Ritorno
sulla questione delle dimissioni di Benedetto XVI. Ho avuto l’occasione
di affrontare, in modo dialettico, il problema in un recente convegno
su “Ragione, Storia e Fede”. La mia posizione resta quella già
menzionata. Anzi, ancora di più diventa “forte” e distante dalla
posizione e dalle giustificazioni del relativismo storico delle chiese.
Una
provocazione? Ho detto: prendete tutto come provocazione ma non
esistono verità assolute tranne la simbolica metafisica della
cristocentricità che è oltre il sistema della chiesa. Di una chiesa
liturgia, teologia, storia, potere, dolore.
Cristo
non è la chiesa. È stato più volte ribadito nelle mie sottolineature. E
non lo è soprattutto alla luce delle dimissioni del Santo Pontefice. Io
sto con Benedetto XVI. Cristo è sceso dalla Croce e ha indicato la via
della storia e della ragione contrapponendola a quella del mistero in
Cristo.
Non
c’è una chiesa potere e una chiesa del dolore. La chiesa è unica.
Potrebbe esserci una chiesa dell’utopia. Condivisibile ma andiamo oltre.
Ho ribadito che la teologia, e questo è un dato pregnante di
significati, spiega ed ha bisogno di ubbidienza e quindi come tale
necessita di una ragione storica. Se manca l’ubbidienza si è fuori. Anche il marxismo ha una sua teologia.
Benedetto
XVI va oltre la ragione storica. D’altronde i suoi libri su Gesù sono
una testimonianza in cui l’antropologia dell’umanesimo supera
l’antropologia della ragione. Non può esserci condivisione tra elementi
nascenti dalla ragione ed elementi vitali nel sacro.
La
ragione è la contestualizzazione dell’uomo storico che dilania ogni
metafisica e sa di poter contare sull’ideologia. Il sacro non ha bisogno
della storia perché ha la fede. La fede è l’incontro, e se vogliamo lo
scontro, tra la certezza e il dubbio in nome di una ontologia dell’anima
che è la salvezza.
Cristo
è la salvezza nella fede ma è anche il dubbio stesso della salvezza nel
momento della domanda fatale del Dio perché mi hai abbandonato. Ma
Cristo è fede. Occorre riabituarsi alla fede. Questo non significa
teorizzare la fede attraverso l’assoluto della teologia. La teologia, in
fondo, è una versione di una prassi.
Benedetto
XVI rompe la prassi teologale e si affida completamente alla solitudine
di Cristo che è l’esempio della salvezza che si incarna nella ricerca
degli uomini in una testimonianza di mistero. Certo, nella ragione può
albeggiare la carità. Ma la carità laica è completamente diversa da
quella cristiana.
Benedetto Croce è distante dalla fede perché ha la consapevolezza di averci educato al richiamarsi al Cristo cattolico, ovvero “perché
possiamo non dircicristiani”? Ma possiamo essere, come direbbe
Francesco Grisi, cristiani volenti o nolenti? Necessariamente cristiani?
La
chiesa carità passa dentro la chiesa potere. È pur vero che non c’è
soltanto una chiesa. Ma la chiesa in senso prioritario è fedeltà alla
teologia. Cristo non è teologia.
Il
Concilio Vaticano II è stato il segno di una rottura epocale ma anche
epicale tra due mondi cattolici. Doveva rispondere alle chiavi di
lettura di un mondo completamente socializzato dalle ideologie. Doveva
rispondere ad una domanda posta dalla ragione nella storia. Il Vaticano
II, da me non accettabile e quindi non condivisibile, è stato il trauma
nell’uomo cristiano in Cristo nell’età degli smarrimenti contemporanei.
La
vera malattia mortale che risponde alla agonia kierkegegaardiana trova
la sua caduta proprio nel vortice del Vaticano II. Ed è in questi anni
che il marxismo non viene rinnegato, che il comunismo domina il mondo,
che la ragione marcusiana prende il sopravvento che il muro sartriano
demolisce la grazia dettata da una Cristina Campo.
Il
rapporto tra letteratura e teologia esiste. Gli equivoci di Ravasi sono
dimostranti. C’è una chiesa potere sul sublime della cristianità. Chi è
riuscita a leggere la caduta camusiana dell’uomo in rivolta dell’età
contemporanea non è la teologia muta e cieca, ma è la letteratura perché
dentro la letteratura il mistero, la disperazione, il dolore della
morte come fine, come suicidio, come perdita e non come consolazione ha
preso il sopravvento.
La
teologia ci “spiega” la resurrezione? La morte, la Passione, la
Resurrezione sono nel mistero divino. La teologia ha bisogno della
storia e della ragione per esistere. Cristo ha bisogno della rivoluzione
per vivere e farsi sentire.
Il
dibattito è molto duro. Ma viviamo in un tempo di sradicamenti e la
memoria non ci aiuta e neppure ci salva. Abbiamo bisogno di esempi
costanti in cui l’ambiguità, l’ipocrisia, il doppiogiochismo possono
essere vinti solo dalla ribellione, dalla metafisica dell’anima, dalla
rivoluzione antropologica dell’umanesimo.
La
chiesa deve farsi carico delle sue gravi responsabilità. Non bastano
più i codici. Occorrono gli esempi. Il miracolo è un esempio e non lo
compie la teologia. La grazia è un esempio metafisico ed cristiano, la
fede è un segno del divino. Aspetti sui quali nessun può offrire
spiegazioni.
La
storia vive fino a quando il mistero di Cristo resta nel silenzio. Nel
momento in cui Cristo decide di scendere dalla Croce la teologia viene
sconfitta e prende corpo la grazia oltre la ragione. Benedetto XVI: la
metafisica del Cristo dentro il mistero miracoloso.
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blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis