I Lirici greci sono considerati,
per giudizio unanime della critica, il miglior libro di poesia di Salvatore Quasimodo e una tappa
importante nella storia della poesia italiana. Quasimodo si accostava al mondo
greco, spinto da una passione istintiva che aveva nel sangue, lui greco di
Sicilia, "siculo-greco" come si definiva; era sorretto da un
atteggiamento filologico scrupoloso, nonostante avesse affrontato gli studi
classici tardi e, quasi, da autodidatta, ma non era animato dal desiderio di una
lettura storica dei testi.
La traduzione dei lirici è un lavoro che, nella sua vita di poeta, risponde
alla doppia sollecitazione di un aggancio sempre più profondo con la sua terra
e di un raffinamento sempre più consapevole della propria espressione poetica.
Viene riconosciuto che nelle traduzioni di Saffo, Alceo, Anacreonte, Archiloco,
Ibico, ecc., nonché dei latini Virgilio e Catullo, c’è più l’anima e la
sensibilità di Quasimodo-poeta che il pensiero dello stesso antico autore
tradotto.“Se
c’è una parola sulla quale possiamo fermarci e che suggerisce al massimo quello
che intendo per classico, questa è la parola maturità”: con
questa convinzione e questo atteggiamento spirituale Quasimodo approda
all’anima dei lirici greci, creando un’opera di apparente traduzione ma con la
quale in realtà compie il grande miracolo di annullare tra quei testi e il
Novecento la corruzione del tempo nella purezza della parola, nella sua
fulmineità vergine, nuda da orpelli, ridondanze e abbellimenti.Le critiche
ovviamente non furono risparmiate dai cultori del filologismo pedante e delle
traduzioni “fedeli”, che solo più tardi convennero nel riconoscere quantomeno
l’originalità dell’opera che l’autore pubblicò nel 1942.
La via per lui, greco nell’anima, era quella di ritrovare l’incanto delle
origini superando l’ostacolo del tempo. Trasmise quindi alla traduzione un
input empatico. Rivissero quindi una poesia pura, una rinascita del mondo greco
attraverso la sensibilità di una poeta che scavò nella parola, la resuscitò e
la restituì a se stessa. La discussa interpretazione del termine “mainolai” di
Saffo, nell’inno ad Afrodite (v. 18) espressa
con l’accezione di “inquieta” e non “pazza”, suscitò polemiche a non
finire: ma in realtà inquieto e fragile era l’animo di questa poetessa che
cantò l’amore nella memoria, nell’assenza, nell’abbandono, nell’estasi;
analizzando il suo cuore ma anche la sua esasperata fisicità:
(fr. 31) A me pare uguale agli dèi / quell’uomo che siede
di fronte a te / e ti ascolta, da vicino, parlare e dolcemente sorridere. / E
questo, certamente, mi sconvolge il cuore nel petto: / come infatti io ti vedo,
così non ho più voce,”
φαίνεταί μοι κῆνος
ἴσος
θέοισιν ἔμμεν' ὤνηρ, ὄττις ἐνάντιός
τοι
ἰσδάνει
καὶ
πλάσιον ἆδυ
φωνεί- σας ὐπακούει καὶ γελαίσας ἰμέροεν, τό μ' ἦ μὰν
καρδίαν ἐν
στήθεσιν ἐπτόαισεν,
ὠς
γὰρ
<ἔς>
σ' ἴδω
βρόχε' ὤς
με φώναισ' οὐδ'
ἒν
ἔτ'
εἴκει,
Si accenna nella biografia della poetessa ad un suo giovanile viaggio in
Sicilia e Quasimodo ricercò nella medesima isola l’equilibrio greco: che altro
non è che l’afferrare l’atemporalità della parola nella coscienza di una
Sicilia come Magna Grecia, luogo della memoria e dell’infanzia contrapposta ad
una condizione di infelicità esistenziale che altri lirici greci conobbero con
più percezione, però, dello scorrere del tempo e della caducità delle cose,
cantando l’invito a godere l’attimo. Alceo,
quasi ossessivamente, invita a libare, all’amore, al vino consapevole della
brevità dello spazio del vivere, un “carpe diem” al quale il poeta diede
forma e dignità espressiva di valori simbolici. Il vino, le corone di aneto, i
balsami soavi distraggono la morte e giocano alla vita: “...bevi con me
Melanippo... attraversato il vorticoso Acheronte...forse vedrai ancora la luce
del sole?” (fr. 38). “... è lungo un dito il giorno...tira giù i grandi
bicchieri ornati” (fr. 46). “Versa un dolce unguento sul mio capo che ha tanto
sofferto” (fr. 50).
Di lui Quasimodo tace il dolore della guerra, delle lotte politiche,
dell’esilio; e anche di Anacreonte
colse l’unico sentimento che non si colloca nel tempo e nello spazio: l’amore;
forte, violento, inebriante ma soprattutto invincibile e dominatore. Da pag. 81: “Voglio cantare
il molle Eros / pieno di ghirlande / ricche di fiori / Eros che domina gli
uomini / signore degli Dei”. Da pag. 83: “Eros mi colpì / e mi riversò alla
deriva / di un torrente invernale”. Maggiore varietà di toni e
di registri si colgono in Alcmane,
che esprime una poetica radicata nella credenza secondo la quale l’arte
riprende il modello dal canto degli uccelli e dai loro colori: “le parole e la musica /
Alcmane le ha trovate/ attento alla voce delle pernici” (fr. 91); oppure
“dormono le cime dei monti...le fiere montane...le api...i pesci...gli uccelli
dalle grandi ali” (fr. 159).
Spontaneo il raffronto tra questa umanizzazione della natura e la
migliore poesia pascoliana.
Con
i Lirici greci di Quasimodo cambiava completamente la prospettiva della
traduzione, che non era più un atto servile e secondario rispetto al testo
originario, ma diventava essa stessa poesia, con una profondità e una bellezza
assolutamente autonome. E quale poeta poteva rivivere il mito greco meglio di
Quasimodo? La sua “anima antica”, vissuta fin dall’ “infanzia omerica” tra gli
scenari della Sicilia greca, era in sintonia totale con la “divina dolce
ridente Saffo”. Così si compie il miracolo: Saffo, Alceo, Anacreonte e tutti
gli altri lirici tradotti parlano la lingua della poesia moderna, tesa,
affilata, e danno vita al sogno di ogni opera che aspira alla classicità:
essere contemporanea ai lettori di ogni tempo. I Lirici greci sono un affascinante
viaggio in un mondo antico che, grazie alla sapienza di un poeta moderno,
mantiene intatti e strordinariamente attuali la propria forza, i propri
sentimenti, la propria profondità umana e civile. Questa traduzione stupí per la puntualità con cui i testi antichi si
trovarono a coincidere con la dimensione della nostra parola rinnovando in essa
non tanto l’estrinseco disegno dell’ubicazione metrica, quanto invece quella
più intima ed essenziale sintassi che si nasconde sotto le forme prestate ad
ogni poeta dal tempo. («Queste mie traduzioni non sono rapportate a probabili
schemi metrici d’origine, ma tentano l’approssimazione pro specifica d’un
testo: quella poetica.») Il sondaggio ha impegnato Quasimodo fino alle sue
ragioni maggiori: l’ha aiutato infine a riscavare in sé certe zone di affinità
che lo pongono direttamente a contatto col temperamento greco nei suoi
risultati vitali. Si può veramente dire che attraverso Quasimodo i lirici greci
hanno ritrovato il loro posto nella sensibilità contemporanea. In questo senso
Quasimodo ci ha dato l’immagine definitiva di una poesia oggi tornata per noi
quanto mai necessaria.
Grazie a lui l’antico messaggio
lirico dell’Ellade e’ divenuto contemporaneo!
Tante le voci dall’Ellade, forte il loro richiamo per chi ha colto come il
tempo possa deturpare e corrompere, ma il tempo è anche pietoso e qualche volta
rimanda echi alla mente e al cuore; e oggiPaolo Coelho scrive: “Se non
penserò all’amore non sarò niente”.
NB Nel ricordo degli indimenticabili e “gloriosi”
anni del liceo, sui cui banchi e’ stato lasciato il tesoro piu’ prezioso.
Prof. Vi manca tanto la scuola ..... Sia da alunno che da insegnante .... Ci avete lasciato l'anima ! .. E ... Si sente!
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