Lo hanno chiamato "fastblack" per la sua velocità e il colore della
pelle. Ora tutto è diverso e nessuna terapia risulta efficace. Il morbo di
Parkinson è l'ultimo avversario, il piu’ temibile, anche per Cassius Clay. "I cazzotti
ti fanno vibrare il cervello come un diapason" ha scritto il grande pugile
nella sua biografia. Ma le sue mani tremano, balbetta e cammina con passo
incerto. E, ancora, ha vuoti di memoria, si ripete in continuazione..Tutti
sintomi del morbo di Parkinson, quella malattia degenerativa del sistema
nervoso centrale che aggredisce le cellule che regolano gli impulsi motori.Una
leggenda vivente,un mito indistruttibile come sportivo e come uomo: la farfalla
che danza sul ring,la "carezza" del guantone che si abbatte sul viso e sul corpo.
Quando Cassius aveva dodici anni suo padre gli comprò una bicicletta, un regalo
davvero grosso per una famiglia di condizioni modeste come la sua.
La
bicicletta venne rubata quello stesso giorno, lui la cercò ovunque senza
risultati e un amico gli consigliò di rivolgersi a un poliziotto che
frequentava una palestra, la Columbia Gym, e che forse avrebbe potuto aiutarlo.
Clay andò alla palestra e per qualche minuto rimase incantato a guardare quei
ragazzi bianchi e neri che si allenavano con i loro guantoni di, cuoio, poi
trovò il poliziotto, Joe Martin, e gli parlò del furto della sua bicicletta.
Nonostante non fosse in servizio, Joe stese un rapporto e poi chiese al
ragazzo: "Sai tirare di boxe? Perché non provi ad allenarti? La palestra è
aperta tutte le sere a parte il sabato e la domenica". Così iniziò la
carriera di Cassius Clay, che avrebbe poi preso il nome di Muhammad Ali,
"the greatest" e come si addice alle leggende vince a soli 18 anni la
medaglia d'oro nei giochi Olimpici di Roma.Ali sviluppa una boxe sontuosa e
poco a poco nasce l'ammirazione per l'atleta e per l'uomo, si comincia a capire
che ha inventato un nuovo modo di boxare. Muhammad Ali non danza soltanto per sottrarsi
ai colpi degli avversari, ciascuno dei suoi spostamenti è peraltro misterioso o
imprevedibile , ma servono anche per costringerli a spostarsi, corrergli
appresso, stancandosi e senza riuscire a sottrarsi ai suoi jab, i classici
diretti sinistri che alla lunga fanno soffrire. Più che uno stilista, è forse
innanzi tutto uno sguardo. In certi filmati questo aspetto è sorprendente, si
ha veramente la sensazione che Muhammad Alì veda e inventi, nel senso latino
del termine (invenire = scoprire) il suo avversario. Il suo sguardo difficile
da descrivere, è fisso, eppure mobile. Il centro della difesa dell'avversario è
sempre localizzato in modo preciso e ciascuno dei suoi movimenti captato
dall'occhio scuro. La sua tecnica è sopraffina e inimitabile, potenza e
leggerezza sono i suoi cardini. Improvvisamente però gli Stati Uniti entrano in
guerra contro il Vietnam, Muhammad Alì si rifiuta di arruolarsi dichiarando
"Io non ho nulla contro i Vietcong". Inizia con questa presa di
posizione la sua "disobbedienza civile" che lo porterà a una
sospensione per squalifica di due anni dalla attività agonistica. Questo
comportamento fece urlare allo scandalo. E si sparò a zero sul pugile, sfogando
su di lui le paure e le frustrazioni di un'America depressa e razzista. La
giustizia americana lo dichiarò decaduto dal suo titolo, gli venne ritirato il
patentino (quindi non poteva più boxare), il passaporto (era perciò costretto a
risiedere negli Stati Uniti).
Ci fu un lungo intervallo che dopo però, alla sua
ripresa, diventerà favola, mito. Torna sul ring nel 1970, quattro anni dopo, il
pugile che ama definirsi <leggero come una farfalla e pungente come
un'ape> riconquista, in una mitica sfida notturna in Africa, nella città di
Kinshasa in Zaire, il titolo dei massimi con uno dei gesti atletici più belli e
intensi della storia del pugilato, nel match contro George Foreman. In
quell'incontro, nelle prime riprese, sembra che Muhammad Alì abbia la peggio
sull'avversario, non fa altro che incassare colpi terribili e tutti pensano che
sia solo questione di tempo prima che finisca al tappeto. Ma all'ottava ripresa
contro ogni pronostico stende a terra un Foreman oramai stremato. E' l'incontro
del secolo, il più bello e intenso in assoluto,quando le sue mani stesero George Foreman mentre la gente gli
gridava "Ali bomaye, Ali bomaye (uccidilo Ali)":quelle mani ora sono tremolanti, ma indicano ancora con
fermezza la strada dell'orgoglio umano!Ora è consacrato alla leggenda, è lui il
numero uno e lo sarà ancora per molto tempo, forse per sempre! La forza,
Muhammad Ali, l’ha sempre avuta nel sangue; non è mai stata soltanto un’energia
straordinaria in grado di abbattere ogni genere di barriera, umana o sociale,
incontrata lungo il percorso, ma soprattutto un’inclinazione alla sfida che in
ogni istante della sua vita emergeva con prepotenza, chiedendo di essere
ascoltata.Negli anni 90, però, Muhammad Alì inizia una battaglia ancora più
cruenta delle precedenti, questa volta con il morbo di Parkinson che lo limita
nei movimenti e nella parola. Alì diventa così una malinconica controfigura
dell'immenso fuoriclasse che ha impresso una svolta rivoluzionaria alla boxe
dei colossi, affievolendone la brutalità ed incrementandone la fantasia.
Nell'ultima apparizione, alle Olimpiadi di Atlanta, quando commuovendo il mondo
intero ha acceso la fiamma che inaugurava i giochi, pur menomato nei movimenti
ci è sembrato un gigante pronto a riprendere il combattimento. Ali si siede
vicino agli atleti delle varie nazioni, che lo guardano incantati, come può
esserlo chi si imbatte in un simbolo eterno. Ora che non punge più e i suoi
movimenti non sono da ballerino del ring ma tremolii sul quadrato spietato
della vita, Muhammad Ali è
perfino più forte di prima. Ha la potenza imbattibile dell'amore della gente,
più di quanta ne avesse ai tempi in cui si era legittimamente proclamato "il
più Grande". Il più Grande’ lo sarà per sempre!
Nessun commento:
Posta un commento
blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis