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mercoledì 10 luglio 2013

A 70 anni dal Gran Consiglio del Fascismo dichiararsi fascisti è reato...


 ...e ammettere liberamente di essere comunisti è un vanto!
Guai al “sangue dei vinti” ma la storia va riscritta

di Pierfranco Bruni
  

A 70 anni dalla notte  del Gran Consiglio del Fascismo. A 70 dalla “caduta del Fascismo”. A 70 anni dall’arresto di Benito Mussolini.
25 luglio 1943 – 25 luglio 2013.
Una storia da rileggere. Una storia da riconsiderare. Una storia da riscrivere con i dovuti tradimenti, qualunquismi, riposizionamenti. Una delle riviste che resse il dibattito politico e culturale, in quegli anni, fu “Primato” diretta oltre che da Vecchietti da Giuseppe Bottai. Una rivista il cui primo numerò uscì il 1 marzo del 1943 e poi cessò di esistere proprio nei giorni che preparavano l’implosione del Fascimo. Vittorini copiò Bottai con “Il Politecnico” ma si scontrò con il Soviet Togliatti.

Il “sangue dei vinti” (Pansa) continua a scorrere. Scorrerà per decenni per tutti coloro che non aderirono alla linea di Togliatti e della gramscizzazione e della sovietizzazione di massa di un’Italia che continua ad essere nelle mani del comunismo.
La Carta Costituzionale ha sancito giuridicamente, e mai politicamente, che considerarsi fascisti è un reato. Esatto! Quindi non si può dire “Siamo o sono fascista” perché si commette il reato di Apologia. Una Carta costituzionale, 1945 - 1948, nel 2013, pienamente nel solco dell’archeologia. Dopo il 1989 non è cambiato nulla? Si può benissimo dire con allegria: “Siamo o sono comunista” e non si commette alcun reato.
L’Internalizzazione del Comunismo è documentata dai Gulag e dal massacro che va dal “titismo” al triangolo della morte. Ma l’importante è non parlare, discutendone, di adesioni in massa al Fascismo, degli ebrei (anche dopo il caso Primo Levi documentato in “Partigia” di Luzzato) e dei cattocomuisti. Bene! Va tutto bene! Ci sto!
Ma chi è Madame Bovary? No, non sono io. Io non sono comunista e non sono mai stato fascista (per età cronologica).
Mio padre è stato fascista ed ha chiesto di morire, con onore e nobiltà, da fascista con le foto del Duce nella bara, come ho scritto nel  recente romanzo “Passione e morte. Claretta e ben”, Pellegrini editore. Mio nonno è stato fascista sino alla morte.
Mio padre, da fascista, ha sempre condannato le leggi razziali del 1938, ma non ha mai condiviso l’ingenuità di Mussolini la notte del Gran Consiglio. Suo zio era Colonnello del Re, e quindi era Monarchia e Fascismo che si intrecciavano. Dopo l’arresto di Mussolini mio padre ha sposato interamente i “balilla che andavano a Salò” (Mazzantini) e con fierezza ha sempre ammesso la sua devozione al fascismo.
Io appartengo ad altre generazioni. Sono storicamente e profondamente anticomunista, mai monarchico e savoiardo, perché sono culturalmente antiilluminista, romanticamente antimaterialista e cristianamente anticattolico. Sono anche convinto che De Gasperi, con gli Stati Uniti d’America, ha salvato l’Italia dalla balcanizzazione dei Soviet. Come sono altresì convinto che senza l’abbraccio tra cattolici e comunisti oggi non avremmo ancora i comunisti a governare.
Il Fascismo è storia e va studiato come storia. Il Comunismo è nella storia ma non smette di essere ideologia imperante. Io oltre ad essere anticomunista, mi vado convincendo di non abitare uno Stato democratico, perché, consapevole della lezione di Prezzolini, le dittature non sono solo quelle esercitate con i carri armati che hanno occupato l’Ungheria nel 1956 e Praga nel 1968, con il consenso di tutto l’apparato comunista italiano. Un apparato che ha smesso, per una illogica storica convenienza e opportunismo, di chiamarsi comunista e si fa chiamare democratico oltre ad insistere, in Italia, ancora un partito comunista.
I comunisti ci sono. E’ una questione politica. Ma anche costituzionale. Perché non è affatto vero che la Costituzione non si tocca o non si dovrebbe toccare. Solo negli Stati dittatoriali e imperialisti non si tocca ciò che nasce dalle ceneri di un consenso che non si vuole ammettere. Ovvero da un Fascismo al quale l’Italia aveva aderito e che soltanto 11 o 13 docenti universitari si sono resi liberi di non firmare l’adesione. Da Norberto Bobbio a Giorgio Bocca, per restare a due emblemi dell’antifascismo, ma la lista è lunga (ne ho parlato nei miei libri dedicati alla rivista “Primato”: la lista è articolata: da Carlo Giulio Argan già sindaco comunista di Roma  a Corrado Alvaro che paragonava Mussolini al sole, da Gadda a Pavese), a tutti gli intellettuali tra due Bandiere (nello splendido libro di Nino Tripodi), e il qualunquismo è tanto, sono stati Fascisti.
A 70 anni dalla notte del Gran Consiglio (e non della caduta del Fascismo perché gli storici sanno, e molti non lo vogliono ancora ammettere, che dopo il 25 luglio c’è la pagina che segna la storia contemporanea e la politica odierna, il trasformismo becero che comincia l’Otto settembre, e c’è soprattutto il Fascismo di Salò, quindi il Fascismo viene sconfitto nel 1945 con Piazzale Loreto) dovremmo avere il coraggio che se dirsi fascisti si commette un reato, cosa si commette dichiararsi comunisti dopo il 1989 ma anche dopo le invasioni barbariche di Praga?
Se si vuole parlare del Fascismo non si può mascherare il Comunismo perché facendo questo non si capirebbe neppure perché c’è stata la Marcia su Roma del 1922. Non si può raccontare la storia a metà. E nonostante tutto la si continua a raccontare ad episodi. Ma Renzo De Felice ci ha insegnato, da maestro, che la storia non ha parentesi e se non ha parentesi è anche vero che la storia contemporanea nasce da Piazzale Loreto attraversa l’omicidio di Moro e l’accanimento contro Bettino Craxi e giunge sino ai nostri giorni.
La storia si fa con i documenti e le testimonianze. In Italia si continua a raccontare soltanto una storia ideologica nel nome del comunismo. È proprio vero: guai ai vinti! Ma i vinti hanno sempre il coraggio di resistere nella dignità, nella nobiltà dell’onore e nella lealtà. Ovvero di Re –esisterere! (Zambrano).


Piazzale Loreto – Mussolini e Claretta Petacci



Piazzale Loreto - 1945

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