Cotidie vertere: l’arte della traduzione. Il 14 marzo 2015, in un articolo illuminante apparso su Il Sole 24 ore , Paola Mastrocola ha finalmente detto, apertis verbis, perché la seconda prova agli Esami di Stato nel liceo classico non vada cambiata. L’autrice sostiene che la nuova piega che prenderà la famigerata prova avrà “un'aria di resa, un odore di disfatta”. Ella giustamente afferma che, se si cambierà l’impostazione introducendo il contesto e chiedendo di parlare dell’interpretazione, delle tematiche o di fare delle osservazioni sullo stile, allora si tratterà di un esercizio nuovo,completamente snaturato rispetto alla precedente richiesta di una semplice ma ragionata traduzione. E questo è vero, perché finora l’abilità primaria utilizzata è stata quella di comprendere e decodificare un testo complesso scritto in una delle due lingue antiche per eccellenza, quelle che hanno fondato la storia del pensiero occidentale, il Latino e il Greco.
La traduzione era, ed è ancora, un esercizio raffinatissimo di alto ingegno, in cui lo studente doveva leggere un passo, comprenderne il significato e formulare ipotesi di traduzione, fino ad arrivare a una scelta corretta di termini e alla formulazione di una sintassi che riproducesse fedelmente quella del Latino, o del Greco. Tutto questo avveniva senza conoscere il contesto né del passo proposto né dell’opera da cui esso era scelto. Soltanto l’autore veniva reso noto, in calce al testo, e il titolo del brano serviva a rendere conto dell’oggetto trattato. Poteva essere un qualunque autore classico noto, come Quintiliano, Seneca, Cicerone, oppure Demostene, Aristotele, Plutarco. Ecco, questa era la tanto temuta versione degli Esami di Stato, o maturità, che dir si voglia. Gli studenti erano preoccupati, certo - è normale -, ma poi la traduzione, in fondo, era qualcosa di familiare, un’operazione già effettuata decine di volte, a casa o in classe. Niente di nuovo, insomma. E allora, perché oggi si parla tanto freneticamente di voler modificare questa prova? Lo ha detto in maniera chiarissima Maurizio Bettini nel suo articolo comparso su La Repubblica del 5 marzo 2015. Il noto latinista sostiene che se fosse diversa, quegli studi sarebbero meno “inattuali”. Lo studioso ammette dunque, più o meno esplicitamente, che gli studi classici sono fuori del tempo, e che probabilmente così come sono impostati non vanno più bene. Egli poi confronta la tipologia della seconda prova del liceo classico con quella del linguistico, mettendo in evidenza come in questo secondo tipo di liceo, gli studenti siano messi di fronte a più testi di cui devono scegliere uno, riguardo al quale devono poi rispondere ad alcune domande; l’autore sottolinea poi come essi debbano anche comporre un testo sulla stessa tematica. Ecco, di questo si tratta. Il liceo linguistico ha una sua prova specifica che presuppone una tale conoscenza della lingua straniera da mettere in grado gli studenti di comporre un testo autonomo e complesso. Nel liceo classico invece gli allievi traducono in italiano un passo di un autore antico. E allora perché voler paragonare le due cose? Cosa c’è di simile tra il liceo classico e il linguistico? Niente. Il liceo classico ha una sua specificità, che è la conoscenza delle lingue e delle culture classiche, e la richiesta della traduzione di un testo è in linea con una grande e feconda tradizione umanistica, ancora viva in Italia, per la quale è indispensabile capire uno scritto appartenente al passato della nostra storia.
Il liceo linguistico invece presenta la peculiarità dello studio e della conoscenza delle lingue straniere, e la capacità di saper scrivere in un altro idioma è fondamentale per poter comunicare con tutto il resto del mondo. Dunque il paragone impostato da Maurizio Bettini risulta privo di senso, alla luce di una diversa prospettiva, che è quella di dimostrare la comprensione di un testo classico, naturalmente anche attraverso la conoscenza dei valori fondanti di quella civiltà. Va da sé che chi traduce Seneca, Platone o Quintiliano sappia in quale contesto culturale essi sono vissuti, quali opere hanno prodotto e quali sono le idee fondamentali e i problemi di cui essi si sono occupati. L’operazione della traduzione implica tutto questo ed è un’opera di cesellatura non indifferente, perché passa attraverso ipotesi e verifiche lungo tutto un processo di concentrazione altissima da parte del traduttore. È ovvio che le conoscenze linguistiche siano di basilare importanza per chi traduce, dal Latino e dal Greco, ma non di meno lo sono le conoscenze della civiltà classica. Viene il sospetto che le nuove proposte sul cambiamento della seconda prova nel liceo classico vogliano soddisfare la pretesa di un adeguamento ai tempi, in cui prevalgano le logiche del mercato, della comunicazione, della digitalizzazione, dei saperi pratici, e non teorici. Certo saper tradurre una versione di Demostene, per un adolescente di 16 anni che va a scuola, in palestra, con gli amici, nei pub e che sa usare perfettamente iPod, cellulari e tablet, non serve. Ma la domanda è: perché no? Perché non dare ancora la possibilità di far usare a questi ragazzi le loro abilità mentali anche in questo raffinato e complicato esercizio di riflessione e costruzione di un pensiero complesso? E proprio oggi, in cui la capacità di astrazione sta sempre più scomparendo, specialmente tra i giovani, cosa di cui ci accorgiamo quotidianamente noi insegnanti. È probabile che abbia ragione Paola Mastrocola la quale pensa che se verrà cambiata la seconda prova nel liceo classico, tutto si ridurrà ad un “brodo annacquato”, in cui le conoscenze linguistiche non saranno più importanti, e tutti potranno più o meno consapevolmente parlare di letteratura. Ma allora la verifica finale sarà più facile, e sarà un’altra cosa... in peggio!
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