La seconda metà del Novecento ha prodotto una
divaricazione nella storia dell’uso della lingua latina. Tramontata già da
secoli come strumento della comunicazione erudita, essa ha resistito nella scuola,
come materia di studio in alcuni programmi educativi di livello secondario
superiore, e, nella Chiesa cattolica, in generale, come mezzo di espressione
della liturgia .
C’è oggi,fortunatamente, un grande e rinnovato interesse per il
mondo antico e per le sue letterature, in particolare per quella latina e greca.
Soltanto una decina d’anni fa, il latino sembrava destinato a un triste,
inesorabile declino; ora basta dare un’ occhiata in giro per accorgersi del
contrario.
L’editoria non fa che riproporre classici in collane
economiche, negli Stati Uniti le facoltà umanistiche riaprono le classi di
latino, la Radio Televisione Finlandese trasmette settimanalmente un notiziario
radiofonico in lingua latina. Il latino sta vivendo una rinascita nelle scuole
tedesche, dove sempre più studenti chiedono di impararlo. In un articolo in
prima pagina dal titolo "Lingua latina vivit", il quotidiano
Sueddeutsche Zeitung riporta alcuni dati resi noti dall'Istituto nazionale di
statistica, secondo cui, nell'anno scolastico appena iniziato, un terzo degli
studenti dei licei studia il latino, mentre in tutte le scuole nel loro
complesso sono 800mila gli studenti che sudano sui banchi per poter leggere
Orazio e Tacito nella lingua originale. Non solo, con il 10% del totale degli
studenti che lo scelgono, il latino è ormai al terzo posto nella
graduatoria degli idiomi insegnati, dietro l'inglese ed il francese, ma davanti
allo spagnolo, studiato appena dal 4%. L’idioma dei nostri antenati è ben presente nei nuovi territori
di Internet, numerosi sono i siti redatti in latino con i loro
forum di
discussione (Face book) ed è possibile reperire
on line l’intero corpus,
o quasi, della letteratura latina. Insomma,volendo contattarli,i siti in Latino
sono sempre piu’ numerosi.
La famosa Wikipedia, la libera enciclopedia in rete, fra le
sue numerose edizioni ha anche quella in
lingua latina.Solo l’Italia, patria geografica del latino, è in
controtendenza , come al solito: l’interesse per questa lingua sembra
affievolirsi nella società e nella scuola del nostro paese, abituato da sempre
a prendere dall’estero, in particolare dal mondo anglosassone, le cose peggiori
e a tralasciare le migliori. Ma questo è un altro discorso, affrontare il
problema mi porterebbe troppo lontano.
Perché all’inizio
del III millennio si continua ancora nel mondo a leggere e a studiare i
classici?
Perché questo
indelebile interesse per le letterature antiche, e soprattutto per quella
latina?
Una delle
risposte è che sia il sintomo del desiderio, spesso della precisa volontà, di
riproporre una centralità della cultura classica, di cui il latino, madre di
alcuni dei principali idiomi del mondo, e che fu a lungo lingua internazionale
anche dopo la caduta del potere di Roma, ne costituisce il veicolo linguistico
primario.
È il bisogno di
capire quello che siamo stati, di
cercare qualcosa che ci appartiene, e che nel momento presente, così
vertiginoso e confuso, non riusciamo più a trovare.La modernità e
l’emancipazione hanno forse reso gli uomini più liberi, ma non necessariamente
più felici, come è stato detto. Nei disastri del XX secolo è naufragata del
tutto l’idea dell’inarrestabile progresso della specie umana, e al concetto di
modernità non appare più legata alcuna promessa di felicità.
Il mondo classico
perciò rappresenta quei simboli e quegli universali che la casualità del mondo
d’oggi ci sottrae, in un certo modo esso fa da argine alla crisi della ragione
e della moralità.
Ci si rivolge
alle letterature classiche per riappropriarsi di qualcosa che nel corso del
tempo ci è sfuggito, perché la poesia degli antichi era quella del possesso,
della centralità, della pienezza dell’esistenza, mentre la poesia dei moderni
sembra essere quella della nostalgia e dell’eventuale ritorno.Se nostalgia
c’era negli antichi, essa era di cose ben concrete: dolore per la lontananza
dalla patria, rimpianto per le persone e le cose amate e perdute. Le
letterature moderne sono segnate da un altro tipo di nostalgia, non di qualcosa
di specifico o particolare, ma di indeterminato, di astratto, forse della vita
in sé. Gli antichi si sentivano inseriti nella totalità della vita, nel cuore
delle cose, nella gioia o nel dolore ma sempre in piena luce; noi moderni, pur
sostenuti da una religione che ha tentato di sciogliere il mistero
dell’esistenza, ce ne sentiamo lontani, come sradicati dall’armonia con
l’essere.Un altro modo di
pensare, e di vedere la realtà, ci separa dall’uomo antico, e cioè il peso di
una intera civiltà. Sono le strutture di un’altra religione e di un’altra
filosofia a fare la differenza. Ma in che modo il paganesimo improntava lo
spirito dell’uomo?
L’uomo antico
credeva che ogni forza, ogni espressione della natura: il vento, il mare, il
sole, gli alberi, l’amore, fosse divina e sacra, anzi che fosse proprio il dio,
una delle manifestazioni della sua potenza (Iovis omnia plena, scrive
Virgilio). Egli pensava che
ogni cosa avesse un’anima, uno spirito e che quest’anima fosse divina. Era una
sorta di animismo, ma un animismo evoluto, non irrazionale, né tribale, quello
di una società profondamente legata allo spirito della natura, e che allo
stesso tempo credeva con forza nella ragione(De Rerum Natura,Lucrezio).Il paganesimo
rispettava alberi e ruscelli perché in loro vedeva il dio, ed era altresì
capace di grandi impeti e di improvvise violenze, perché ugualmente sottomesso
alle forze sotterranee e dell’oscuro. Marte, impersonante la guerra, conviveva
con Venere che era l’esatto contrario, cioè l’amore.Nel mito del congiungimento
delle due divinità, il paganesimo fece un grande sforzo intellettuale, provando
a conciliare gli opposti, considerando Eros e Aggressività manifestazioni della
stessa forza, la forza vitale. Cercò in tal modo di trovare il punto di
equilibrio del mondo, e forse riuscì ad avvicinarsi a uno dei misteri
dell’esistenza.L’uomo pagano,
col suo tranquillo scetticismo, non credeva molto alla vita eterna, o meglio,
non essendo sicuro che ci fosse (nessuna “rivelazione” era scesa a dargli la
risposta), non voleva che condizionasse l’esistenza. Preferiva, senza negarla
recisamente, non prenderla in esame, non parlarne, tenerla in ombra e
considerare centro d’ogni azione, il “qui” e l’ “adesso”.
La vita doveva
risultare conciliazione di spinte opposte, di forza e di grazia, di razionale e
di irrazionale, di impeto istintivo e di civile cortesia, non dovuta a dettami
superiori, ma derivante dal sentire comune, dalla responsabilità della persona,
e dalla convinzione che l’equilibrio sta nel mezzo, che ci troviamo al centro
di una rete infinita di forze, a noi superiori, alcune conosciute e altre
sconosciute. Il paganesimo fu
in definitiva sottomissione volontaria alle forze sacre del mondo, e insieme il
riconoscimento dell’esiguità dell’uomo e l’accettazione del suo inconoscibile
destino.Egli sa,
visceralmente, in modo più profondo del nostro, quanto sia forte e fragile la
vita, quanto dura ma anche preziosa e bella, in ogni aspetto, e misteriosamente
sacra, per la chiarezza del giorno e per le oscurità della notte. Egli la
possedeva tutta la sua vita, nel bene e nel male, fisicamente e nello spirito,
ne era al centro, ne era padrone, dentro il grande interrogativo dell’esistere,
che aveva accettato e che rispettava.
Non si attendeva
nulla dall’aldilà, il senso e la pienezza dell’esistenza erano tutti quaggiù,
legati a realtà ben concrete: la famiglia, la terra, l’onore.L’uomo pagano era
allo stesso tempo certo e incerto delle ombre; ogni volta che anche noi siamo
certi e incerti delle ombre, siamo vicini a lui, e per un momento siamo anche
noi pagani.In questa sottile
ambiguità risiede il fascino dello sguardo antico, e del suo malinconico
sorriso, il mistero di quella serenità senza escatologie e contraddizioni.In una società in cui le parole di maggior consumo sono
immediatezza, praticità, concretezza,utilitarismo, la caratteristica del Latino è costituita
dal “non servire” a nessunissima applicazione immediata, pratica, concreta, utilitaria… Il Latino fa
intravedere che al di là delle nozioni utili c’è il mondo delle idee e delle immagini. “Fa
intuire che al di là della tecnica e della
scienza applicata, c’è la sapienza che conta molto di più perché insegna l’armonia
del vivere e del
morire. È una disciplina dell’intelligenza, che direttamente non serve a nulla,
ma aiuta a capire
tutte le cose che servono e a dominarle e a non lasciarsi mai asservire ad
esse.
La disgrazia più inqualificabile (per gli studenti) è
essere stati inclusi negli studi classici senza averne tratto nessun vantaggio intellettuale, la
vera disgrazia è aver fatto gli studi classici ritenendoli e mal sopportandoli come il più
grave dei pesi… perché al tempo della scuola tutto si è odiato, tutto è stato condanna e
sbadiglio”.È la lingua latina, con la perfezione geometrica della sua struttura, con l’armonia delle sue assonanze, con la raffinatezza dei suoi accorgimenti retorici,a comunicare emozione e rigore logico, senso del bello e razionalità, accendendo l’interesse
dell’adolescente posto di fronte ai grandi interrogativi della vita.
E mentre mi
accorgo di amare questa Lingua sempre piu’, con un misto di nostalgia e
tenerezza da quel lontano anno in cui cominciai a conoscerla e studiarla,ovvero
la 1° Media di tanti anni fa, appaiono nella mia mente gli immortali versi di
Virgilio, in esametri, sulla perenne missione di Roma e a testimonianza della
sua imperitura grandezza:
"Tu
regere imperio populos, Romane, memento:
hae tibi erunt artes, pacisque imponere morem,
parcere subiectis et debellare superbos".
Traduco liberamente:
"Tu, o Romano,ricorda di guidare i popoli coll’autorita’,
tu avrai questi ruoli, imporre usanza di
pace,
risparmiare i vinti
e schiacciare chi si oppone con la sua alterigia".
Per la mia età anche io ho studiato il latino e mi piaceva,poi ho fatto altro nella vita.Spero che lo rimettono di nuovo alla media,i ragazzi non sanno quanto perdono,come dice l'articolo.
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