Resta centrale la figura del padre che racconta di quando “tutti eravamo fascisti”
di Sandro Marano
E’ stato presentato nei giorni scorsi presso la libreria La terra di Thule in Bari il libro di Pierfranco Bruni “Passione e morte. Ben e Claretta” edito da Pellegrini. L’autore è stato presentato da chi scrive che, dopo aver delineato un breve profilo dello scrittore e della sua produzione saggistica e narrativa, ma soprattutto poetica, ha posto una serie di domande sia sulla forma di questo racconto lirico sia sui suoi contenuti.
In particolare, caratteristica di Bruni - è stato rilevato - è la sua scrittura poetica, che tende a far coincidere prosa e poesia. La poetessa Angela Giannelli ne ha dato un apprezzabile esempio, leggendo magistralmente il capitolo intitolato “Nella bellezza di Clara” e riscuotendo un caldo applauso dal folto pubblico presente. Bruni fa riferimento e applicazione della nozione di ragione poetica elaborata dalla filosofa Maria Zambrano, spingendo la ragione e la scrittura nell’oscurità del sentire.
Il racconto che, come bene riassume il titolo, ripercorre l’amore-passione di Clara Petacci e di Benito Mussolini e il suo tragico epilogo, si snoda tra storia, fantasia ed emozioni personali.
Comincia con la figura del padre - che, ricordiamo, indossò la camicia anche dopo l’8 settembre e mai rinnegò la sua scelta politico-esistenziale - che racconta con umana partecipazione, prosegue con quella dello scrittore stesso che visita i luoghi dove si consumò la tragedia alla ricerca di un senso che sfugge e si interroga sul mistero di un amore nel tempo della storia e del viaggio, che diventa il paradigma dell’amore che resta fedele nella tragedia e non teme la morte (“l’amore, la passione, il rischio e la bellezza di una donna che ha saputo morire per il suo uomo”), per poi dare voce a Claretta e Benito con delle lettere inventate e riprendere, infine, il dialogo col padre che in una pagina di grande intensità consiglia al figlio scrittore di non dimenticare mai ma di andare comunque oltre.
Nel racconto accanto al padre, il cui racconto si configura come storia, come elemento maschile, c’è, sia pure implicitamente, la madre, l’elemento femminile, che si configura come mito e fantasia: “Mio padre mi racconta. Mia madre ascolta ma rincorre i segni delle favole lontane.”, scrive Bruni nell’incipit del racconto. Molto è stato detto e scritto su questa storia che Gervaso ha definito la più bella storia d’amore del ‘900 ed Ezra Pound ha cantato nei primi versi del suo capolavoro, i Pisan Cantos: “L’enorme tragedia del sogno nelle spalle curve del contadino / Manes ! Manes fu conciato e impagliato. / Così Ben e la Clara a Milano / per i calcagni a Milano…”.
In questo racconto, come pure nel precedente “La bicicletta di mio padre”, in cui Bruni dà prova di una notevole e convincente maturità espressiva, emerge la figura di Claretta, donna affascinante e di straordinaria bellezza, che non indietreggia di fronte alla morte, che non ha paura di mostrare la sua umanità forte e delicata, né una dimensione più politica, come quando non si limita a consolare il duce stanco, sfiduciato e deluso, “il sognatore naufragato”, come Benito si firma in una delle lettere a lei indirizzate durante i 600 giorni di Salò (una serie prodotta da Rai Educational: Ben e Clara. “Le ultime lettere” andata recentemente in onda le ha proposte al pubblico con l’interpretazione superba di Michele Placido e Maya Sansa), ma consiglia, esorta a prendere decisioni, si misura con gli eventi del tempo.
Che cosa resta di questa storia? Probabilmente, la sua grande poeticità, il suo “essere sospesi tra cielo e lago”, come scrive Claretta in una lettera.
Nessun commento:
Posta un commento
blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis