Non solo Afghanistan, Iraq e Palestina, le guerre mediatiche, ma
anche Sierra Leone, Liberia, Somalia, Congo, Uganda, Ruanda, Sudan, Kashmir,
Timor Est, Sri Lanka, Colombia, Tagikistan, Cecenia, Daghestan, Azerbaijan.
L’elenco è certamente in difetto. Questo quadro degli attuali conflitti nel
mondo è preoccupante, soprattutto se si pensa che non si lavora abbastanza per
la pace.
Mai come oggi il termine pace rimane solo suono di parole,
specialmente di fronte a tanti conflitti, purtroppo, dimenticati.J.F.Kennedy si
rivolgeva ai suoi contemporanei cosi: :«… a quelle nazioni che potrebbero
divenire nostre avversarie, offriamo le richieste di iniziare la ricerca della
pace. Insieme scopriamo i problemi che ci uniscono, anziché dibattere quelli
che ci dividono. Esploriamo insieme le stelle, conquistiamo i deserti,
debelliamo le malattie, scrutiamo le profondità degli oceani al fine di creare
un nuovo modo di vita, destinato a dare all’uomo piena libertà poi pace…».
Tutti
possono essere Abele come tutti possono essere Caino. Noi dimostriamo purtroppo
di essere dalla parte di Caino.Oggi,
nell’anno del Signore 2015, mi sembra attualissima una poesia di un poeta a me
tanto caro quanto dimenticato dai media,un premio nobel per la
letteratura (1959), esponente di spicco di quel movimento letterario che tanto
ha inciso sul percorso storico della nostra letteratura,l’Ermetismo.
Il poeta
è Salvatore Quasimodo, nato Modica il 20 agosto 1901
e morto a Napoli il 14 giugno 1968.
Il componimento è “Uomo del mio tempo”, ultima lirica di Giorno
dopo giorno (1946). La
lirica è in versi liberi e analizza la violenza senza limiti
dell’uomo. Quello della pietra e della fionda,dell’arco e della lancia: l’uomo
primitivo, che si serviva di rudimentali pietre scagliate da fionde per
uccidere. Sono mutati i mezzi che l’uomo ha inventato e creato per recare ai
suoi simili la morte, ma il suo spirito crudele e sanguinario non è cambiato.
La civiltà gli ha fornito strumenti sempre più
agghiaccianti,complicati,asettici,efficaci per manifestarsi...Eri nella carlinga…di morte: eri nella cabina di pilotaggio di un
bombardiere, le cui ali erano fornite di armi di morte e le cui strumentazioni
di bordo dovevano stabilire in quale momento esatto dare inizio allo sterminio
sganciando l’esplosivo.
Sei ancora quello
della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
Quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
La
composizione della lirica è immediatamente susseguente alla fine della II
guerra mondiale, la guerra più cruenta nella storia dell’umanità, le cui
vittime assommano, secondo alcuni calcoli,a circa 71 milioni. Non
dimentichiamo, neppure, l’eco della bomba atomica sganciata dagli USA sul
Giappone, a Hiroshima e Nagasaki.«E’ un implacabile atto d’accusa contro
la ferocia – bestiale e razionale ad un tempo – a cui si sono abbandonati gli
uomini nella seconda guerra mondiale. Agli occhi del poeta appare un’umanità
mostruosa che inizia il suo cammino con il più belluino dei suoi gesti: il
fratricidio. Non solo non è mutato nulla da allora, ma l’uomo ha mirato a
perfezionare sempre di più le armi dello sterminio; ha rivestito la guerra di
ideali, legittimando perfino gli assassini. La cosiddetta “civiltà”, quindi,
invece di rendere gli uomini più buoni, li lasciò fermi nei loro istinti di
primitivi, di uomini-belva, alla barbarie di Caino. Ma le nuove generazioni
devono ora avere il coraggio di vergognarsi dei loro padri e di dimenticarli,
piuttosto che vergognarsi di essere uomini, e devono sostituire, finalmente la
legge di Caino con quella di Cristo». (A. Frattini, ).È l’uomo che a distanza di tanti secoli
è rimasto uguale a se stesso: primitivo, ferino, bestiale, crudele, istintivo,
irriflessivo, selvaggio, spietato, al pari di quando per uccidere si serviva di
strumenti approssimativi. Il progresso della civiltà non è servito a farne un
uomo migliore e oggi si costruiscono armi sempre più intelligenti, destinate
alla distruzione di interi popoli. Ogni verso scorre veloce fino al
termine. Le parole sono comuni ma sono costruite su molte figure
retoriche – sinestesia, analogia, metafore, apostrofe –, su richiami biblici e
su richiami storici che innalzano la poesia a un linguaggio poetico efficace e
tagliente.
Voglio,infine, richiamare l’attenzione
sull’eleganza e il classicismo delle costruzioni delle frasi, sia
paratattiche che ipotattiche,ovvero coordinate e subordinate.E non poteva
essere diversamente: Quasimodo è stato uno dei traduttori più fini e
mirabili dei Lirici Greci e la sua traduzione,ben presto è stata vista da tutti
i critici come “capolavoro d'interpretazione”.
Auguriamoci una società migliore: lo
stesso Quasimodo sarebbe felicissimo di essere smentito!
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