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domenica 2 settembre 2012

La morte di Cristanziano Serricchio

Cristanziano Serricchio
A distanza di parole ma mai di cuore
Un incontro per ricordare la sua figura e la sua opera fissato per il 22 settembre prossimo a CAROSINO (TA)
di Pierfranco Bruni

 E’ morto, a Manfredonia, Cristanziano Serricchio. Il poeta del “miraggio della voce”. Il poeta del “vento spezzato sulla cima”. Il poeta che affidava “la noche entera el aullido del viento”. Il poeta di un Novecento non ancora consumato.  Ha intrecciato la sua parola a un volo di gabbiani. I gabbiani della sua terra e del suo mare. Camminatore tra le parole che hanno l’eredità dei linguaggi e i linguaggi sono la testimonianza di civiltà. Il poeta e lo scrittore. L’onirico viaggio in una poesia che ha come riferimento la tradizione, quella tradizione che intreccia la classicità greca con Petrarca e la linea rinascimentale che conduce sino a Mario Luzi.

Era nato a Monte Sant’Angelo nel 1922. Sul Gargano. Libri, titoli, pubblicazioni sono un itinerario che traccia il suo percorso. Il suo primo libro risale al 1950. Poi un lungo viaggio tra pagine di poesia e linguaggi che raccontano storie e destini. Il Sindacato Libero Scrittori e il Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi” organizzano un ricordo per il prossimo 22 settembre a Carosino (Taranto).  
Mi impegnai con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, a far tradurre le sue poesie a Santo Domingo e a Cuba, in spagnolo, (in un testo dal titolo: “L’altra sponda dei sogni”, 2005) in Macedonia e Tirana, a Scutari in lingua albanese e a discutere, in queste città, della poesia di Serricchio come una poesia riferimento del Novecento poetico europeo e italiano.
Un poeta tra rimandi di una “grammatica” dal verso sudamericano, ma andalusiano, con riferimenti che portano ad Unamuno e prima a Luis De Gongora e tra  l’ironico – melanconia dai toni sofferti e vissuti nell’esistenza del tempo e oltre l’ermetico scavo della parola stessa, sempre in una dimensione culturale in cui l’Occidente e l’Oriente trovano nella griglia simbolica del Mediterraneo la voce più profonda.
Il suo verso ha questa incisività di cuore e di immagini: “Allà abajo sobre el verde brillo del mar”, ovvero: “Laggiù sul verde luccichio del mare”, oppure: “per più amarti senza l’ombra/del distacco che recide” che tralucemmo in spagnolo: “para amarte màs sin la sombra/de la separacion que cercena”.
Perché le due traduzioni? Per la musicalità del verso. In Serricchio la musicalità è cantos. Fu un appuntamento che ricamò, soprattutto a Santo Domingo, una griglia di una poetica in cui la tradizione ungarettiana veniva completamente assorbita da un dialogante sguardo di linguaggi, in cui la poesia assumeva la sua valenza onirica ma si responsabilizzava di una antropologia dell’umanesimo che in Serricchio è molto forte, tanto da rimandare ad una grecità perfetta con delle penetrazioni in quel Poliziano tanto amato da Cristanziano.
Ma nella sua poesia c’è la storia dell’uomo. Di quella storia che ha voci e destini, appunto, che richiamano il Mediterraneo dell’Islam e della Croce. Ritrovo così il suo splendido romanzo, in un contesto di letterature sommerse e divaganti, che ha per titolo proprio “L’Islam e la Croce”, edito da Marsilio nel 2002. Nel romanzo, e in altri romanzi, come nelle prose, nel teatro, nel colloquiare con l’altro da sé, il poeta non cede mai al vento della storia. Perché, diceva Serricchio, è nella storia che la poesia si fa assoluto. Cosa è questo romanzo e cosa lascia?
La città di Manfredonia è colpita e invasa dai Turchi. Un saccheggio terribile. Una città di mare per un popolo che naviga i mari. Una bambina di otto anni di nome Giacometta viene fatta schiava e portata in Turchia, nel Topkapi (ovvero Porta del Cannone, la porta del Palazzo del Sultano) di Istabul. Diventerà la sposa del sultano, o meglio la favorita. Da questo rapporto nasce Osman.
Quando il bimbo ha appena due anni, insieme alla mamma, compie un pellegrinaggio verso la Mecca. Durante il viaggio vengono rapiti dai Cavalieri di Malta. Giacometta ritorna all’Occidente e rientra nelle eredità del Cristianesimo. Il destino sembra richiamare altre figure tra il mito e la realtà. Già qualche secolo prima Giorgio Castriota Scanderbeg aveva intrecciato il mondo cattolico cristiano e la formazione muslmana trovandosi alla fine come estremo difensore della cristianità.
Così Osman viene formato ed educato al cattolicesimo e resterà nella storia della vita del romanzo con il nome di fra Domenico Ottomano. Diventa così il tramite tra la cattolicità cristiana e l’Oriente musulmano. Tanto che alla morte del padre Ibraim cercherà di diventare sultano dell’Impero d’Oriente. È stato definito l’uomo della mediazione. Tra le sue pagine una religiosa lezione: “L’odio, la vendetta, la guerra eterna tra due fedi hanno bisogno di tempo perché gli uomini prendano consapevolezza della loro assurdità”.
In uno dei suoi ultimi romanzi dal titolo: “Ho viaggiato con l’apostolo Tommaso” (Edizione del Rosone, 2009), Serricchio riprende questo suo scavare nella civiltà dell’incontro e sottolinea: “Il tempo non esiste. Il pensiero e la fede annullano le distanze. Ci unisce la vita nel mistero della luce che l’anima”.
Il poeta continua così a recitare la vita e il tempo portandoci per mano: “tu ed io/a distanza di parole e di echi/ma non di cuore”, ovvero “…no de corazòn”. Mai di cuore le distanze o i distacchi o le lontananze. La poesia era l’uomo e l’uomo si portava dentro non solo il sogno dell’indefinibile ma anche le voci che permettono all’anima di non cedere mai all’esilio. Perché “Si spanderà ovunque la luce…/mia gioia/infranta, disperata dolcezza/irraggiungibile voce”.  Quella voce che canta, come si evince in “Seppina degli sciali” (Progedit, 2010), “Quante arriva lu tramonte/arrive pure tu”. Un presagio? Una vita che si racconta nel destino e nel mistero rivelante.

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