"Amarti ora e sempre" sono le parole con le quali Gabriele
D'Annunzio dedica la sua Francesca da
Rimini a Eleonora Duse, l'amata che l'avrebbe interpretata. Una frase che
sembra legare il suo rapporto
sentimentale con la divina Duse a quello di un'altra celebre coppia della
storia, quella di Paolo e Francesca. L’amore tra il Vate e l’attrice è uno dei
più celebri della storia della letteratura e del teatro italiano.
Sfavillante,.notturna,possessiva e sensuale come i suoi protagonisti, la storia
dei due divi è paragonabile ad un episodio attuale dello star system dello
spettacolo, ora che la letteratura è solo uno sbiadito ricordo di quello che
era ai primi del novecento nel mondo della comunicazione. D’Annunzio conosce la
Duse a Roma, in una cerchia di amici comuni, dopo averla vista recitare, nel
1894. Egli ha già una sua fama, dovuta alle sue prime poesie, al suo romanzo
“Il piacere”, ai suoi articoli sui giornali.
“Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata,
umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato”. Sono le parole di Eleonora Duse
nei confronti di quello che fu l’unico amore della sua vita, anche se il loro
rapporto fu parecchio tormentato. La Divina lo amò senza riserve, ma il Vate la
tradì non solo dal punto di vista sentimentale, ma anche sul lato
professionale: e non poteva essere diversamente,per un personaggio come il
drammaturgo abruzzese. Il poeta si servì della Duse che fu costretta a pagare i
tanti creditori del pescarese, amante del lusso, oltreché delle donne. Si
contano ben quattromila sue amanti..La passione tra questi due leggendari
protagonisti della cultura italiana fin de siécle scoppia a Venezia nel
settembre 1894 e dura una decina d’anni. Attrazione fisica, curiosità
intellettuale e interesse pratico caratterizzano la relazione, durante la quale
Gabriele D’Annunzio scrive cinque opere teatrali dedicate all’attrice -Sogno
di un mattino di primavera, La Gioconda, La gloria, Francesca
da Rimini e Sogno d’un tramonto d’autunno-. I suoi segreti più
intimi vengono messi nero su bianco nel romanzo Il fuoco, de due
grandi tragedie dannunziane a lei destinate, La città morta e La
figlia di Iorio, vengono affidate, all’ultimo, dal suo stesso amante ad
altre due interpreti: Sarah Bernhardt
ed Irma Gramatica.Le lettere
avranno una parte importante nel loro amore, visto che staranno ben poco
insieme, perfino quando decideranno di andare a vivere insieme alla Capponcina.
Peccato che le lettere di lui si siano perse, pare bruciate dagli eredi della
Duse dopo la morte della diva. Quelle di lei, invece, sono rimaste e stupisce
che giacciano ancora inedite nell' archivio del Vittoriale. Sono lettere
infantili, spesso sgrammaticate, come di qualcuno a cui il pensiero corra più
veloce della mano e l' inchiostro fatichi a tenere dietro agli affanni, ai
colpi di tosse, all' ansia notturna. «Je vous ecrit à Pescara trop souffrant de
votre silence, j' ai telegraphiè la bas, je suis triste à mourir…». Già dalle
prime note si capisce che il rapporto fra il grande poeta e la magnifica
attrice è nato zoppo. Le parti sembrano stabilirsi subito, con perfetta
disuguaglianza, come in teatro: lei è l' amante fedele, sollecita, generosa che
aspetta fremendo il ritorno dell' uomo desiderato e lui è l' amato che ricambia
l' amore ma solo a momenti e quando piace a lui, che scappa e non si sa mai per
dove, si dedica ad amici che non le fa conoscere, coltiva amicizie femminili di
cui Ghisola, come la chiama lui, non dovrà sapere. «Dove vai?» chiede lei,
vedendolo montare a cavallo. «Sempre alla ventura», risponde lui . «Ma da che
parte?», «Non dimandare», è la risposta laconica e perentoria. «Per la via
vecchia fiesolana», racconta poi lui nel suo Libro Segreto: «Scendevo al cancello
di una villa chiusa in bossoli esatti dove m' attendevano le due sorelle
suonatrici di virginale e di liuto, esperte in giochi perversi... Rientravo
dopo tre ore, impaziente. Dal viale chiamavo l' unica mia compagna, gridavo l'
amore col più tenero dei nomi: Ghisola, Ghisolabella! Gettando la briglia
balzavo su la ghiaia. Ghisola! ero folle di lei, oblioso, incolpevole. L'
infedeltà fugace dava all' amore una novità inebriante: la sovrana certezza.
"Ghisola, Ghisola, ti amo, ti amo, e per sempre te sola"».
Possiamo immaginare la bella Ghisola, ovvero Eleonora Duse, che ha aspettato
per ore alla finestra, tormentata dai dubbi e ora si sente abbracciare e
baciare con impeto. Cosa pensare? La immaginiamo felice di quell' abbraccio, e
poi di nuovo squarciata dai dubbi una volta scoperto che l' amato porta addosso
dei profumi sconosciuti e sospetti. La immaginiamo sola, allo specchio, che si
scruta il viso chiedendosi se non saranno quei piccoli segni del tempo (ha
cinque anni più di lui) le responsabili delle distrazioni erotiche di lui.
Senza considerare che il giovane fauno ha fatto e farà sempre così: considera
un suo diritto corteggiare tutte le donne, e fin da giovinetto ha teorizzato
pubblicamente l' infedeltà: «Non v'è menzogna sillabica più confusa e più
diffusa di questa: la fedeltà. Ha il suono scenico delle false catene Non v' è
coppia fedele per amore. Io sono infedele per amore, anzi per arte d' amore
quando amo a morte». Eleonora lo sa ma non lo giudica con severità, non gli
rimprovera nulla. Tende piuttosto a colpevolizzarsi, come spesso fanno le donne
e nelle fughe di lui cerca di scoprire la ragione di una sua mancanza:
«Perdonami anche questo: cioè di sentire solamente la mia gioia quando ti sono
vicina, poichè gioia io a te non so darne. Io sono la tua poveretta». Spesso la
«poveretta» attribuisce lo scacco alla sua infermità: «Maledico ogni ora questa
mia mezza malattia che non è un buon tifo, non un colpo apoplettico, ma niente
fuorché morire lentamente e a occhi aperti». Si sente perfino in colpa di
aiutarlo economicamente, non perché lui protesti: lo considera un diritto
naturale; ma perché le sembra di mortificarlo con interventi troppo decisi
nella sua vita professionale. «Non è la creatura normale che ha bisogno di
aiuto» gli scrive affettuosa nel consegnargli tutti i soldi guadagnati col
teatro, «ma il genio quale sei tu... Ahimè so bene che l' artista che esegue
l’opera d’arte non è l' opera d' arte e vi offendiamo noi interpreti voi poeti
perché vi si interpreta (vi si tradisce) quasi sempre interpretandovi a modo
nostro... pure... un buon strumento, agile, saldo, rispondendo ad ogni corda è
necessario all' opera d' arte». La sua umiltà è straziante, anche eccessiva, e
si tinge di un masochismo che sappiamo accompagnare spesso la psicologia
ipersensibile dei tisici. «Oh tutto il gran pianto mi piglia se penso che posso
morire ora ora e allora che avrò fatto io della mia arte? niente». D' Annunzio
certo non si chiede cosa rimarrà della sua arte, sicuro com' è della gloria e
dell' eternità. Nell' amore però si fa esigente, incalzante. Vuole tutto dalla
donna amata, la fedeltà anche del pensiero e l' assoluta disponibilità: «Voglio
possederti come la morte possiede», scrive nel Libro Segreto, «voglio
raccoglierti come un fascio spicanardo legato con un vimine, così che possa
essere impugnato come l' asta di un gonfalone. E poi voglio disperderti,
soffiare sopra te e disperderti come il tarassaco si disperde al vento,
disperderti alla rosa dei venti, discioglierti nel Gran Tutto - Pan». A proposito de “ Il fuoco”,romanzo
autobiografico di D’Annunzio, che descrive la complessa e tempestosa relazione
del Vate con la Divina, quest’ultima ebbe a scrivere:”. "... Conosco il
romanzo e ne ho autorizzato la stampa, perché la mia sofferenza, qualunque essa
sia, non conta, quando si tratta di dare un altro capolavoro alla letteratura
italiana. E poi, ho quarant'anni... e amo!"Una
vita, quella di Gabriele d’Annunzio, caratterizzata dalla continua ricerca sia
in ambito emotivo che sentimentale, testimoniata tra l’altro dalle migliaia di
lettere, frutto di passione e,il
ragazzo di Pescara avrebbe sorriso!o De Andre'zzese.me D' nello stesso
tempo forma d’arte. "Sensualistica, ferina e decadente" così Benedetto
Croce definì la nota dannunziana, una nota mai sentita, fino a quel
momento, in Italia e impersonata da Andrea Sperelli, protagonista de Il
Piacere e alter ego di D’annunzio. Sperelli inaugura un modello di
vita dandy tutto rivolto all’edonismo, governato dal principio secondo
cui "bisogna fare la propria vita come si fa un’opera d’arte". Una
simile visione poco spazio riserva ai sentimenti, essendo tutta volta alle
passioni e alla voluttà delle sensazioni. Insomma, D’Annunzio è veramente l’amante
che tutte vorremmo avere? Che amara scelta: passione o sentimento? Amore o
arte?
Un
secolo dopo, un altro poeta,Fabrizio De Andre’ verseggera’: "è stato meglio lasciarci che non esserci mai
incontrati".Il drammaturgo di Pescara avrebbe,certamente, sorriso ed annuito!
Curiosita’: Al
Vittoriale è tuttora presente nella stanza chiamata l'officina una statua
raffigurante il volto di Eleonora Duse che il Vate soprannominò “musa velata”
poiché abitualmente teneva la statua coperta da un velo per non provare dolore
nel rivedere quell'immagine che la mostrava giovane e bella ancora.
Nessun commento:
Posta un commento
blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis