"Non leggiamo e scriviamo poesie
perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri
della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina,
legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al
nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo,
l'amore, sono queste le cose che ci tengono in vita." Questa frase di John Keating ci fa chiedere chi,oggi, frequenti la poesia, chi
legga la poesia nel proprio tempo libero,chi ami la poesia.In una società post industriale come la nostra,
dove domina il potere della tecno-scienza e della finanza, ha ancora senso
celebrare la poesia, assaporarne i versi,farli, impararli a memoria? Secondo
alcuni la poesia è già morta ed è stata sostituita dalla musica, perché nessuno
legge più poesia oggi, mentre tutti ascoltano la musica.
Questa affermazione partiva da un equivoco, quello
secondo cui le arti fossero separate tra loro, che musica e poesia non fossero
intimamente connesse. Sul finire del Duecento Casella non musicava i testi
poetici di Dante come ci è dato capire dal canto II del Purgatorio?
Quando Dante lo incontra, gli chiede: «Se nuova legge non ti toglie/ memoria o
uso a l'amoroso canto/ che mi solea quetar tutte mie doglie,/ di ciò ti piaccia
consolare alquanto/ l'anima mia, che, con la sua persona/venendo qui, è affannata
tanto!». Allora Casella inizia a cantare una poesia di Dante: «Amor che ne la
mente mi ragiona». Per caso le poesie provenzali non venivano accompagnate con
la musica, così come tanti componimenti successivi? E la poesia stessa non ha
una sua musicalità? Pensiamo ai versi del Petrarca in cui il poeta descrive il
vecchierello che parte con grande desiderio per andare a incontrare la Veronica
a Roma («Movesi il vecchierel canuto et biancho») e la lentezza con cui incede
dopo poco tempo per la stanchezza («Indi trahendo poi l’antiquo fiancho/ per
l’extreme giornate di sua vita»). Il verso ha un ritmo, degli accenti che
rallentano, velocizzano, trasmettono impressioni, creano immagini come quando
Petrarca scrive: «Solo et pensoso i più deserti campi/ vo misurando a passi
tardi et lenti». Noi ci immaginiamo allora il poeta che misura il campo,
confrontando la lunghezza del campo con l’unità di misura del suo passo. Il
ritmo diventa quello di un passo di uomo.Certo l’acculturamento di massa
avrebbe creato una letteratura commerciale per tutti e la poesia sarebbe
divenuta sempre più lettura per pochi. Ma è proprio vero che la poesia, quella
grande, quella con la P maiuscola, sia solo per pochi? Racconta Franco
Sacchetti nel Trecentonovelle che Dante un giorno si arrabbia con un
fabbro e gli storpia gli arnesi del mestiere. Quando il fabbro gli chiede
ragione di ciò, Dante risponde che anche il fabbro ha storpiato la sua opera
declamandola non alla lettera e, quindi, modificandone le parole. Al di là del
divertente racconto, la vicenda testimonia della popolarità che l’opera di
Dante conseguì fin da subito tanto che il popolo amava imparare a memoria i
versi del capolavoro. La Commedia era conosciuta da tutti, interessava
tutti. Per caso, le opere di Shakespeare hanno perso la loro capacità di
comunicare all’uomo di oggi, a distanza di quattrocento anni?
Al contrario,
sorprende il fatto che i suoi drammi siano fra i più rappresentati sul
palcoscenico teatrale e che vengano riletti, continuamente sceneggiati per
versioni cinematografiche, certo a volte con vistose e sgradevoli storpiature.
La grande poesia è immortale. Se vogliamo celebrare davvero la poesia, dobbiamo
frequentarla, leggerla, farla diventare nostra, portarla dietro con noi,
assaporarne i versi a memoria, scoprire che i grandi poeti sono nostri amici e
contemporanei (come scrive Machiavelli nella bellissima lettera al Vettori del
10 dicembre 1513), perché sanno esprimere quello che anche noi viviamo e
proviamo, le nostre stesse ansie e le nostre aspirazioni, l’ardore e la paura
del vivere, l’horror vacui e il desiderio dell’assoluto. L’atto poetico ha a
che fare con l’uso della parola. L’ingegno poetico usa una parola al posto di
un'altra e muove il lettore o l’ascoltatore alla scoperta della verità e della
storia che è nascosta sotto quel termine. La poesia diventa così scoperta,
impone un processo conoscitivo alla ricerca della verità nascosta e, ad un
tempo, rivelata. Ecco perché Ungaretti scrive ne «Il porto sepolto»: «Vi arriva
il poeta/ E poi torna alla luce con i suoi canti/ E li disperde// Di questa
poesia/Mi resta/Quel nulla/Di inesauribile segreto».Per questo Emanuele
Tesauro, autore del Cannocchiale aristotelico, il trattato di retorica
più famoso del Seicento, scrive: «Se tu di’: «Prata amoena sunt»,
altro non mi rappresenti che il verdeggiar de’ prati; ma se tu dirai: «Prata
rident», tu mi farai (come dissi) veder la terra essere un uomo animato,
il prato esser la faccia, l’amenità il riso lieto. Tal ché in una paroletta
transpaiono tutte queste nozioni di generi differenti: terra, prato, amenità,
uomo, anima, riso, letizia. E reciprocamente con veloce tragitto osservo nella
faccia umana le nozioni de’ prati e tutte le che passano fra queste e quelle,
da me altra volta non osservate».Per questo la poesia non può morire, proprio
perché coincide con quest’uso sapiente della parola che è, in un certo senso,
espressione stessa dell’uomo, del suo ingegno, della sua ricerca della verità.
La poesia è testimonianza di un cammino dell’uomo che ha preso coscienza di sé
nel tempo della storia.Per questo grande è la responsabilità del poeta. Nella
lettera agli artisti del 1999 Papa Giovanni Paolo II scrive: «Tocca a voi,
uomini e donne che avete dedicato all’arte la vostra vita, dire con la
ricchezza della vostra genialità che in Cristo il mondo è redento: è redento
l’uomo, è redento il corpo umano, è redenta l’intera creazione […]. A contatto
con le opere d’arte, l’umanità di tutti i tempi – anche quella di oggi –
aspetta di essere illuminata sul proprio cammino e sul proprio destino».
(pubblicato su Tempi.it del 20-3-2013).
L'artista è colui che può comunicare
all'inconscio, alla sfera dei sentimenti e delle emozioni, in modo diretto,
intuitivo, ma lo fa sempre di meno, specialmente il poeta. Io credo che si
debba cambiare direzione e rivedere il ruolo della poesia, o almeno cercare di
mettere in risalto i momenti nei quali la poesia cerca un suo ruolo
sociale. Gli artisti e i poeti hanno una grande responsabilità di fronte
alla società, per il progresso delle qualità migliori dell'umano: se essi non
se la assumono, nessuno lo può fare al posto loro, perché essi soltanto sanno
usare la potenza evocativa dell'arte.
Dante ci metterebbe tutti fra gli ignavi, credo, con poche pregevoli eccezioni.
“La bellezza salverà il
mondo”, certamente…ma il mondo deve salvare la Poesia!
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