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sabato 16 febbraio 2013

Quando la passione è un’ opera d’arte!

"Amarti ora e sempre" sono le parole con le quali Gabriele D'Annunzio dedica la sua  Francesca da Rimini a Eleonora Duse, l'amata che l'avrebbe interpretata. Una frase che sembra legare  il suo rapporto sentimentale con la divina Duse a quello di un'altra celebre coppia della storia, quella di Paolo e Francesca. L’amore tra il Vate e l’attrice è uno dei più celebri della storia della letteratura e del teatro italiano. Sfavillante,.notturna,possessiva e sensuale come i suoi protagonisti, la storia dei due divi è paragonabile ad un episodio attuale dello star system dello spettacolo, ora che la letteratura è solo uno sbiadito ricordo di quello che era ai primi del novecento nel mondo della comunicazione. D’Annunzio conosce la Duse a Roma, in una cerchia di amici comuni, dopo averla vista recitare, nel 1894. Egli ha già una sua fama, dovuta alle sue prime poesie, al suo romanzo “Il piacere”, ai suoi articoli sui giornali.
“Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato”. Sono le parole di Eleonora Duse nei confronti di quello che fu l’unico amore della sua vita, anche se il loro rapporto fu parecchio tormentato. La Divina lo amò senza riserve, ma il Vate la tradì non solo dal punto di vista sentimentale, ma anche sul lato professionale: e non poteva essere diversamente,per un personaggio come il drammaturgo abruzzese. Il poeta si servì della Duse che fu costretta a pagare i tanti creditori del pescarese, amante del lusso, oltreché delle donne. Si contano ben quattromila sue amanti..La passione tra questi due leggendari protagonisti della cultura italiana  fin de siécle scoppia a Venezia nel settembre 1894 e dura una decina d’anni. Attrazione fisica, curiosità intellettuale e interesse pratico caratterizzano la relazione, durante la quale Gabriele D’Annunzio scrive cinque opere teatrali dedicate all’attrice -Sogno di un mattino di primavera, La Gioconda, La gloria, Francesca da Rimini e Sogno d’un tramonto d’autunno-. I suoi segreti più intimi vengono messi nero su bianco nel romanzo Il fuoco, de due grandi tragedie dannunziane a lei destinate, La città morta e La figlia di Iorio, vengono affidate, all’ultimo, dal suo stesso amante ad altre due interpreti: Sarah Bernhardt ed Irma Gramatica.Le lettere avranno una parte importante nel loro amore, visto che staranno ben poco insieme, perfino quando decideranno di andare a vivere insieme alla Capponcina. Peccato che le lettere di lui si siano perse, pare bruciate dagli eredi della Duse dopo la morte della diva. Quelle di lei, invece, sono rimaste e stupisce che giacciano ancora inedite nell' archivio del Vittoriale. Sono lettere infantili, spesso sgrammaticate, come di qualcuno a cui il pensiero corra più veloce della mano e l' inchiostro fatichi a tenere dietro agli affanni, ai colpi di tosse, all' ansia notturna. «Je vous ecrit à Pescara trop souffrant de votre silence, j' ai telegraphiè la bas, je suis triste à mourir…». Già dalle prime note si capisce che il rapporto fra il grande poeta e la magnifica attrice è nato zoppo. Le parti sembrano stabilirsi subito, con perfetta disuguaglianza, come in teatro: lei è l' amante fedele, sollecita, generosa che aspetta fremendo il ritorno dell' uomo desiderato e lui è l' amato che ricambia l' amore ma solo a momenti e quando piace a lui, che scappa e non si sa mai per dove, si dedica ad amici che non le fa conoscere, coltiva amicizie femminili di cui Ghisola, come la chiama lui, non dovrà sapere. «Dove vai?» chiede lei, vedendolo montare a cavallo. «Sempre alla ventura», risponde lui . «Ma da che parte?», «Non dimandare», è la risposta laconica e perentoria. «Per la via vecchia fiesolana», racconta poi lui nel suo Libro Segreto: «Scendevo al cancello di una villa chiusa in bossoli esatti dove m' attendevano le due sorelle suonatrici di virginale e di liuto, esperte in giochi perversi... Rientravo dopo tre ore, impaziente. Dal viale chiamavo l' unica mia compagna, gridavo l' amore col più tenero dei nomi: Ghisola, Ghisolabella! Gettando la briglia balzavo su la ghiaia. Ghisola! ero folle di lei, oblioso, incolpevole. L' infedeltà fugace dava all' amore una novità inebriante: la sovrana certezza. "Ghisola, Ghisola, ti amo, ti amo, e per sempre te sola"». 
Possiamo immaginare la bella Ghisola, ovvero Eleonora Duse, che ha aspettato per ore alla finestra, tormentata dai dubbi e ora si sente abbracciare e baciare con impeto. Cosa pensare? La immaginiamo felice di quell' abbraccio, e poi di nuovo squarciata dai dubbi una volta scoperto che l' amato porta addosso dei profumi sconosciuti e sospetti. La immaginiamo sola, allo specchio, che si scruta il viso chiedendosi se non saranno quei piccoli segni del tempo (ha cinque anni più di lui) le responsabili delle distrazioni erotiche di lui. Senza considerare che il giovane fauno ha fatto e farà sempre così: considera un suo diritto corteggiare tutte le donne, e fin da giovinetto ha teorizzato pubblicamente l' infedeltà: «Non v'è menzogna sillabica più confusa e più diffusa di questa: la fedeltà. Ha il suono scenico delle false catene Non v' è coppia fedele per amore. Io sono infedele per amore, anzi per arte d' amore quando amo a morte». Eleonora lo sa ma non lo giudica con severità, non gli rimprovera nulla. Tende piuttosto a colpevolizzarsi, come spesso fanno le donne e nelle fughe di lui cerca di scoprire la ragione di una sua mancanza: «Perdonami anche questo: cioè di sentire solamente la mia gioia quando ti sono vicina, poichè gioia io a te non so darne. Io sono la tua poveretta». Spesso la «poveretta» attribuisce lo scacco alla sua infermità: «Maledico ogni ora questa mia mezza malattia che non è un buon tifo, non un colpo apoplettico, ma niente fuorché morire lentamente e a occhi aperti». Si sente perfino in colpa di aiutarlo economicamente, non perché lui protesti: lo considera un diritto naturale; ma perché le sembra di mortificarlo con interventi troppo decisi nella sua vita professionale. «Non è la creatura normale che ha bisogno di aiuto» gli scrive affettuosa nel consegnargli tutti i soldi guadagnati col teatro, «ma il genio quale sei tu... Ahimè so bene che l' artista che esegue l’opera d’arte non è l' opera d' arte e vi offendiamo noi interpreti voi poeti perché vi si interpreta (vi si tradisce) quasi sempre interpretandovi a modo nostro... pure... un buon strumento, agile, saldo, rispondendo ad ogni corda è necessario all' opera d' arte». La sua umiltà è straziante, anche eccessiva, e si tinge di un masochismo che sappiamo accompagnare spesso la psicologia ipersensibile dei tisici. «Oh tutto il gran pianto mi piglia se penso che posso morire ora ora e allora che avrò fatto io della mia arte? niente». D' Annunzio certo non si chiede cosa rimarrà della sua arte, sicuro com' è della gloria e dell' eternità. Nell' amore però si fa esigente, incalzante. Vuole tutto dalla donna amata, la fedeltà anche del pensiero e l' assoluta disponibilità: «Voglio possederti come la morte possiede», scrive nel Libro Segreto, «voglio raccoglierti come un fascio spicanardo legato con un vimine, così che possa essere impugnato come l' asta di un gonfalone. E poi voglio disperderti, soffiare sopra te e disperderti come il tarassaco si disperde al vento, disperderti alla rosa dei venti, discioglierti nel Gran Tutto - Pan». A proposito de “ Il fuoco”,romanzo autobiografico di D’Annunzio, che descrive la complessa e tempestosa relazione del Vate con la Divina, quest’ultima ebbe a scrivere:”. "... Conosco il romanzo e ne ho autorizzato la stampa, perché la mia sofferenza, qualunque essa sia, non conta, quando si tratta di dare un altro capolavoro alla letteratura italiana. E poi, ho quarant'anni... e amo!"Una vita, quella di Gabriele d’Annunzio, caratterizzata dalla continua ricerca sia in ambito emotivo che sentimentale, testimoniata tra l’altro dalle migliaia di lettere, frutto di passione e,il ragazzo di Pescara avrebbe sorriso!o De Andre'zzese.me D' nello stesso tempo forma d’arte. "Sensualistica, ferina e decadente" così Benedetto Croce definì la nota dannunziana, una nota mai sentita, fino a quel momento, in Italia e impersonata da Andrea Sperelli, protagonista de Il Piacere e alter ego di D’annunzio. Sperelli inaugura un modello di vita dandy tutto rivolto all’edonismo, governato dal principio secondo cui "bisogna fare la propria vita come si fa un’opera d’arte". Una simile visione poco spazio riserva ai sentimenti, essendo tutta volta alle passioni e alla voluttà delle sensazioni. Insomma, D’Annunzio è veramente l’amante che tutte vorremmo avere? Che amara scelta: passione o sentimento? Amore o arte?
Un secolo dopo, un altro poeta,Fabrizio De Andre’ verseggera’: "è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati".Il drammaturgo di Pescara avrebbe,certamente,  sorriso ed annuito!
Curiosita’: Al Vittoriale è tuttora presente nella stanza chiamata l'officina una statua raffigurante il volto di Eleonora Duse che il Vate soprannominò “musa velata” poiché abitualmente teneva la statua coperta da un velo per non provare dolore nel rivedere quell'immagine che la mostrava giovane e bella ancora.




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