di Pierfranco
Bruni
Gesù Nuovo. Napoli. Chiesa di San Giuseppe Moscati. È una
preghiera costante per chi ha dedicato un libro al medico santo. Il tempo sembra
non mutare nulla ma forse ci illudiamo di mutarlo noi. L’illusione potrebbe
raggiungere il delirio ma c’è la
fede in Cristo che ci restituisce il valore della pietà, dell’attesa e
della speranza. San Giuseppe Moscati è una costante.
Il nuovo libro su Moscati,
(Edizioni Nemapress e sviluppo scientifico del Centro Studi e Ricerche
“Francesco Grisi”), al quale ho contribuito con un pensare oltre le righe della
religiosità nella teologia, è un intrecciare testimonianze ed esperienze. Verrà
presentato in Puglia, a Grottaglie (Ta), il prossimo 5 dicembre (Convento dei
Paolotti) e l’11 dicembre a Roma alla Libreria Vaticana.
Ma San Giuseppe Moscati mi
pone sempre nella prospettiva dell’attesa. La scienza, la filosofia, il sacro. E
per chi cerca di andare anche oltre il sentimento della contemplazione resta sempre la saggezza e la grande
misericordia.
Ricordo spesso una frase di
Santa Giuseppina Bakhita: <Sono stanca perché ho due valigie da portare,
tutt’e due pesanti. Una è mia, piena di debiti; l’altra è piena di meriti di
Gesù. Appena sarò sulla porta del Paradiso, coprirò i miei debiti con i meriti
della Madonna. Poi aprirò l’altra valigia e dirò: ‘Eterno Padre, ora giudicate
per quello che vedete’>. E spesso pensando a San Giuseppe Moscati mi giungono
le parole di Bakhita..
Nella spiritualità del
mistero cammina la religiosità che ha i suoi dubbi e le sue verità. Il mistico
non ha certezze. Cerca la verità. Chiede, anzi, alla verità di farsi ascoltare
soprattutto nei tempi dell’inquieto vivere come armonia e tremore (Kierkegaard)
sia come tragico sentire la vita (Unamuno). La religiosità è dentro la
filosofia. Agostino ha precorso i tempi della nostalgia dell’uomo ma ha anche
recuperato il dimenticato.
Il mistico e lo “sciamano”.
Sono due figure che interiorizzano il sentire, l’ascoltare, il donare. La
religiosità dei popoli che è fatta di antropologia ha le sue memorie e i suoi
radicamenti. Dal Tibet alla Mecca, da Gerusalemme a Roma. Ma nella profondità di
questo “esercizio” spirituale mi ritorna la figura carismatica di San Giuseppe
Moscati.
Perché Giuseppe Moscati?
Non è perché ho scritto diverse pagine su questo uomo santo, non è perché il
destino (e uso un concetto poco cristiano) lo intreccia ad una data fondamentale
(1927) che è la cifra, in termini alchemici, per me, quasi “cabalistica”, non è
perché il mio maestro di letteratura lo ha cucito sulla mia pelle e tra gli
incavi del mio cuore. Perché, forse, il suo sguardo, nel suo sguardo, mi porta
alla serenità contemplante dell’accettazione e ella profezia che è oltre la
speranza.
In Moscati profezia e
speranza sono un fraseggio dell’anima. Un uomo che ha la capacità di assentarsi
dalla scienza (perché va oltre gli illuminismi e il post illuminismo) pur
praticandola offrendosi al dono della fede, come mistero e non teologia, è già
dentro il mistico che lega il cristiano non al mondo ebraico ma alla
contemplazione della preghiera coranica. Nelle sue parole il dato biblico è un
incontrare costante con la visione gibriana del “Corano”.
Moscati è un Santo nel
nostro tempo e mostrarlo spesso con il camice bianco, nelle “icone”
tradizionali, è la testimonianza di una fisicità quotidiana che si perde
comunque nel senso dello sguardo. E non ha bisogno dello specchio. Il Santo che
non proviene dal mondo ecclesiale (San Paolo e Agostino sono l’incipit di un
tracciato nel quale la vita vissuta non si perde ma si trasfigura) è l’umanità
della preghiera che non si impone ma che diventa orizzonte sacro della
preghiera.
Il Cristiano e l’Islam,
nella cultura laica,sono nella santità del dialogo della vicinanza. Ciò che
uccide il mistero è, a volte, la teologia. Il sacro è il respiro dell’anima. È
il sentire e non l’ascoltare. Il sacro è l’emozione nel sentire. La teologia è
l’ascoltare non trasgredendo le regole. Il mistero non ha regole. Perché il
mistico vive nella ricerca della verità convivendo con il dubbio non della fede
in Dio ma in quel dubbio pascaliano (che è deserto e risveglio) ripreso da
Mauriac in tempo di crolli esistenziali della coscienza.
San Giuseppe Moscati è sì
un santo popolare, ma questo concetto di vivere il sentimento del “popolare” lo
pone non nella dimensione della ragione. Anzi lo allontana dalla ragione.
D’altronde il suo
colloquiare con Bartolo Longo, e Pompei è una testimonianza, resta una
testimonianza ontologica in quella metafisica fatta di azioni come è la storia
di Natuzza Evolo (della quale ho avuto modo già di parlare). A volte è come se
la fede e il mistero si svolgessero fuori dalle Chiese. Io che non vivo
la Chiesa come
teologia e come Regola cerco di leggere in Moscati il Santo del popolare che
lega il travaglio di Padre Pio e il conflitto subìto da Natuzza.
Il Santo è oltre
la Chiesa
istituzione pur restando nella Chiesa misericordia. La Napoli di San Giuseppe Moscati non è
la Napoli della
Chiesa istituzione, ma piuttosto la Napoli della santità popolare che non
si pone come uomo di “teologali” atti ma come mistero, fede e carità. La sua
azione è una costante misericordia. Se si può tentare un confronto, oggi, con
Natuzza è che Moscati fa della sua fede un esercizio nelle azioni mentre Natuzza
è la spiritualità che si fa profezia.
Entrambi vivono dentro una
antropologia dell’umanesimo popolare che ha come punto di riferimento “nel nome
di Cristo in Dio”, insegnamento paolino fondamentale. Ma non c’è dubbio che
Moscati vede nella chiesa il punto di riferimento alto. Natuzza, invece, pur nel
suo sentiero mistico, è allontanata dalla chiesa istituzione e subisce le
mortificazioni e le ferite nel sacrificio che ha subito Padre Pio con una
differenza di fondo. Natuzza è una laica. Padre Pio no. Moscati è l’equilibrio
nella santità raggiunta.
Diceva Bakhita:
<Guardate e vedete quanto misteriose sono le vie della Provvidenza di Dio e
quando grande è la
Sua misericordia”. Quella misericordia nelle azioni e nelle
parole di Moscati. Quella misericordia negli angeli di Natuzza. Quella
misericordia nella grazia di Padre Pio. In fondo in Moscati c’è lo stesso filo
che lega Bakhita alla sofferenza del suo popolo. Una sofferenza che si risolve
nella Provvidenza.
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blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis