che quell'atto processuale, celebrato in una sperduta provincia dell'Impero romano, avrebbe segnato indelebilmente la storia dell'umanità. Come ha scritto lo studioso inglese Samuel S. G. Brandon nel suo Processo a Gesù (1968), quella sentenza fu "la più importante della storia dell'umanità. Nessuna azione giudiziaria intentata contro una persona è conosciuta da un numero altrettanto grande di persone. Gli effetti del processo di Gesù nella storia umana sono incalcolabili". I più celebri casi giudiziari, come quello contro Socrate svoltosi ad Atene nel 399 prima dell'era cristiana o quello che nel 1431 mandò al rogo Giovanna d'Arco o quello aperto dall'Inquisizione contro Galileo nel 1633, impallidiscono di fronte alle due sbrigative sessioni processuali, durate meno di 24 ore e celebrate davanti al Sinedrio e al procuratore romano, che mandarono alla pena capitale Gesù di Nazaret attorno agli inizi degli anni 30.
Quelle ore si sono iscritte non solo nella storia, ma anche nella fede di milioni di persone e ancor oggi rivisitarle è un'avventura rischiosa perché in esse si intrecciano questioni storiche, problemi teologici, emozioni spirituali e persino degenerazioni secolari. Non possiamo, infatti, ignorare che per secoli il processo di Gesù è stato l'occasione per bollare di "deicidio" i "perfidi giudei" e scatenare gli eccessi dell'antisemitismo più infame. I misteri medievali sulla passione di Cristo mettevano in scena gli ebrei del Sinedrio vestiti come gli ebrei dei ghetti di allora, lasciando così talora via libera a violenti sfoghi e a incursioni antigiudaiche. C'è voluto il concilio Vaticano II, con la sua "Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane" (Nostra aetate), per avere il coraggio di affrontare questa storia spinosa in modo nuovo: "Sebbene autorità ebraiche coi propri seguaci si siano adoperati per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi né agli ebrei del nostro tempo" .
L’esame normativo e processuale fatto, in questo scritto si mostra in linea con questa impostazione.
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