Che ora è ?

martedì 1 novembre 2016

E tu italiano, quanto sei resiliente? di Ciro Urselli


Ovvero della capacità di adattarsi, tollerare ed assorbire i cambiamenti


Il terremoto nel reatino del 24 agosto scorso, di mercoledì 26 e domenica 30 ottobre, nel centro Italia con i suoi effetti devastanti – fisici e psicologici – sugli edifici, strutture, ecc., ma soprattutto sulle persone interessate permetterà di analizzare la complessa situazione con uno sguardo più introspettivo. Gente che ha perso la propria casa, i propri cari e che trova il proprio modo di vivere stravolto, reagisce differentemente in base a tanti fattori più propriamente intimi, ma anche esterni. 

La visione del futuro è cambiata come sono cambiati i punti di riferimento individualila prospettiva di questa gente si radica in un paesaggio che dischiude uno sguardo particolare sulla realtà. Uno sguardo che ora è disorientato, ma irrinunciabile per l’umanità  intera. Per questo non basta pensare genericamente a una ricostruzione di edifici: per contenere gli effetti devastanti di questa frattura, anche nelle biografie individuali e nella vita di una comunità, non bastano gli aiuti, la solidarietà, la promessa di ricostruzione. Sono necessari, ma non sufficienti!
Siamo davanti a una catastrofe che richiede un impegno dell'intera Unione europea: c'è la necessità di salvare il cuore d'Italia ma anche la culla della civiltà dell'intero continente. Il simbolo è proprio il crollo della chiesa di San Benedetto da Norcia: il santo che nel quinto secolo fondò il monachesimo in Occidente, creando nelle mura di Montecassino il rifugio per quella cultura che rischiava di venire cancellata dalle invasioni barbariche. Fu quel frate di Norcia a segnare la strada per il rinascimento europeo: una lezione che adesso deve servire d'esempio per mobilitare tutta l'Ue nel cammino di rinascita dei paesi terremotati. 
Occorre sviluppare in tutti i coinvolti la resilienza, ovvero, quella capacità di sostenere gli urti senza spezzarsi, che non è solo una proprietà della materia, ma anche e soprattutto una capacità umana fondamentale, l’unica che consente un esito non devastante dai traumi. Richiede qualità personali, ma soprattutto capacità e possibilità di condivisione: nessuno può affrontare il trauma da solo. Resilienza è dunque molto più che sopravvivere! E’ soprattutto mantenere un equilibrio e un atteggiamento costruttivo di fronte a esperienze sicuramente sopraffacenti. Risollevarsi è difficile, ci vorrà del tempo, ma è possibile!
Ma la resilienza la si trova anche in altre situazioni, in gente, in popoli che probabilmente l’italiano deve riconsiderare con altre visioni di giudizio. Si prenderà spunto dai recenti episodi di xenofobia avvenuti in due paesi del Ferrarese, dove un manipolo di razzisti è riuscito a respingere una dozzina di donne migranti (12 donne, di cui una incinta e 8 bambini) che cercavano ospitalità in un ostello, loro, le migranti, se ne sono andate portandosi appresso il solito carico di miseria e disperazione, con un’amarezza in più, nelle piazze principali dei due paesi, invece aleggerà lo spettro del monumento alla vergogna! Si tralascerà di analizzare le responsabilità (Prefetto, Istituzioni, ecc.) evidenti o meno di chi doveva far rispettare comunque il provvedimento. Fatto sta che i cittadini di questi paesi in questa vicenda hanno dimostrato di essere non-resilienti.
Anche perché si scopre che purtroppo gli italiani sono abbastanza razzisti, lo si vede sia nei piccoli centri come nelle città. Infatti, l’anno scorso l’indagine del Pew Research Center ci ha battezzato “i più razzisti d’Europa”. Se il 30% degli inglesi vede i rom come estranei, fa altrettanto l’86% degli italiani. Più del 50% degli italiani pensa male dei mussulmani, contro il 19% degli inglesi e il 24% dei francesi. Eppure in Italia gli immigrati sono pochissimi rispetto ad altri paesi europei – si ricorda che siamo un paese di frontiera. Si finisca di brontolare sul fatto che vengono a rubare il lavoro agli italiani - quale lavoro? Forse quello sottopagato e da schiavi nei campi per più di 14 ore di lavoro e per meno di 30€ di paga - e che sono ospitati in alberghi lussuosi e vengono pagati 35€ al giorno 35€ è la cifra che l’Unione Europea versa all’Italia per ogni migrante. Piuttosto si indaghi approfonditamente sulle cooperative che gestiscono queste attività a tutti gli effetti economiche, l’altro giorno è stato arrestato a Potenza un amministratore unico (italiano) di una società addetta all’accoglienza per una truffa di 9 (nove) milioni di euro! Lo si sa, lo si ripete da anni, ma gli italiani non lo capiscono o fanno finta di non capirlo! Nel 2014, è stata pubblicata un’indagine Ipsos-MORI dove si calcolava che solo il 7% della popolazione era immigrata, tuttavia l’italiano medio era convinto che si trattasse più del 30% (di cui il 20% di musulmani). I dati ci ponevano al primo posto nella lista dei paesi più ignoranti riguardo agli stranieri. Un’altra indagine Istat, ci posiziona ottavi in Europa per numero di stranieri residenti (dietro la Spagna). Ma c’è un dettaglio da aggiungere, che ridicolizza ancora di più il numero di stranieri in Italia: noi consideriamo tali – stranieri - anche i figli degli immigrati nati nel nostro Paese (la questione dello Ius soli), cosa che non avviene in Francia (Ius soli perfetto), né in Germania o Francia (Ius soli temperato), dove i figli di immigrati hanno la cittadinanza in maniera più semplice che da noi. Quali sono le nazionalità dei nostri pochi stranieri? Soprattutto romeni, albanesi e marocchini, cinesi e ucraini.
Purtroppo va ammesso che siamo un popolo razzista (leggi ignorante) guidato da una certa stampa e mezzi di informazione (sicuramente tra questi non rientra la testata giornalistica che state in questo momento leggendo – ORAQUADRA), più che una politica, razzista (e ignorante). Ai lettori più avanti con l’età si ricorderà  l’invasione degli albanesi. Venticinque anni fa, ci fu una campagna mediatica martellante contro di loro, ma oggi nessuno se li ricorda, ora che nessun giornale e radio-televisione ne parla più, sono stati assorbiti e integrati, mentre tutti siamo convinti che il nostro problema siano gli islamici, i barconi e i richiedenti asilo.
Alla luce di ciò, il pensiero libero impone una profonda riflessione su come la società italiana dovrà reagire e necessariamente adeguarsi a queste sfide a cui è già e sarà maggiormente sottoposta nel prossimo futuro (si ricorda sempre della situazione di frontiera del Bel Paese). La capacità di reagire ed adeguarsi si può concretizzare nel termine resilienza. Il concetto di resilienza tecnicamente descrive la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità e sia in un orizzonte più largo. Si può concepire la resilienza come una funzione psichica, che si modifica nel tempo in rapporto all'esperienza, al vissuto e, soprattutto, al modificarsi dei processi mentali che ad essa sottendono. È una capacità che può essere appresa e che riguarda prima di tutto la qualità degli ambienti di vita e in particolare i contesti educativi (dopo la famiglia e il contesto sociale in cui si nasce, si cresce e ci si forma, viene la scuola come primaria responsabile di adeguati atteggiamenti ed approcci al mondo delle diversità – non ne vogliano tutti i maestri-e e professori-esse). Meglio ancora la descrizione espressa da Oscar Chapital Colchado nel 2011: «La resilienza è la capacità di un individuo di generare fattori biologici, psicologici e sociali che gli permettano di resistere, adattarsi e rafforzarsi, generando un risultato individuale, sociale e morale.» In questo momento storico, segnato da una gravissima crisi d’identità sociale ed accompagnata da segnali di insofferenza economica - si ricorda che nonostante la recessione che morde da cinque anni, l’Italia si conferma sul podio mondiale delle economie più ricche al mondo secondo la classifica del Credit Suisse, quinta edizione del Global Wealth Report  e secondo il rapporto Bankitalia di Aprile 2016 - l’ascolto della sofferenza delle persone è indispensabile per favorire i processi di «resilienza» individuale e sociale, ridurre la vulnerabilità della popolazione potenzialmente a rischio di marginalità o esclusione sociale. Incontrare la sofferenza delle persone, sempre più disperate e isolate, significa restituire la speranza e l’appartenenza. Significa offrire ai soggetti più deboli non solo una tutela, un servizio, una risorsa, ma sopra tutto dei «contesti di riconoscimento». Secondo Boris Cyrulnik (neurologo, psichiatra, psicoanalista, professore di etologia umana all’Università di Toulon-Var)la resilienza è l’insieme delle condizioni di ripresa di un nuovo sviluppo, anche un processo culturale e sociale che riesce a liberare nuove ed insospettate possibilità di esistenza! Anche all’interno di una condizione di povertà e miseria può insinuarsi una prospettiva di riscatto sociale. Georg Wilhelm Friedrich Hegel aveva ipotizzato, la povertà è una forma di riconoscimento inadeguato: la mancanza di beni in una società basata sulla proprietà fa sì che il povero possa sentirsi escluso ed evitato, disprezzato. In un famoso articolo scritto nel 2000 ed intitolato “Social and ecological resilience: are they related?”, William Neil Adger (professore di geografia umana presso la Università di Exter) ha definito la resilienza sociale come la capacità degli individui, delle organizzazioni e delle comunità di adattarsi, tollerare, assorbire, far fronte e aggiustarsi rispetto al cambiamento e a minacce di vario tipo, evidenziando come esista una relazione tra resilienza sociale e resilienza ecologica. Gli immigrati non costituiscono nell’immediato un problema per i Paesi che li accolgono, poiché con la capacità dimostrata di elaborare un “progetto migratorio” e di affrontare in modo positivo le sfide che questa scelta comporta, indica che una buona parte degli stessi è composta da soggetti che, almeno a livello individuale, si possono definire “resilienti”, utili e d’esempio a quella classe di italiani portati, vuoi per ignoranza o per altro alla non-resilienza.
Viaggiare su un barcone traballante o nascosti all’interno di un container; sopravvivere per giorni con carenza o mancanza di acqua e di cibo, in condizioni igieniche pressoché inesistenti; essere sballottati da un centro di accoglienza all’altro; contrattare un lavoro qualsiasi senza avere il permesso di soggiorno; non poter contare su figure di riferimento certe e affidabili; evitare di divenire facili vittime di qualsiasi tipo di abusi, in special modo - nel caso di minori - l’adescamento a scopo di sfruttamento lavorativo o sessuale. In Europa e anche in Italia ogni anno “spariscono” migliaia di migranti minori non accompagnati – nulla lascia presagire di un futuro positivo e roseo per questi malcapitati. Molti soccombono, già da subito, inghiottiti dalla furia del mare, o stremati dalla mancanza di aria nei container, o perdendo la fragile possibilità di una vita migliore nei meandri della delinquenza o della prostituzione. Ma alcuni ce la fanno! Esistono tra gli immigrati individui o gruppi più competenti di altri nell’affrontare eventi di vita e cambiamenti. Se il Paese ospitante, riesce a mobilitare adeguate risposte, in termini di accoglienza e risorse, maggiori saranno le possibilità, per gli immigrati, di non rimanere intrappolati in situazioni di disagio e di divenire essi stessi una risorsa per la comunità che li accoglie. Tra l’altro uno studio del Dipartimento di Scienze Antropologiche dell’Università degli studi di Genova dal titolo “Processi di resilienza culturale: confronto tra modelli euristici”, a cura di Mara Manetti, Anna Zunino, Laura Frattini e Elena Zini, analizza i processi di resilienza propri degli immigrati, valutando i punti di forza (i fattori protettivi) e di vulnerabilità (fattori di rischio). Nello studio ne deriva che il fattore chiave è “integrazione” e ancora che: «Le ricerche molto spesso confermano la relazione positiva tra integrazione e benessere sociale. Ciò non è comunque sempre valido per tutti i soggetti in tutti i contesti d’immigrazione e per qualsiasi gruppo di minoranza etnica. Bisogna infatti tenere conto della molteplicità dei fattori individuali e socio-culturali legati alla posizione sociale del gruppo di appartenenza - sostengono le studiose, facendo riferimento ai dati presenti in letteratura - ne consegue che laddove il soggetto è in grado di attribuire un valore alla propria appartenenza, il senso di identità etnica può costituire tutela ed essere uno dei fattori che contribuiscono a favorire la resilienza delle persone immigrate. Quando invece il gruppo minoritario è fortemente stigmatizzato, il legame con il proprio gruppo e la propria cultura può interferire con il senso di autostima e di self-efficacy costituendo elemento di rischio». Esiste una correlazione tra i livelli di discriminazione razziale percepita e l’evolversi di situazioni depressive. Manca  anche una reale considerazione della resilienza urbana e della valutazione di adeguatezza del tessuto sociale presso il quale i migranti dovevano o dovranno essere ospitati. Non è raro infatti trovare notizie riguardanti tensioni e scontri all’arrivo degli immigrati in piccoli contesti (il caso del ferrarese di accennato prima), anche se da altri il loro arrivo è stato salutato come un nuovo boom demografico. La questione però è più complessa della semplice riflessione “migranti sì, migranti no”, perché se anche venissero soddisfatti le esigenze primarie e le necessità mediche, che cosa ne sarà di queste persone? Una volta che i rifugiati raggiungono l’Europa (ITALIA), deve esserci una politica d'integrazione efficace che eviti errori passati. Bisogna investire negli alloggi, nell'educazione, nella formazione linguistica e professionale per evitare una futura alienazione o privazione. L'Europa non può permettersi di continuare il suo approccio scoordinato e miseramente inadeguato alla realtà dell'immigrazione. Il nostro fallimento nel gestire efficacemente l'ingresso e l'insediamento di rifugiati e migranti ha aggravato il problema, creando una grave crisi politica. Nell'assenza di un piano generale per la gestione e la distribuzione dei richiedenti asilo, le nazioni europee sono andate nel panico. Molte di loro hanno installato rigidi controlli di frontiera, alla ricerca di capri espiatori. L’Italia non potrà mai costruire muri – come ha fatto l’Ungheria e la Norvegia – per contrastare il flusso migratorio, ne tantomeno potrà chiudere le frontiere per qualche tempo come ha fatto la Francia - la geomorfologia purtroppo non aiuta con oltre 7.400Km di coste – pertanto se non si riuscirà a marginare il fenomeno migratorio alla fonte, ovvero direttamente sui luoghi interessati da quest’attività – improbabile per la complessità delle situazioni politiche-economiche-sociali e sicuramente anche per la non-volontà di qualche potenza economica mondiale (giova a più di qualche economia accendere focolai di guerre e tenere in scacco paesi da sfruttare al limite del collasso – l’Occidente è diventato grande anche grazie a questo!). Si rifletta seriamente sul fatto che la dinamica opposta alla resilienza diviene la vulnerabilità del sistema stesso. Le scienze filosofiche hanno cercato di spiegare il binomio tra resilienza come costruzione della personalità e governo politico della resilienza, mutuando le categorie foucaultiane della biopolitica. La costruzione della personalità resiliente è una dinamica di disciplina del corpo. Le opzioni politiche della resilienzacontribuiscono a delineare i modelli di democrazia e cittadinanza. Queste riflessioni sono centrali soprattutto allorché tra gli shock annoveriamo fenomeni come l’immigrazione, il calo demografico e il fondamentalismo religioso.I cittadini del Bel Paese nel futuro saranno sempre di più impegnati in queste grandi sfide di integrazione – il problema della migrazione per ora non è  possibile fermarlo, non si intravedono soluzioni efficaci e condivise da tutti gli attori chiamati in causa – e pertanto dovranno cercare di prendere il meglio che verrà loro offerto da queste persone dove sicuramente intrinsecamente hanno sviluppato la loro parte resiliente, ma sempre con l’obbligo degli ospiti di rispettare le leggi civili ed adeguarsi ai nostri costumi sociali e modi di vivere. Le regole vanno rispettate! Nessuno deve sopraffare l’altro!

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