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mercoledì 26 giugno 2013

Omero e Califano. L’avventura e il sogno in un Mediterraneo dei viaggi tra le parole e l’immaginario


Franco Califano
di Pierfranco Bruni
Ci sono Orienti che incontrano un Occidente tra civiltà perse e popoli dimenticati. Omero ha raccontato una grecità diffusa. Ulisse è il viaggio che cerca il ritorno. Virgilio è l’Occidente nel cuore della tragedia di Didone. I sufi danzano tra gli spazi dei Camini delle Fate e fanno cerchio nel canto del silenzio dei dervisci.
L’Oriente è il canto di Budda che contempla il sole ritornato dall’Egitto. Le parole hanno sempre un senso. La musica vive nella contemporaneità con gli odori e gli echi di civiltà distanti e dentro di noi. La poesia e la musica. Il canto e il ritmo.
In Italia la poesia può diventare noia ed è diventata noia soprattutto negli anni Sessanta del secolo Novecento. Poi è rinata con la musica accanto ed ha tracciato vie. Le vie delle parole, le strade smarrite, le solitudini, le malinconie, le immagini che provengono non solo dalla parola ma dalla musica o dalla nenia dell’ascolto delle musiche.

E in questo Oriente che penetra l’Occidente vive il Mediterraneo. Nella poesia del Novecento c’è una poesia tra i profili del Mediterraneo. Poeti che ascoltano. Poeti che recitano. Poeti nella distanza delle attese. I moderni sono nel nostro esistere contemporaneo. Ma cosa è la modernità o cosa è la contemporaneità? Il Mediterraneo conosce la tradizione di Cartagine, di Cleopatra, di Elena, di Calipso, dei Cantici dei Cantici e delle danze arabe.
I poeti, questi maledetti sognatori che si tagliano il tempo e tagliano i tramonti con il loro Mediterraneo. Il mio sguardo è il Mediterraneo. Quello che include i linguaggi di San Paolo e di Maometto. Ma anche quello che recita Fabrizio De André nelle parole recuperate della sua Genova islamica. Il mio Mediterraneo è Pavese ma anche Sergio Endrigo con il raccontarci la sua lontananza dagli occhi di città perdute. Endrigo, uomo di confine e di frontiera. Un poeta mediterraneo – istriano.
Il mio Mediterraneo è l’Oriente di Mia Martini che raccoglie i silenzi dei deserti per raccontarci la storia  smarrita di una piazza e di sguardi di donne stanche. È la Napoli di Roberto Murolo  che recit la vita di “Reginella” o di Modugno che disegna la caccia del pesce spada. È poesia tra i giardini delle emozioni e  il canto delle sciantose.
Da Omero o dai sufi a Franco Califano con la sua malinconia che attraversa la noia meridiana di Luigi Tenco. La poesia non può più avere alcuna strutture. Ma soltanto emozioni e parole. Le parole della bellezza, le parole di un’estetica che vive di eleganza, di stile, di donne con il ventaglio, di donne che si coprono il viso. Giuni Russo cattura i ritmi e i colori delle albe dei Mediterranei con la sua voce di mare che ha la passione del cercare tra le terre desolate e le terre di sabbia.
La poesia vive di sabbia senza raccoglierla in una clessidra. E la luna basta guardarla per viverla nel tocco magico di un Fred Buscagliene: “Guarda che luna/guarda che mare…”. E ancora il poeta e maestro Franco Califano  che ha tracciato il viaggio in un Mediterraneo delle parole con un immaginario tra le solitudine e la fragilità dell’amore in una malinconia giocata tra i quartieri di un Occidente romano e un ondeggiare di vento d’Oriente in “L’amore è fragile”.
Ma tutto ciò  è poesia? È poesia. Anzi, in molti testi è lo strazio della poesia, è lo strazio della parola, è lo strazio del deserto di sguardi che recitano minuetti. Calfano e Mia Martini sono l’Occidente e la parola nella lingua che diventa diffusa nel dialetto e l’Oriente di una eredità calabra che attraversa quell’Oriente che ha strade scavate tra buche e il sole accesso nelle ombre con gli occhi chiusi. La poesia dove trovarla? Nel recitativo di De André che sventola i suoi testi nelle griglie dei Vangeli Apocrifi sino a un poeta come  Alvaro Mutis.
Ma il Mediterraneo è una frontiera? O un confine? O un Orizzonte? Soprattutto resta una eredità che intreccia gli Orienti di una Mesopotamia nei graffiti di una archeologia delle voci che hanno echi sublimi lungo il viaggio delle attese. Qui la poesia è ciò che sarà e non solo la nostalgia incantata dalla musica che finisce nella noia. E i percorsi sono nell’infinito perché “Non escludo il ritorno” è il gioco ad intreccio tra i labirinti di un tempo – spazio. Oltre le accademie.
La poesia è oltre le sociologie del Mediterraneo perché c’è sempre il buio anche quando la luna è piena. Ma la parola è il velo delle donne che con i loro sandali sognano la preghiera del silenzio. In una andalusa tenda l’amore diventa stregato tra i fili che Sergio Endrigo ha raccolto  in “una canzone per te”.
Insomma, la poesia è Omero e da Omero il canto è raccolto tra le palme e i viaggi e l’ulissismo attraversa tutto il Novecento come piega di un ritorno dolorante e felici. Un ulissismo che è isola e continua a vivere nella poesia di questo Mediterraneo diffuso dei poeti e con Enea il Mediterraneo rompe i porti dell’isola per abitare una città.
Ma il poeta maledetto, e se non è maledetto nella sua solitudine straziata cosa può essere?, è anche un maestro. Il ritorno è dunque un’attesa mai violata. Califano ha recitato il suo ritorno che non può essere escluso. Una visione della vita e del tempo nel vissuto che è stato e sarà. Il poeta è cieco. Vive la fantasia e il sogno, la passione e la magia, l’avventura e la sfida. Sono qui gli Orienti che attraversano l’Occidente.

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