Chi non è
più un ragazzo ricorda nella sua giovinezza il mito del West, alimentato
soprattutto da una filmografia che creò degli stereotipi divenuti classici. Il cow boy, lo sceriffo, gli indiani,
l'avventura, le cavalcate nelle immense praterie, le immancabili sparatorie, la
vittoria dei buoni bianchi sui cattivi pellirosse. Gli indiani erano selvaggi e gli eventuali indiani buoni
erano quelli disposti a collaborare con l'uomo bianco. Al manicheismo del
"bianco buono - rosso cattivo" non è mancato purtroppo il manicheismo
di senso opposto (ricordate il Piccolo grande uomo?). Come sempre, “in
medio stat virtus” ovvero la verita’.Il primo dato di fatto, banale quanto si vuole, ma non per questo sbagliato, è
che i pellirosse si trovavano sulla propria terra, che fu invasa; possiamo
indagare a ritroso nella Storia quanto vogliamo e sempre troveremo affermato il
diritto di un popolo di resistere contro gli invasori:la Storia,l’etica, la legge lo sanciscono!
E' pur vero che la Storia ci mostra innumerevoli
esempi di grandi migrazioni, che si concludono col predominio di un nuovo
popolo, che si stanzia su un territorio, facendolo suo. Ma nello scontro tra
uomini rossi e uomini bianchi ci furono alcune peculiarità che bisogna
sottolineare. Anzitutto il periodo delle guerre indiane (XIX secolo) non
può assolutamente essere assimilato a periodi storici ben anteriori, che
vedevano i grandi movimenti di popoli causati dalla necessità, inevitabile, di
trovare terre coltivabili, di trovare cioè di che sopravvivere. Qui abbiamo uno
scontro condotto soprattutto nel nome del progresso,
inteso nel senso più materialista e deleterio del termine, nonché del profitto. Se è vero che gli Stati Uniti
d'America nacquero come affermazione di libertà e furono la prima democrazia
moderna, è altrettanto vero che la spinta economica fu determinante nelle
scelte politiche generali e in particolare nella politica verso gli indiani.
Inoltre lo scontro era tra due civiltà, tra due visioni della vita talmente
diverse tra loro, da divenire inevitabile: ma non per questo accettabile
moralmente. A questo movimento continuo, a questa frenesia di conquista in
tutti i campi, si contrapponevano, nelle grandi pianure a Nord di quel confine
indicativo tracciato dal fiume Arkansas, delle popolazioni che conducevano una
vita totalmente differente, seguendo tradizioni secolari, con una spiritualità
e un contatto, reale, con la natura che li portavano ad essere indifferenti
verso quei valori che invece coinvolgevano profondamente l'uomo bianco.
Per i Sioux e in genere per le tribù indiane del settentrione il credo
religioso era fondato sulla figura di Manitou, il Grande Spirito, che
chiedeva agli uomini di praticare alcune virtù e di regolare la propria vita su
di esse. Le quattro virtù erano la generosità, il coraggio, l'integrità
morale e la forza d'animo. I quattro peccati che un indiano doveva
rifuggire erano: permettere che un ospite se ne andasse affamato; permettere
che un bimbo orfano piangesse per fame; perdere in battaglia il più anziano dei
figli e tornare senza di lui; tornare solo dal combattimento dopo che tutti i
propri compagni fossero stati uccisi. Come si vede, la guerra era considerata
una componente normale, diremmo ovvia, nella vita del pellerossa, né questo
deve stupire in una società primitiva. Ma non è corretto assimilare
"primitivo" a "selvaggio", con tutta la negatività che
questo termine porta seco. Se ha un significato, non solo materiale, la parola
"civiltà", crediamo che la lettura delle virtù e dei peccati
sia molto istruttiva. Si consideri anche che per i Sioux, come per i loro
alleati e amici, gli Cheyenne, l'avidità e l'egoismo erano pressoché
sconosciuti. Il loro maggior impegno rispetto alle ricchezze che possedevano
era di farne dono ad ogni occasione possibile; un Grande Capo che non si fosse
spogliato dei suoi beni per darli a chi era bisognoso si sarebbe attirato il
biasimo di tutta la tribù, perdendo ogni autorità. Parlavamo di ricchezze, ma
attenzione, si tratta di beni materiali, di immediata utilità, come scorte di
cibo, pelli, armi, cavalli: i pellirosse non conoscevano il danaro né mai
compresero la frenesia dell'uomo bianco per quel metallo, l'oro, che poteva
servire al più per fare monili.
La stessa guerra era per l'indiano delle praterie anzitutto
un modo di dimostrare il proprio valore; eccellenti cavalieri, i giovani
pellirosse usavano anche, per superare quello che potremmo definire una specie
di esame di maturità, lanciarsi al galoppo contro il nemico, disarmati e
portando solo un bastoncino in mano. Arrivato a contatto col nemico, il giovane
che aspirava al titolo di guerriero lo toccava col bastoncino e poi
batteva in ritirata (sempre che l'avversario non l'avesse abbattuto). In questo
modo aveva dimostrato il proprio coraggio, mettendo a repentaglio la propria
vita e senza uccidere inutilmente nessuno. Gli indiani furono sterminati dalla
superiorità delle armi bianche, dei fucili Winchester, dagli esplosivi:o forse,
come sostengono alcuni, dal whiskey, dall’alcool che ne fiaccava la forza
militare, la vis guerriera? Non senza ragione, altri sostengono che nel
Nord America furono le malattie dei bianchi a compiere la strage. Fu il vaiolo,
si, il germe del vaiolo usato come arma contro cui il sistema immunitario dei
nativi non sapeva contrapporre una cura efficace a causare una strage in
Canada, verso la metà del 18° secolo. Dunque perché ci occupiamo ancora di
indiani? Quale perdita, con la scomparsa della loro cultura, del loro stile di
vita, stiamo scontando? Un recente articolo del New York Times notava
come, nelle zone un tempo riserve indiane, il numero delle famiglie con
problemi di droga e dipendenze varie è ancora molto alto. Il problema dell’adattamento
al modello di vita americano, come si vede, non è ancora realizzato e il
conflitto pare solo spostato su un piano culturale differente e il tempo non è
riuscito a cancellarlo. Certo, ci sono indiani che ce l’hanno fatta, che sono
diventati ricchi, magari costruendo Casinos o altre nefandezze legate al
dio denaro, che sono diventati importanti nel campo delle scienze, ma la
guerra, il Polemos (πόλεμος) per dirla con Eraclito, non è affatto terminata e
prima o poi qualcuno verrà a dissotterrare le armi e riaffermare, col grido
caratteristico di Oka hey, il diritto del popolo indiano. Allora un
nuovo rapporto con la natura, una nuova civiltà si aprirà per l’America: la
cultura dei nativi, una possibilità vecchia e allo stesso tempo nuova per gli
esseri umani.
I toccanti versi di
De Andre’, nel suo “Fiume San Creek”, risuonano come una marcia funebre nelle
grandi praterie assolate,popolate da bisonti a cui fa da cornice il lento e mesto
rintocco di una campana che suona la vergogna e l’infamia per l’uomo
bianco.Un eccidio dimenticato,come gli innumerevoli eccidi di cui e’
cosparsa la storia dell’uomo che, assurgendosi a disonorato vincitore sugli
altri esseri viventi,tramanda ai posteri la “sua” Storia:
…Quando il sole alzò la testa tra le spalle della notte
c'erano solo cani e fumo e tende capovolte
tirai una freccia in cielo
per farlo respirare
tirai una freccia al vento
per farlo sanguinare
la terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek
Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura
sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
fu un generale di vent'anni
occhi turchini e giacca uguale
fu un generale di vent'anni
figlio d'un temporale
ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek…
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blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis