In questi giorni mi è venuta alla mente un'opera latina durante la cui
lettura noi, giovani liceali, ammiccavamo, sorridevamo, mandavamo sguardi
complici. Un testo che ci fa capire come non ci sia "nihil novi sub sole": ma mentre
in questo caso si tratta di arte e letteratura, ciò che noi leggiamo
ora sui giornali è puro degrado morale e politico.Il “Satyricon” di Petronio è una delle opere
capitali della classicità latina; in quello che ci resta del grande romanzo,
corre la raffigurazione di una quotidianità che parte e torna alla Suburra, a
un luogo che è tanto della mente come del corpo
Ciò che resta a noi del Satyricon è soltanto una minima parte rispetto
all’enorme mole del romanzo nella versione originale. Al punto che
tentare di ricostruirne la vicenda risulta quasi impossibile, se non
arbitrario, dato che a noi sono giunti soltanto l’episodio della
cosiddetta Cena Trimalchionis, ambientato in una non meglio identificata
"Graeca urbs", e vari frammenti relativi a vicende immediatamente
precedenti o successive alla cena medesima, a loro volta ambientate
nella stessa città della Magna Grecia e a Crotone. Il contenuto consiste
nel racconto che il protagonista Encolpio fa delle sue
spregiudicate gesta e dei suoi compagni, l’avventuriero Ascilto, il
bellissimo fanciullo Gitone e, da ultimo il poeta Eumolpo. Il romanzo fondato sul motivo erotico e delle
avventure di viaggio, si spezza in un gran numero di episodi e di
divagazioni letterarie e ed artistiche. Così l’interesse si ferma sulle
singole scene, pittoresche e di un realismo crudo e senza ritegno. Per
lo più traggono ispirazione dalla gelosia per l’amore di Gitone, da
celebrazioni di riti religiosi per il dio Priapo, da risse furiose, e da
feste e banchetti eccezionali come la cena di Trimalcione. All’interno
di questo impianto sono inserite alcune novelle, concepite dall’autore
come brevi intermezzi distensivi nel vortice spesso caotico dell’azione.
Si tratta di brevi apologhi rivissuti e commentati dai protagonisti con
un procedimento che ricorda quello sobrio e distaccato del Decameron
boccaccesco: i fatti che costituiscono la trama della vicenda sono
presentati facendo ricorso esclusivamente ai tratti essenziali e
necessari alla messa in rilievo dello svolgimento della vicenda alla
caratterizzazione dei personaggi.
Appare un mondo
"carnevalesco, ruotante intorno a un centro motore priapeo…: Priàpo, dio
della fecondità e del sesso … qui è un dio adirato e vendicativo, il quale
semina lussuria, risse, perversioni, impotenza, e veri e propri sabba
propiziatori ed esorcismi osceni...Il tema del sesso o, se si preferisce,
l'oscenità di numerose situazioni del romanzo, non sono altro che varianti priapee
dello stesso sentimento di decadenza, che è insieme agonia di ogni valore della
tradizione catoniana e quiritaria [del cittadino dell'antica Roma], e assenza
di altri valori che non siano quelli di una sfrenata rincorsa al profitto e al
piacere. Qui è l'ispettore degli alberghi che viene a chiedere il nome dei
viaggiatori ultimi arrivati; là sono lupanari dove una folla si aggira intorno
a donne nude, dritte davanti ai cartelli col loro nome, mentre dalle porte
malchiuse delle camere si intravedono i sollazzi delle coppie; là ancora, in
ville dal lusso insolente dove la ricchezza e il fasto diventano demenza, non
meno che nei poveri alberghi che si succedono nel libro, con i loro letti di
cinghie marce, pieni di cimici, si agita la società del tempo: marioli impuri
come Ascilto ed Eumolpo, in cerca di fortuna; vecchi incubi dalle vesti
rialzate, dalle gote impiastricciate di bianco di piombo e di rosso acacia;
Gitoni di sedici anni, paffuti e arricciati; femmine in preda agli attacchi
d'isterismo; cacciatori di eredità che offrono i loro ragazzi e le loro ragazze
alla lussuria dei testatori [chi fa testamento]: tutti si vedono correre di
pagina in pagina, discutono nelle vie, si incontrano nei bagni, si prendono a
legnate come in una pantomima. Questi personaggi sono disegnati con un tratto,
sdraiati attorno a una tavola mentre si scambiano insipidi discorsi di
ubriachi, massime senili, sciocchi proverbi, col muso rivolto a Trimalcione che
si stuzzica i denti, offre vasi da notte all'assemblea, l'intrattiene sulle
condizioni delle sue viscere e fa vento invitando i convitati a non far
complimenti.
Inizia cosi’ la
decadenza dell’Impero Romano e gli immortali versi di Paul Verlaine risuonano
come campane a morte:
Io sono l’Impero alla fine della decadenza, che guarda passare i grandi Barbari bianchi componendo acrostici indolenti in aureo stile in cui danza il languore del sole…
N.B.Viene da chiedersi sconsolati: quanti Trimalcione ci sono oggi in giro nella politica? Consiglierei la lettura del testo nelle aule auliche del Parlamento ed in quelle delle amministrazioni provinciali e regionali.Sono certo che moltissimi di questi "rappresentanti del popolo" vedrebbero il riflesso di loro stessi.
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