Chissà quanti si
saranno bagnati nelle acque del fiumicello
Galeso: il corso d’acqua era una tappa obbligata per chi, negli anni ‘50
e in estate, si recava a Nasisi, col treno, per rinfrescare alcuni momenti
della sua giornata.
Il mare, allora, non offriva altro! I più fortunati recavano
con se’ una enorme camera d’aria, nera, per mantenersi a galla, alla quale si
aggiungeva tanta gioia e tanta semplicità nel divertimento. Un fiumiciattolo
il Galeso, lungo circa 900 metri
con una profondità media di 0,5 metri:
ma anche un fiume antico, nobile, aulico,cantato da vari poeti sin
dall’antichità classica.
I nomi si sprecano:Virgilio, Orazio, Marziale, Sesto
Properzio, Claudiano, Pascoli e Adolfo
Gandiglio in Prope Galaesum, componimento che vinse la Magna Laus
al certamen di Amsterdam del 1927.
Leggiamoci, ora, cosa
scriveva del Galeso qualche meno…famoso autore.
Dal “Canzoniere di Orazio” ridotto in versi toscani dal Pallavicini nel 1736:
“…Che se mene dilunga avverso fato,
Viver non mi torrà dove il
Galeso
Dolci onde Versa ad ammantate greggie,
E ricovrar dove regnò'
Falanto.
'Altro, che quel pareggi, angol del mondo
Per me non ride: ivi d’Imetto i favi,
E le pregiate di Venafro olive
Trovan chi seco di sapoÎ gareggia…
Scriveva
Domenico Romanelli
nel 1815:
L'etimologia di questo piccolo fiume fu derivato dal canon.
Mazzocchi da' radici orientali, che
dinotavano trasmi graziarle , da riferirsi o a' Noachidi, ovvero a'
Cananei quivi rifuggiti. Gloria singolare per un piccolo, e quasi ignoto fiume
, che abbia fissata 1’ attenzione di popoli così celebri e rimoti, II sig.
Carducci ricorse ancora alla lingua ebraica, senza prima provare, che gli Ebrei
conimati nella Palestina avessero mai toccata l'Italia, e trovò felicemente la
parola galas , che da la nozione di tosare … che ne sia questa la
vera etimologia, perché le lane delle pecore si tosavano
nella sua riva , onde cantò Orazio: Didce pellitis ovibus Galaesi l'iumen . . . Da Virgilio si die a questo fiume 1'aggiunto di negro ,
come si legge ne' migliori esemplari, invece di piger:Qua niger humectat Jlaventia calta Galaesus. il qua! aggiunto
polo derivate, o dalla profondità della sua origine , cioè da una palude, come
pensò il Turnebo, ovvero dalle folte ombre delle siepi, e degli alberi, che spalleggiavano il suo corso.
Questa seconda opinione è appoggiata a Properzio, da cui si chiamò il Galeso coli'
aggiunto di ombroso per la spessezza de'pini, che la circondavano:
Tu canis umbrosi subter pineta Galaesi
Thirsyn et attrutus Daphnin
harundinibus.
Elegie, libro II, 34,
67-68.
… Tu canti (o Virgilio) per i boschi
di pini dell’ombroso Galeso
Tirsi e Dafne con le loro vecchie canne.
Altro nome , ma più glorioso , illustrava questo piccolo
fiume. Esso appellossi ancora Eurota (5), nome antichissimo, che gli
diedero i Partenj in memoria del famoso Eurota , che scorreva nella
Lacedemonia.
Fu celebre il Galeso per gli-
accampamenti, che vi stàbili Annibale, allorché aspettava la resa della rocca
Tarentina. Profectus cum caeteris copiis ad Galaesum Jlumen , quod
obesi quinque milita ab urbe , posuit castra. Livio in questo
passo fu esattissimo nel descrivere la
distanza di questo fiume da Taranto. Esso difatti scorre al nord della città
nella notata distanza, e dopo brevissimo corso si perde nel mar piccolo, ossia
nel porto interno Tarentino.Il Galeso è ricordato da Orazio, da Virgilio e
da quanti poeti ed istorici parlano dell' amenità de' luoghi che esso bagna. I
Tarantini lavavano nelle sue acque le lane con le quali tessevano le loro
porpore celebri nelle storie de1 Romani signori del mondo. Le acque del Galeso, limpide e
fredde, sgorgano in un letto ghiaioso , e sono assai grate a' cefali ( Mugli
Cephalus Lin. ). Il fiume
scorre assai lento per un piano dolcemente inclinato non più lungo di quattro-
ceulo passi , e però fu detto dagli antichi piger…sulle foci del Galeso il terreno
divien paludoso , e si abbassa quasi fino al livello del mare. Dal Galeso in poi
incontrasi un miscuglio di rottami di calcare appannina, di tufo e di creta,
sparso nella superficie di poca terra vegetabile , e coperto sulle sponde di
sabbione. Succedono le Citrezze, ove il terreno si affonda novellamente per
dare scolo alle acque che scaturiscono da picciole polle.”
E Ceva Grimaldi Giuseppe nel 1821:Non bisogna lasciar Taranto senza dir del Galeso
, che come il
Giordano, come il
Tevere parla molto alla immaginazione. Tutti i Poeti latini da
Virgilio a Marziale hanno cantato questo fiume
, i suoi alti pini , le ricche campagne .che fecondava e le sue
rive coperte da numerosi armenti celebri per le lane,ricercate caramente dai
grandi e dalle belle j i pini non esistono più, le lane sono impiegate ad
ignobili lavori, ed il non
è in realtà che un fiumicello , che si getta nel mar piccolo, la cui origine è
breve e le onde sono povere \ Marziale chiama questo fiume Spartano e
Polibio gli dà il nome
di Eurote. Invano si cercherebbero in riva al Galeso le alte torri Ebalie descritte da
Virgilio , ove il vecchio
Coricio dopo aver corsi i mari sotto il gran Pompeo, contento di coltivare
pochi jugeri di terra non invidiava la grandezza dei Re, copriva le sue mense
di non comperati cibi, il primo
coglieva nella primavera la rosa, nell'autunno i pomi, e quando il tristo inverno
copriva la terra di nevi tosava le chiome del molle acanto e del mirto,
suscitando neh" umile focolare fiamma soave ed odorata.
Clément
Pellé, nel 1841,descrivendo Taranto:“Nulladimeno il Galeso, sulle cui sponde Virgilio scriveva le graziose
bucoliche, e le sue colline dove mai sempre crescono pampini rivali di que'di
Falerno, e cantati da Orazio, ancora rimangono a Taranto, in una col suo cielo
soave, coll'aria balsamica che emana la sua vegetazione, e con le innumerabili
frotte di squisiti pesci che il
suo grande ed il
suo picciolo mare le somministrano; ricca di tesori sì fatti una
città può giacere oscura sì, ma non veramente infelice”.
Il passionato amante di Lalage in tal
guisa ha celebrato questi luoghi.
Ille terrarum mihipraeter
omnes
Angulus ridet, ubi non Hy metto
Mella decedunt, viridique certat
Bacca Venafro,
Per ubi longum, tepidasque praebet
Iupiter brumus: et antim» Aulon
Fertili Baccho minimum Falernis
Invidet uvis
Ille te mecvm locus, et beatae
Postulant arces: ibi tu calentem
Debita sparge* lacrima favillam Vatis
amici. (Hot. Od. II. 6. t8).
Concludo col massimo poeta latino, Virgilio.
Lorenzo Tornieri, nobile vicentino, nel 1822, così tradusse
i versi dal libro IV delle Georgiche:
“Io vidi un giorno a Taranto dappresso Dove il Galeso mena l' onda oscura , Dalle fatiche e dall'
etade oppresso Coricio vecchierel darti a tal cura; Ed incallir la man tremante
ci stesso In poca terra derelitta e dura , Ch' atta non era a produr erba
alcuna, E di Bacco all' umor non opportuna.
Pur l'erbe rare sotterrando a stento lilio e la verbena raccogliea , E il papavero molle;
e l' opulento Stato de' regi pareggiar solea; Di non compre vivande egli
contento Sempre la mensa sua coperta avea , E dalla pianta da lui eulta e doma
Primo coglieva i fior, primo le poma.E mentre ancora il verno le vicine Terre agghiacciava e ogni riposto
sasso, Wè ancora sciolto dalle bianche brine Il ruscello movea rapido il passo; Sin d'
allora tondendo il verde
crine De' mollissimi acanti il
vecchio lasso , Rimproverar solea aurette ingrate Tarde a condurre la
feconda stateEra il buon
vecchio d' ogni culto amante . Abbondando non men d' api soavi, E alle stagion
dovute il mei
spumante Primo adunava dai spremuti favi; Il tiglio, il pino, e mille vaghe piante Ornavano il giardin ridenti
e gravi, E quanti l'arboscel fiori. mettea Cotante frutta nell' autun cogliea.”
La tradizione vuole che proprio su queste sponde il poeta
mantovano abbia composto le egloghe e abbia tratto ispirazione per le Georgiche.
(la bella ed suggestiva foto, del 1969, è di Ciro De Vincentis).
Ricordo ancor giovine allo fociar di codesto nelle acque del mar piccolo, il mio tuffar in queste acque gelide in quei punti dove non si toccava fondo, dove l'incoscienza superava la paura; ma si sa i giovani non conoscono i loro limiti.
RispondiEliminaOpss...Sfociar.
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