La filosofa americana indaga sulle cause della “silenziosa crisi” del sistema d’istruzione mondiale, identificandola nella perdita di ruolo delle humanitates, derivante, a suo parere, da un asservimento della missione educativa a logiche economicistiche.Una visione semplificata del rapporto tra scuola e sviluppo economico avrebbe infatti indotto i governi a privilegiare le discipline più direttamente funzionali alle innovazioni tecnologiche necessarie alla crescita economica, a netto discapito di quelle umanistiche, percepite come “fronzoli superflui”, con conseguente danno sia della qualità di quegli stessi insegnamenti e del sistema scolastico in generale sia anche della qualità del sistema sociale nel suo complesso. Secondo la sua tesi, infatti, le capacità intellettuali favorite dagli studi umanistici sono “fondamentali per mantenere vive e ben salde le democrazie, per consentire [loro] di far fronte, in modo responsabile, ai problemi che le attendono come parti di un mondo interdipendente”. Ella ne identifica principalmente tre: pensare criticamente (il critical thinking caro alla filosofia anglosassone); trascendere i localismi e affrontare i problemi come cittadini del mondo (tema già trattato dalla Nussbaum nel 1997 nel saggio Coltivare l’umanità); raffigurarsi “simpateticamente” la categoria dell’altro, cioè pensarsi al di fuori del proprio circolo ristretto, immedesimandosi anche con l’immaginazione nelle posizioni di chi è diverso da noi. Il successo planetario subito riscontrato da “Non per profitto”, la miriade di recensioni e di interventi in internet, testimoniano probabilmente l’esigenza della cultura umanistica di accettare la sfida lanciata alla tradizione e al passato dalla globalizzazione. Salvatore Settis, illustre archeologo e storico dell’arte, già direttore della Scuola Normale di Pisa, individua nel postmoderno il sistema culturale (dominante nel nostro tempo) che corrode dall’interno la cultura umanistica, in particolare quella classica, attraverso due dei suoi “fondamenti”: la perdita di senso storico causata dall’appiattimento sul presente percepito come virtualmente simultaneo a qualunque momento del passato, e il citazionismo, cioè la scomposizione della tradizione in frammenti decontestualizzati e sottoposti ai più arbitari rimontaggi. Così, dice sempre Settis, nel vasto orizzonte globale l’antichità classica – o medievale o rinascimentale e così via – si guadagna il suo piccolo posto in mezzo a tante altre antichità (indiane, cinesi, maya) o è “ridotta a un retroterra nebbioso e indistinto, conservando semmai solo una qualche funzione ornamentale” (i “fronzoli superflui” della Nussbaum). Le culture dell’Europa medievale e moderna si sono formate attraverso il rapporto con le culture classiche, cioè con la letteratura, la filosofia, l’arte, l’architettura, la storia, la politica, la religione, la scienza e la vita pubblica e privata dell’antica Grecia e di Roma, le quali a loro volta hanno contribuito a plasmare altre tradizioni culturali, come, ad esempio, l’ebraica, l’islamica, la slava.
Ne risulta che ogni ambito della vita e del pensiero postclassico è stato profondamente influenzato dai modelli antichi, interpretati spesso in modo non filologicamente corretto, anzi sempre in qualche modo fraintesi, perché sono stati proprio quei fraintendimenti creativi a salvare l’eredità antica e a renderla fruibile per l’attualità. Ciò che emerge è che non si può capire la storia del mondo postclassico senza un riferimento costante alle culture classiche tramite le quali esso non ha mai smesso di definirsi, d’accordo o in disaccordo, imitando o condannando, venerando o cercando di dimenticare. Dopo queste riflessioni, possiamo dunque rispondere alla domanda di senso posta dai nostri studenti e dagli stessi insegnanti sulle ragioni dell’insegnamento umanistico: esso “serve”, servono le letterature antiche e moderne, la storia che indaga il passato, la filosofia, l’arte, la musica ecc., servono il latino e il greco, serve cioè tutto quell’immenso patrimonio culturale che si è formato nel corso dei secoli come espressione di humanitas e che trova nelle humanitates, cioè nelle discipline umanistiche, gli strumenti di ricerca e di trasmissione nella scuola e nell’università.
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