di Pierfranco Bruni
Camminiamo lenti lungo la linea della brughiera.
La brughiera è come se avesse una linea che invade i confini di un orizzonti di ombre.
Ieri sera sono andato via molto triste.
Credimi. Da tanto non toccavo il giocare della tristezza nei miei occhi. Anche tu eri triste. Abbastanza. Ma nulla può toccarci. Nulla può invadere il campo nei nostri sentieri incantati. Sei magia nella mia vita.
Era sceso un velo di tristezza in entrambi. Eppure avevamo fatto l’amore soltanto da poco.
La nostra stanza sul mare sembrava un’assenza: era come se non avesse avuto mai il mare. Ma tu c’eri. Io più di te.
Mi appartieni come mi appartengono le voci che danzano tra i fantasmi dei miei pensieri.
Uno scrittore deve cercare di dialogare sempre con i propri fantasmi. Nel momento in cui i fantasmi si allontanano il suo scrivere si dilata e diventa semplicemente malinconia.
Ti ho raccontato, mentre cercavo un tuo sguardo vero, la storia della mia vita. In brevi battute mi sono donato completamente alla tua anima.
Sei fantastica quando facciamo l’amore. Ogni piega del tuo corpo entra nelle mie pieghe. Ogni tuo bacio io lo vivo come un bacio per sempre.
Quando facciamo l’amore ogni gesto è poesia. L’amore è come la poesia. O sono veri o non sono. L’ho letto questo pensiero in un romanzo di tanti anni fa. O forse l’ho scritto addirittura in un mio romanzo.
È bello poter avere la consapevolezza di confondere i propri romanzi con i romanzi di quegli scrittori che hanno fatto la tua la mia vita.
Non c’è limite. La letteratura è dentro la mia vita come la mia vita è dentro la mia vita.
Non mi dire ora che cerco di mischiare le carte.
Tu sei bellezza. Non sono io a dirlo. Ad affermarlo sono i miei occhi che ti cercano.
Amore mio bello. Se coltivo ancora le rose, quelle poche rimaste, nel mio giardino è perché mio padre mi ha tramandato un messaggio: non sciupare mai la bellezza, non trascurare mai ciò che ami per un salto di vanità, non oscurarti mai per un silenzio che ti hanno offerto, non smettere mai di essere te stesso anche se la tristezza ti potrebbe vincere, ma cerca l’amore e con l’amore regala una carezza di pazienza a chi ti sta accanto, non sciupare mai la bellezza che porti nel cuore.
Io cerco sempre di restare fedele alle parole di mio padre.
Non saprei vivere senza la fedeltà a mio padre.
Continuo a cercarti anche ora che sono solo. Solo ma sono con te.
Mi hai consegnato un messaggio straziante, amore mio, ieri sera. L’ho colto tutto.
Ho ripensato per tutta la notte alla nostra stanza sul mare. Per la prima volta non mi hai detto: non si va via senza salutare il nostro mare. Ti amo.
Se ti scrivo non è perché ho bisogno di confessartelo o di liberarmi di uno stato d’ansia. Tu sai che io non ho mai creduto alla mediazione psicoanalitica. La “cognizione del dolore” te la porti dentro e la cacci via solo con te stesso. Il “male oscuro” lo sconfigge se hai la forza di guardarti nello specchio. Non è perché sartrianamente l’altro non mi offre fiducia o penso che non ci sia. Io tanto credo in me e in te che il resto è il nulla.
La mia anima è l’attesa che chiede alla speranza di farsi specchio e intermittenza. Sto usando concetti di psicoanalisi. È vero. Ma Freud mi fa ridere. Io sono un pavesiano, come ben sai, fottuto.
Chi non si salva da sé non lo salva nessuno. Accetto anche il gesto ultimo. Ma bisogna toccare il fondo per vivere la risalita, ma non entrerò mai nel teatro delle comparse e delle scene mute che restano in ascolto per tirarti fuori le ferite o per tirarti dalle ferite. Su questo non accetto neppure il confronto.
La mia via è la via dell’anima. La dissolvenza la vinco con la tua magia, l’alchimia degli sguardi, la stregoneria del tuo corpo.
Sei stupenda quando facciamo l’amore… quando le tue labbra custodiscono il destino dei miei destini…
Ecco. Ripenso ai versi di un poeta arabo – Andaluso di nome Ibn Zaydun:
“O raggio d’una stella che viaggia nella notte:
raggiungi il tuo palazzo, e là fatti coppiere,
perché d’amore beva chi solo d’amore ha sete”.
Tu, mio raggio di stella non mi restare triste e parlami. Non uccidere la nobiltà del silenzio con il tuo tacere muto. Amami con la libertà della tua anima.
Ho scritto per te il cantico di Asmà, che è preziosa come la luna mentre vive il disincanto del sogno affinché il sogno possa durare nella vita.
Tutto questo ha un senso?
Ma sì che ha un senso… ascolta.
C’era una volta una principessa che si era fermata su uno scoglio e aspettava che le onde raggiungessero i suoi piedi. Ma il mare aveva la calma dell’ozio.
La principessa di nome Rosa del Deserto aspettò l’alba. Era una principessa araba, il cui destino si racconta come mille e una notte ancora.
Un bel giorno le onde persero la calma negli orizzonti e l’ozio nei confini.
Venne un forte vento e una voce da lontano cantava una preghiera musaulmana.
Le onde intrecciarono i capelli della principessa e l’acqua navigò nei suoi occhi.
Non perse mai la pazienza Rosa del deserto.
Accolse le onde e parlò loro dicendo: “Per anni ho aspettato. Per notti lunghe ho atteso. È bastata che la sabbia spingesse il vento e non il vento la sabbia per essere travolta dal mare. Per essere baciata dalla verità delle onde.
Le onde portano la verità e si riprendono le finzioni.
Le tempeste hanno sempre un senso.
Ho ascoltato il mio cuore e la mia anima è diventata la casa delle emozioni.
Così ho compreso che l’amore che porto per il principe Seta Blu è un amore tempestoso ma è amore, è verità, è salvezza. Io ho bisogno di questo amore”.
C’era una volta… Ma sempre ci sarà se riusciremo ad ascoltare ciò che il volteggiare delle tende nella stanza affacciata sul mare potrà dirci.
Io cerco di ascoltare.
Non perdere la tua bellezza amore mio.
Non perdere la tua magia amore mio.
Non perdere ciò che ti ho donato, ciò che dono, ciò che sei.
Camminiamo lenti mentre i miei passi diventano leggeri e il tuo sguardo cede verso il basso.
Non ti offro lusinghe.
Nulla potrà allontanarci se il tuo amore è tempestoso mare tra le mie mani.
Nulla potrà separarci se la mia allegria incontrerà sempre la passione del tuo sorriso.
Ora posso anche fermarmi e specchiarmi tra i riflessi di una vetrina…
Vedi c’è una maglia che vorresti indossare e che tanto ti piace…Ma tu non accetti questo regalo. Non ha importanza. Sarà per un’altra sera.
Gli incontri sono mistero e gli appuntamenti sono il desiderio nel destino. Ma dove vado se ti sei persa tra le strade del mio cuore…Dove vai se io mi sono smarrito tra le curve della tua anima…
Sei grandezza quando il tuo corpo su di me ha la passione dell’amore infinito…
Tu mi conosci.
Tu che mi conosci resta sul mio corpo e prenditi l’anima. Tu prenditi il cuore e lascia che le mie mani restino marea sulla tua pelle.
Vado via e ti segno i versi del maestro dei dervisci danzanti, Jalal al-din Muhammad, ovvero Rumi che recitano:
“Lo so, questo mio sguardo che tuo malgrado saccheggia
La tua bellezza, tu ben vuoi punirlo. Non farlo.
Fermati, amore, non puoi profferire parola, non farlo.
Sei la stella che getta scompiglio nei cieli…”.
Devo aggiungere altro?
Non ti consegno parole. Ti consegno amore, amoremio. Non ti consegno parole, ma un viaggio nella notte nella quale io e te siamo la stella e il raggio.
Ti ricordi quando quella sera ti ho detto: vorrei addormentarmi sul tuo seno e tra i tuoi capelli sotto le lontananze delle luci e dei colori dei fari che hanno riflessi sul mare…
Un viaggio nella notte nella nostra danza araba…
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blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis