di Pierfranco Bruni
Occorrono vissuti profondi per raccontare i
Mediterranei. Dalla Mesopotamia ad oggi. Dalla Grecia alla’Armenia. Dalla
Turchia a Tunisi. Istanbul è l’intreccio tra Bisanzio e Costantinopoli. La mia
pietra d’Oriente non è soltanto un simbolo. Bisogna abitare l’anima della
pietra per cercare di capire.
Bisogna aver visitato quei luoghi. Bisogna aver
abitato quei contesti. Bisogna aver penetrato le coscienze di un Mediterraneo
che è Siria ma anche Omero, che è la Striscia di Gaza ma anche la Cappadocia,
che è letteratura albanese (sì, perché l’Albania è un mondo Balcano nella
storia dei processi ottomani mediterranei), che è il Regno di Napoli con
Corrado Alvaro che offre le
straordinarie immagini di Istanbul e Ankara, ma anche il vento del Libano, le
strade di Siviglia, la roccaforte di San Paolo a Malta.
Nel rapporto
tra etnie e religioni è imprescindibile una struttura di pensiero che sia
letteraria o antropologica. Ci vuole attenzione e conoscenza, professionalità e
saperi.
È da trent’anni che lavoriamo su questioni relative
al rapporto tra etnie, letteratura e mediterraneo ed è da decenni che
pubblichiamo testi con relativi bilanci su una tale questione e non smettiamo
mai di approfondire, restare estasiati, rimanere rattristati in quelle realtà
cangianti tra il gioco dei colori, la misura del tempo e la cifra dello spazio.
Mi ritornano alcune canti: “Sei rosa sei
rosa bianca e garofano nella sera dell'estate con il vento sulle onde e le voci
di Bisanzio che ascolto tra le vie delle spezie sono memorie antiche. Porti sul
viso il verde e il rosso della trasparenza dei veli delle danzatrici che
sfidano il tempo sconfitto dalle età e ti osservo
specchiando i miei occhi nei tuoi. Questa sera al canto del muezzin mi avrai
nell'anima e i nostri corpi saranno una stretta di isole per viverci come
eterni nel finito delle lune sul mare. Ascoltami
per una sera ancora. Domani sarà un volo in più nel deserto degli spazi e delle
ricordanze”.
Albert Camus, che ha inventata la linea meridiana,
era un grande conoscitore del Mediterraneo nella coscienza dello straniero e
nella caduta delle rivolte. Carl Schmitt in “Terra e mare” ha disegnato
l’inizio e la fine del Mediterraneo. Il Mediterraneo è fatto di voci. Ma il
Mediterraneo, si comprenda bene una volta per tutte, non è il musulmano, il
cristiano, il bizantino che proviene da una geografia ben definita.
Il Mediterraneo è anche il Pascoli che legge e
introduce la storia del Novecento moderno in una Mediterraneo della linea magrebina. È anche Enrico Pea che
dedica le sue pagine più belle all’Egitto. È il Ludovico de Varthema che ci fa
compiere quel “meraviglioso” viaggio alla Mecca.
Ma di quale Mediterraneo si vuole parlare? Istanbul
è Mediterraneo o Adriatico? È Oriente.
Ho partecipato a centinai di incontri in tutto il mondo discutendo dei
Mediterranei esclusi e dei Mediterranei includenti. Ma il concetto di
condivisione esula da qualsiasi interpretazione che possa avere alla base la
profondità della conoscenza. L’etnia e la lingua sono un dato di fatto. Come è
un dato di fatto l’intreccio tra la fuga, l’esilio e la nostalgia. Ma il canto
d’amore è sottile: “Gli azzurri hanno le sfumature del blu nel vento d'Oriente
e le parole sono una fuga tra il pensiero e il canto che ha voci di danze sufi.
Non ho sguardi da custodire perché nel viaggio c'è
sempre una coincidenza tra la partenza e il ritorno e il sublime è un rischio e
un suono di orizzonti. Le mie labbra sfiorano il tuo seno e il tuo volto ha il
velo delle trasparenze. Ti racconterò amore mio la
storia di una gazzella che ha portato in volo i petali di una rosa bianca”.
Il Mediterraneo siamo noi e Istanbul è l’Oriente che vive nei nostri viaggi.
Il mondo Mediterraneo è un intreccio tra realtà
araba, musulmana, islamica, cristiana. Ma anche in termini culturali non basta
puntare lo sguardo su questi semplici elementi. Siamo nostalgici dei dervisci,
ma per capire io dervisci abbiamo bisogno di aver capito Rumi e Kajjam in un
intreccio tra Oriente ed Occidente.
Il punto nevralgico della visione di una mondo e di
una identità nelle identità del Mediterraneo è la consapevolezza di essere
occidentali, non in una visione terzomondista, negli Orienti che non solo sono
civiltà frontaliera, ma sono ben strutturati in un processo culturale che trova
la sua sintesi contemporanea in Italia, come ho avuto modo di sottolineare in
una mostra su “Donne mediterranee” presentata su Rai Uno recentemente,
attraverso tre processi storici: il Regno di Napoli e l’Unità d’Italia, che
nasce sotto la spinta di conquista del Mediterraneo, la guerra giolittiana la
cui fase, come preannunciò Pascoli nel 1911, termina con la Grande Guerra,
l’occupazione dell’Africa e dell’Albania da parte del Fascismo e l’importanza
che ha avuto Italo Balbo nel mediteraneizzare l’Africa.
Tutto ciò che è avvenuto dopo nasce sotto la spinta
di un Occidente americano ed europeo sino alla primavera di Tunisi e alla
“rivoluzione” in Libia, compresa la Guerra del Golfo, con la morte di Gheddafi.
Non si può prescindere da ciò anche in letteratura.
Soprattutto per una letteratura che è metafora della fuga, del viaggio,
dell’esilio, della estraneità, della religiosità portata alla tragedia con il
2001.
È dentro questa constatazione che si fonde vita,
storia, letteratura tra poesia e racconto. La letteratura diventa un innesto di
un linguaggio esistenziale che è linguaggio di lingue, di etnie, di tradizioni.
Si tratta di un’antropologia vissuta sulla conoscenza e non sulla lettura
soltanto.
Ecco perché orami, dopo una vita spesa viaggiando e
lavorando con le culture dei Mediterranei, diffido sentir parlare di
Mediterraneo e di raccontare il Mediterraneo soltanto attraverso la lettura di
pagine di libri o dalle singole voci di testimoni che sono nate sulle sponde
del Mediterraneo soltanto.
Per dare un senso ad un Mediterraneo, che non potrà
mai essere capito attraverso la versione della condivisione, bisogna averlo
penetrato, bisogna aver penetrato i
Mediterranei, bisogna aver frequentato i luoghi: dalle Medine ai deserti, dai
Camini delle Fate alle Moschee. Essersi incontrati e scontrati con il mondo
musulmano e islamico. Aver osservato le Gerusalemme e i mari che toccano i
deserti di Tunisi, aver capito che la Macedonia e il Kosovo sono in un Oriente
islamico e in una ambiguità cattolica sino a toccare l’ortodossia di Cipro.
I Mediterranei sono una letteratura inafferrabile e
quando riusciremo a trovare il legame tra queste geografie o la definitiva
discordanza tra gli Oceani e l’Adriatico e il Tirreno, che sono nell’abitazione
dei Mediterranei, possiamo cominciare a muovere qualche tassello del vasto
mosaico anche sul piano della consapevolezza.
Ci vuole conoscenza e frequentazione, capacità
interpretativa e molto coraggio. Non basta una lettura tra fogli di libri per
discutere di Mediterraneo. Altrimenti è più semplice dialogare di peperoncini
appesi alle finestre come cantavano Fabrizio De André e Mia Martini o di danze recitate da Franco
Battiato, che ha abitato il Mediterraneo tunisino. Istanbul è Oriente. I suoni
e le voci sono un vento spinto dalle onde: “La notte è una danza nel gioco dei
veli che ti fasciano il cerchio del passo
negli Orienti di Istanbul. Hai la bellezza della
luna nelle luci del mare donna che porti
il vento negli occhi e i sorrisi tra le dita. Ti darò il mio cercarti per una carezza che non dimenticherò”.
Istanbul non è distanza.
L’Oriente è in noi! E la danza è un mistero tra la pietra dei simboli e il
viaggio di Paolo.
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blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis