Sono in viaggio e quando mi rendo conto di esserlo, quando, ho il tempo (e anche la voglia) di raccontarlo, mi accorgo che il mio viaggio è fatto di tappe lunghe, di tempi lenti, di rapporti umani,di pause,di soliloqui,di studio,di applicazione,di traduzione,di silenzio,di riso,di introspezione. Mi fermo qui! Mentre cerco di risolvere il conflitti interiori che mi spingono a cercare sempre altrove quello che sembra mancare intorno a me, maturo la convinzione che essere viaggiatori è uno dei possibili modi di essere, condizione che alimenta se stessa con il continuo desiderio di andare,anche a pochi silometri da dove viviamo abitualmente.
La Calabria: una terra che mostra orgogliosa le spigolose zolle, arate e protese verso l’etere, quasi a voler abbandonare il suolo, non è altro che una costante del panorama.
A poca distanza si trova infatti l'Abisso del Bifurto, la diciottesima voragine piu' profonda d'Italia con i suoi 683 m. La sua costruzione – secondo la tradizione locale – cominciò nel 1440 allorché nel medesimo luogo, proprio in una di queste grotte, furono trovate alcune tavolette bizantine, tra le più antiche mai rinvenute, e l’immagine della Beata Vergine delle Armi (dal greco tòn armòn - "delle grotte"), da cui il Santuario prende il nome.
Alla Chiesa, a forma di croce latina, irregolare, si accede attraverso un portale in pietra locale scolpito, dopo aver oltrepassato il palazzo del Duca, ed altri ampi locali. Sul ciglio della roccia, il campanile con cuspide di mattonelle smaltate colorate. Un imponente cancello in ferro battuto del XV secolo ed un ricco portale in pietra locale, a colonne scanalate ed il frontone decorato, con la porta in legno intagliato, recante l'iscrizione: “Sylvester Schifinus de Morano me fecit, a. 1570”, introducono nella Chiesa scavata nella viva roccia.L'interno, con una navata centrale e la Cappella dei Pignatelli, è a pianta circolare irregolare, con pareti rivestite di marmi bianchi ad intarsi i policromi, opera d'artista fiorentino del 1700.
La volta naturale, ad arco schiacciato è affrescata con una Gloria della Vergine e un Giudizio Universale di Joseph De Rosa del 1715. L'immagine di S. Maria delle Armi, ritratta su pietra a forma ovoidale e tondeggiante nella parte posteriore, appartiene al tipo siriano della Immacolata. L'icona del peso di gr. 3400, e di cm. 29 di altezza e cm. 15 di larghezza è posta nella cappellina scavata nel masso di roccia. Dal 1750 è esposta in un reliquiario di argento in stile barocco, napoletano, dono del Duca di Monteleone, Michele Pignatelli, Marchese di Cerchiara.Ricco è l'Altare, con un fastigio barocco, di scuola napoletana del 600.
Interessanti la Testa di Cristo e Testa dell'Addolorata, due oli su tela a forti contrasti, di bottega napoletana del '600, ed una tavoletta del 500, con Figure di Santi, ad olio, su fondo dorato. Vi è infine un ricco tesoro, con argenterie sacre barocche e magnifici paramenti del 6-700, appartenuti ai Pignatelli.Il Santuario e’ legato al al sempre affascinante richiamo religioso della montagna perche’ questi monaci hanno coniugato il cielo azzurro con la terra madre, il pieno col vuoto, l’anima col corpo.
Il monte è uno dei punti in cui la divinità decide di scendere in terra, ove, come nella teofania del Sinai, il trascendente può manifestarsi nell’immanente; nel momento in cui ciò avviene la ierofania santifica una data frazione dello spazio profano ed assicura all’uomo il perdurare dell’alleanza divina: «il luogo si trasforma così in una fonte inesauribile di forza e di sacralità, che concede all’uomo, all’unica condizione di penetrarvi, la partecipazione a quella forza e la comunione con quella sacralità». Non si tratta in ogni modo di una predilezione umana per un preciso punto, bensì è Dio che elegge quest’ultimo gettando un ponte tra Sé e l’uomo. Nelle origini di eremo bizantino risiedono le ragioni della posizione isolata e arroccata, e nei tempi e nei modi dei successivi ammodernamenti quelle della sequenza planimetrica e stratigrafica dei fabbricati: un’articolazione che determina, assecondando l’impervia orografia del sito, un percorso dalla corte d’accesso al santuario connotato da continue “scoperte”, scandito da emozionanti prospettive aperte sulla Piana di Sibari e verso la montagna.
La vista di massicce vette (Le” Dolomiti lucane”) solidamente disposte attorno all’orizzonte, rammenta inoltre un modo di essere assoluto, diverso dal proprio, testimoniato dalla ruvidità e potenza della roccia stessa. La resistenza della pietra, «la sua inerzia, le sue proporzioni, come i suoi strani contorni, non sono umani: attestano una presenza che abbaglia, atterrisce e minaccia. Nella sua grandezza e nella sua durezza, nella sua forma e nel suo colore, l’uomo incontra una realtà ed una forza appartenenti a un mondo diverso da quel mondo profano di cui fa parte…” I fazzoletti passati sul proprio volto, dopo averli strisciati sul vetro della Teca argentea della Madonna e sulle pareti della marmorea cappella della grotta fatidica; i canti popolari, i rosari cantati dalla tradizione, i suoni delle cornamuse e degli organetti accompagnati da tamburelli e tante altre spontanee manifestazioni del ricco animo popolare, sono insieme le espressioni di una fede miracolosa, che vediamo, ma non sappiamo dire” (Don Vincenzo Barone).
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blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis