“Un uomo solo è al comando… la sua maglia è
biancoceleste… il suo nome è Fausto Coppi “.Con questa frase di Mario Ferretti, nella
cronaca della Cuneo-Pinerolo, terzultima tappa del Giro d'Italia del
1949, Fausto Coppi entrava nella leggenda del ciclismo. Come l’airone , Fausto
presentava un corpo molto allungato ed affusolato, un collo sottile ed angoloso
e lunghe gambe: come l’airone egli si
librava nell’aria,fendendola ed aprendola
in eleganti spire che
trasmettevano energia e leggerezza, bellezza e magia. Soprannominato il
Campionissimo o l'Airone, fu il corridore più vincente e famoso
dell'epoca d'oro del ciclismo, ed è considerato uno dei più grandi e popolari
atleti di tutti i tempi.
Il 2
gennaio 1960 scomparve,per una malattia non diagnosticata, un campione
ineguagliabile, eroe del novecento, un emblema del nostro paese che ancora
oggi, nonostante siano passati piu’ di
cinquanta anni dalla sua morte, celebriamo e ammiriamo.Fausto
Coppi non si è mai spento, perché, morto lui, nasce il suo mito, che grazie
alla sua modernita’ resta indissolubilmente legato alla nostra realta’
contemporanea e a…noi stessi.Nasce il 15 settembre 1919, ed è Castellania a dare i natali a questo uomo
straordinario che ha accompagnato la difficile rinascita dell' Italia del dopoguerra.
In un periodo cosi’ duro per il nostro paese,che veniva dagli orrori della
guerra, ha tracciato una via di speranza, è stato un esempio, un luminoso
diversivo, tramite le sue immortali gesta, che hanno dato una spinta,
un'iniezione di coraggio, per la rinascita di un intera nazione che in Coppi ha
riconosciuto una bandiera.Egli è stata una figura sovversiva, un vero innovatore, essendo il primo a
considerare il ciclismo un viaggio alla scoperta e alla sfida dei propri
limiti, una lotta per affinarsi, un indagine e una ricerca del proprio corpo,
tutto finalizzato per migliorare le
proprie prestazioni. Nato nella poverta’, grazie ai suoi sacrifici realizza il
suo sogno, dando vita a una favola che ancora oggi ci coinvolge, incantandoci.E
solo chi nasce nella poverta’ puo’ capire il valore della ricchezza!Uno sportivo eccezionale che vanta 154 vittorie, e gia’ nel 1940, al suo primo
anno da professionista, riesce a firmare il suo primo Giro d'Italia.Dopo un
periodo avaro di successi, il suo lieve declino si sostituisce a un ritorno in
scena impetuoso,e costellato da soddisfazioni, come solo i fuoriclasse sanno
fare.Dal 1947 fino al 1952 riesce a vincere 4 Giri e 2 Tour de France e fu il primo
a trionfare nelle due grandi corse a tappe nello stesso anno.Coppi scrive una
commedia, dove recita in ogni vicenda sempre d'attore protagonista: atleta
straordinario, e professionista esemplare nelle corse, uomo ricco, famoso e
gentleman nella vita privata, dove cattura interamente l'interesse mediatico,
che ne esalta le gesta epiche e allo stesso tempo gli scandali che
caratterizzano la sua sfera intima. La sua morte improvvisa, in modo
paradossale, allucinante, le sue imprese eroiche, strabilianti, sono fatti
avvolti da un alone di mistero che hanno fatto di Fausto un personaggio
solenne, un modello assoluto, da diventare fenomeno da leggenda.Nel 1959 Coppi
va in Africa, in Burkina Faso, dove contrae la malaria che ce lo porta via, nella
piu’ totale incertezza, e incredibilmente, fra diagnosi sbagliate e medici
incapaci di risolvere questa malattia che era nelle loro possibilita’curarla.
Scrisse il dott. Walter Panero:” Quanti ricordi si affollano nella mia mente
e si inseguono. Ricordi di grandi trionfi. Della prima doppietta Giro-Tour nel
1949. Tutti ritenevano che quell’impresa fosse impossibile. E invece Fausto ci
riuscì per ben due volte. E l’impresa sullo Stelvio nel Giro del 1953, quando
Fausto staccò e mandò in crisi lo svizzero Hugo Koblet che sembrava avere ormai
la vittoria finale in pugno. E il Mondiale di Lugano, quando tutti pensavano
che Fausto fosse troppo vecchio per conquistare la maglia iridata. E ora eccolo
lì, il mio idolo. Steso in un letto d’ospedale proprio di fronte a me. Eccola
lì, sua moglie Giulia in lacrime. Quella che chiamavamo con disprezzo Dama
Bianca, accusandola di aver indebolito il nostro campione. Ora che la vedo
provo pena per lei. C’è anche Ettore Milano, uno dei suoi gregari più fedeli.
Sta dicendo al primario che dalla Francia hanno chiamato sia la moglie sia il
fratello di Geminiani, il corridore franco-romagnolo che aveva diviso la camera
con Fausto durante la loro permanenza in Africa. Hanno detto che anche il
ciclista francese è stato molto male nei giorni scorsi. E’ stato in coma. Ha
rischiato di morire. Ma i medici hanno analizzato il suo sangue ed hanno capito
che soffriva di malaria. Gli hanno somministrato grandi dosi di chinino e lo
hanno salvato. Il mio capo, il professor Astaldi, scuote la testa. E’ convinto
che si tratti di una broncopolmonite emorragica da virus e ha deciso di
somministrargli dosi massicce di cortisone. Io non ho molta esperienza e penso
che lui abbia ragione, ma mi chiedo se non valga la pena di capire se davvero
la malaria sia da escludere. Se fosse così, il cortisone non farebbe che
peggiorare la situazione.E’ notte fonda. Il campione sta sempre peggio. Più lo
curano, più le sue condizioni sembrano aggravarsi. Ormai è entrato in coma.
Nella mia vita tutto avrei immaginato, tranne che assistere alle ultime ore del
mio grande idolo di gioventù”.
“Era nato per vincere e non poteva
morirsene sconfitto. La vecchiaia non l’ha avuto. E resta ora di lui il mito
del campione che mai ebbe eguali su questa terra. Quel mito conserveremo in noi
con il triste rimpianto dell’amico”
Gianni Brera, da "Il Giorno", gennaio 1960
“Era rimasto il ragazzo timido e malinconico di sempre, beneducato e
taciturno. Non era un personaggio pittoresco e estroverso. Si è portato in
silenzio le sue croci e le sue amarezze, senza mai addebitare ad altri le
proprie disavventure. Se stavolta ha fatto in tempo ad accorgersi di morire (ma
spero di no) sono sicuro che non ne ha dato la colpa né alla caccia, né
all’Africa e neanche al “virus”….avrà semplicemente pensato di quel maligno
bacillo ciò che una volta mi disse, al termine di una tappa del Giro della
Svizzera in cui Bartali gli aveva portato via il primato in classifica: era più
forte, e me le ha suonate”
Indro Montanelli, da "Il Corriere della Sera", gennaio 1960
“Poche cose commuovono come la morte d’un campione. Ne sono commossi i
ragazzi che s’erano esaltati e appassionati alle sue gesta, rivivendole nella
loro accesa fantasia come cosa propria, come un primato da imitare e un trionfo
da condividere. Ne sono toccati gli adulti perché ne risveglia i ricordi, anche
quelli della giovinezza, e segna l’inesorabile passare del tempo…”
Luigi Pintor, da “L’Unità”, gennaio 1960
“La gente amava Coppi perché egli riusciva a compiere imprese che ad altri
non erano riuscite, ma lo amava ancora di più perché era visibile in lui quanto
gli era costata l’impresa medesima; e tutto questo traspariva dalle sue guance
infossate e da quell’espressione mesta nonostante la vittoria”
ricordo di Alfredo Martini, ex corridore e C.T. della Nazionale
“La morte del fratello, i tanti incidenti, la sua vita familiare piena di
contrarietà, lordata talvolta dal fanatismo imbecille, profanata fino nella
morte dai mercanti di notizie, niente gli è stato risparmiato. Egli ha superato
tutto, ogni volta con lo stoicismo dei suoi antenati contadini. E anche per
questo si è dimostrato grande…..Coppi è morto. L’uomo esemplare vivrà. Mai
potremo scordarlo”.
André Vidal da “Le Miroir des Sports”, gennaio 1960
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