"L'Italia - spiega il poeta - è una terra incapace di costruire una convivenza civile, una sana dialettica; un paese dominato dal cinismo, incapace di rispettare e di esser rispettato; un agglomerato di singoli individui ognuno sprofondato nel proprio orizzonte privato, particolare; e dove l'opinione pubblica, la società civile, stenta a trovare la propria maturità, la propria autonomia".Leopardi denunciava l'assenza di quei legami che fanno di una somma d'individui una «società civile», fondata non solo sulla legge ma sulla responsabilità della convivenza civile. Nonostante l'aspro giudizio sugli italiani, Leopardi condivideva gli ideali risorgimentali, come dimostrano le due canzoni civili: All'Italia e Sopra il monumento di Dante che si preparava in Firenze. Alla base del discorso leopardiano, scritto nel 1824, sta la radicata convinzione che i popoli antichi erano superiori (e più felici) rispetto a quelli moderni. E ciò perché la civiltà ha distrutto le basi stesse della morale, e di conseguenza è preferibile una civiltà «media» che una evoluta. Perché il progresso (o meglio il pensiero filosofico e scientifico che ne sono la causa) distruggono la sorgente della sola felicità possibile che consiste nell’immaginazione. E ora tra i popoli europei quelli settentrionali si rivelano superiori in tutto (e non solo nella letteratura e nel pensiero filosofico) perché in loro è più fervida l’immaginazione. «L’unione della civiltà con l’immaginazione è lo stato degli antichi»: in questa frase del saggio leopardiano c’è, per dirla manzonianamente, il «sugo della storia». Detto in altri termini, la filosofia (e la civiltà che essa ha prodotto, specie quella dei lumi) ha messo sotto gli occhi di tutti con tragica evidenza l’infelicità irrimediabile dell’uomo.
Solo le illusioni che nascono dalla fantasia e dall’immaginazione sono in grado di rendere l’uomo, non diremo felice, ma meno infelice, cioè di alleviare la sua tristezza metafisica. L’Italia è un paese dove non si conversa o si discute pacatamente, ma si schernisce l’interlocutore; un paese in cui non si gareggia per l’onore, e da uomini di onore, ma ci si combatte all’ultimo sangue. L’Italia è una terra dove non c’è convivenza civile, ma forzata; una società in cui ci si sbrana anziché collaborare al bene comune; un paese senza amor patrio, dove lo scherno dell’avversario prevale su tutto. L’autore vede ben al di là dei facili patriottismi e delle euforie risorgimentali, quando sente che nella penisola mancano quei legami che fanno di una collettività una «società stretta» e una «società buona», cioè un popolo di «fratelli», dove sarebbe possibile una morale universalmente valida, fondata non sulla legge (perché è una base poco solida la paura delle pene minacciate da un codice), ma sul senso dell’onore che indurrebbe a fare il bene per meritare il plauso e a fuggire il male per non incorrere nel disonore. Questo è tuttora il paese di cui parla Leopardi. La conclusione è senza appello: "Le classi superiori sono le più ciniche di tutte le loro pari nelle altri nazioni. Il popolaccio italiano è il più cinico de’ popolacci". Incalcolabili i danni al costume e alla morale. "Ciascuno, combattuto e offeso da ciascuno dee per necessità restringere e riconcentrare - scrive Leopardi - ogni suo affetto ed inclinazione verso se stesso, il che si chiama appunto egoismo, ed alienarle dagli altri, e rivolgerle contro di loro, il che si chiama misantropia. L’uno e l’altra le maggiori pesti di questo secolo". È in questa logica che si alimenta uno "spirito ostile verso i più prossimi". E se nelle altre nazioni l’amor proprio è un "mezzo efficacissimo d’amore", in Italia è un "mezzo di odio e disunione"; "l’uomo cerca sempre di innalzarsi, in qualunque modo e con qualunque sia mezzo, colla depressione degli altri, e di far degli altri uno sgabello a se stesso". Ne deriva anche la mancanza di costumi: "Gli italiani - scrive - hanno piuttosto usanze e abitudini che costumi", un fenomeno avvertibile più nelle province che nelle grandi città, dove ci sono più occasioni e luoghi di scambio sociale e di "conversazione". Oggi ci si interroga sull’assenza, in Italia, di indignazione contro un malcostume e l’illegalità diffusi.Siamo il paese in cui un pregiudicato puo’ ricattare lo Stato di diritto! Come gli altri Paesi dell’Occidente anche la nazione italiana «è priva come l’altre d’ogni fondamento di morale, e d’ogni vero vincolo e principio conservatore della società». Si tratta di una desertificazione dell’esistenza che è il prodotto di una solitudine collettiva, prodotto di «una dissipazione giornaliera e continua senza società». Nel processo di annientamento di ogni fede e valore proprio della modernità gli Italiani sono arrivati al capolinea, dissolvendo ogni principio morale e ogni vincolo sociale in un decadente e distruttivo individualismo di massa, nel quale vige l’unico principio che – enunciato con un’espressione eufemistica – suona “ciascuno fa come meglio crede”. Questa la diagnosi; la prognosi – come ben sapeva Leopardi – è strettamente riservata, perché «hanno poco futuro le società dove intelligenza, moralità, gusto siano handicap».Da ciò la terribile attualità di questo Discorso sui costumi degl’italiani, a due secoli dalla nascita del Poeta..
Forse, e’ proprio a causa di quanto sopra esposto che Mussolini amava dire:”governare gli Italiani non e’ difficile, e’…inutile!”
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