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Franco Califano |
di Pierfranco Bruni
Ci sono Orienti che incontrano un Occidente tra
civiltà perse e popoli dimenticati. Omero ha raccontato una grecità diffusa.
Ulisse è il viaggio che cerca il ritorno. Virgilio è l’Occidente nel cuore
della tragedia di Didone. I sufi danzano tra gli spazi dei Camini delle Fate e
fanno cerchio nel canto del silenzio dei dervisci.
L’Oriente è il canto di Budda che contempla il sole
ritornato dall’Egitto. Le parole hanno sempre un senso. La musica vive nella
contemporaneità con gli odori e gli echi di civiltà distanti e dentro di noi.
La poesia e la musica. Il canto e il ritmo.
In Italia la poesia può diventare noia ed è
diventata noia soprattutto negli anni Sessanta del secolo Novecento. Poi è
rinata con la musica accanto ed ha tracciato vie. Le vie delle parole, le
strade smarrite, le solitudini, le malinconie, le immagini che provengono non
solo dalla parola ma dalla musica o dalla nenia dell’ascolto delle musiche.
E in questo Oriente che penetra l’Occidente vive il
Mediterraneo. Nella poesia del Novecento c’è una poesia tra i profili del
Mediterraneo. Poeti che ascoltano. Poeti che recitano. Poeti nella distanza
delle attese. I moderni sono nel nostro esistere contemporaneo. Ma cosa è la
modernità o cosa è la contemporaneità? Il Mediterraneo conosce la tradizione di
Cartagine, di Cleopatra, di Elena, di Calipso, dei Cantici dei Cantici e delle
danze arabe.
I poeti, questi maledetti sognatori che si tagliano
il tempo e tagliano i tramonti con il loro Mediterraneo. Il mio sguardo è il
Mediterraneo. Quello che include i linguaggi di San Paolo e di Maometto. Ma
anche quello che recita Fabrizio De André nelle parole recuperate della sua Genova
islamica. Il mio Mediterraneo è Pavese ma anche Sergio Endrigo con il
raccontarci la sua lontananza dagli occhi di città perdute. Endrigo, uomo di
confine e di frontiera. Un poeta mediterraneo – istriano.
Il mio Mediterraneo è l’Oriente di Mia Martini che
raccoglie i silenzi dei deserti per raccontarci la storia smarrita di una piazza e di sguardi di donne
stanche. È la Napoli di Roberto Murolo
che recit la vita di “Reginella” o di Modugno che disegna la caccia del
pesce spada. È poesia tra i giardini delle emozioni e il canto delle sciantose.
Da Omero o dai sufi a Franco Califano con la sua
malinconia che attraversa la noia meridiana di Luigi Tenco. La poesia non può
più avere alcuna strutture. Ma soltanto emozioni e parole. Le parole della
bellezza, le parole di un’estetica che vive di eleganza, di stile, di donne con
il ventaglio, di donne che si coprono il viso. Giuni Russo cattura i ritmi e i
colori delle albe dei Mediterranei con la sua voce di mare che ha la passione
del cercare tra le terre desolate e le terre di sabbia.
La poesia vive di sabbia senza raccoglierla in una
clessidra. E la luna basta guardarla per viverla nel tocco magico di un Fred
Buscagliene: “Guarda che luna/guarda che mare…”. E ancora il poeta e maestro
Franco Califano che ha tracciato il
viaggio in un Mediterraneo delle parole con un immaginario tra le solitudine e
la fragilità dell’amore in una malinconia giocata tra i quartieri di un
Occidente romano e un ondeggiare di vento d’Oriente in “L’amore è fragile”.
Ma tutto ciò
è poesia? È poesia. Anzi, in molti testi è lo strazio della poesia, è lo
strazio della parola, è lo strazio del deserto di sguardi che recitano
minuetti. Calfano e Mia Martini sono l’Occidente e la parola nella lingua che
diventa diffusa nel dialetto e l’Oriente di una eredità calabra che attraversa
quell’Oriente che ha strade scavate tra buche e il sole accesso nelle ombre con
gli occhi chiusi. La poesia dove trovarla? Nel recitativo di De André che
sventola i suoi testi nelle griglie dei Vangeli Apocrifi sino a un poeta
come Alvaro Mutis.
Ma il Mediterraneo è una frontiera? O un confine? O
un Orizzonte? Soprattutto resta una eredità che intreccia gli Orienti di una
Mesopotamia nei graffiti di una archeologia delle voci che hanno echi sublimi
lungo il viaggio delle attese. Qui la poesia è ciò che sarà e non solo la
nostalgia incantata dalla musica che finisce nella noia. E i percorsi sono
nell’infinito perché “Non escludo il ritorno” è il gioco ad intreccio tra i
labirinti di un tempo – spazio. Oltre le accademie.
La poesia è oltre le sociologie del Mediterraneo
perché c’è sempre il buio anche quando la luna è piena. Ma la parola è il velo
delle donne che con i loro sandali sognano la preghiera del silenzio. In una
andalusa tenda l’amore diventa stregato tra i fili che Sergio Endrigo ha
raccolto in “una canzone per te”.
Insomma, la poesia è Omero e da Omero il canto è
raccolto tra le palme e i viaggi e l’ulissismo attraversa tutto il Novecento
come piega di un ritorno dolorante e felici. Un ulissismo che è isola e
continua a vivere nella poesia di questo Mediterraneo diffuso dei poeti e con
Enea il Mediterraneo rompe i porti dell’isola per abitare una città.
Ma il poeta maledetto, e se non è maledetto nella
sua solitudine straziata cosa può essere?, è anche un maestro. Il ritorno è
dunque un’attesa mai violata. Califano ha recitato il suo ritorno che non può
essere escluso. Una visione della vita e del tempo nel vissuto che è stato e
sarà. Il poeta è cieco. Vive la fantasia e il sogno, la passione e la magia,
l’avventura e la sfida. Sono qui gli Orienti che attraversano l’Occidente.
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blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis