Così scriveva negli anni Sessanta Carlo Belli della Taranto
del siderurgico
di Pierfranco Bruni
Centro Siderurgico. Italsider.
Ilva. Di anni sono passati tanti. Il cielo ha sempre più nuvole e
nebbie. Ma le parole di Carlo Belli restano incise su pietre. E se le
parole sono pietre (Carlo Levi) quelle pietre ci raccontano una
storia che oggi può essere letta soltanto come un segno di una
interpretazione profetica. "Oggi Taranto è asfissiata. Una nube
di veleni permane sopra la città". Immaginate o pensate o
ripensate un po’. Quale politico – ambientalista, quale
magistrato cultore del paesaggio e dell’ambiente, quale fine
scienziato universitario delle scienze ambientali abbia potuto dire
queste cose? È una frase non detta oggi e neppure ieri e neppure
quando è sorta quella università che doveva farci capire e spiegare
l’ambiente e l’inquinamento.
È una frase che risale al 1968 ed
è stata scritta da Carlo Belli, nato a Rovereto nel 1903 e morto a
Roma nel 1991. Di decenni ne sono trascorsi. E Belli più volte
lottò con il puzzo, il fumo, la nebbia. Ma nessuno volle ascoltare
le sue profezie. Cose che invece ascoltarono i politici calabresi che
si chiamavano Mancini, Misasi, Antoniozzi. Fu fatta una politica di
altra natura.
Sono stato molto amico di Carlo
Belli. Con lui ho condiviso, pur nelle lontananze delle generazioni,
destini e racconti: da Italo Balbo a Folco Quilici, da Giuseppe
Selvaggi a Francesco Grisi.Carlo Belli aveva previsto tutto.
L’ideatore del Convegno internazionale di studi sulla Magna Grecia,
alla fine degli anni Cinquanta redattore capo del quotidiano “Il
Tempo”, stretto collaboratore di Giuseppe Selvaggi e del direttore
Renato Angiolillo e stimato protagonista di quella anti ideologia
“industriale– inquinamento” più volte posta da Araldo di
Crollalanza, aveva condotto una forte battaglia contro il nascente
Centro Siderurgico di Taranto. Una battaglia dura tanto che impedì
successivamente ai politici calabresi di portare avanti l’altro
polo siderurgico a Gioia Tauro.
Scrisse che in Calabria ci fu “un
ricorso al buon senso”. Mentre riferendosi a Taranto nel 1968,
riprendendo alcune considerazioni precedenti, annotava: “ Un
"massacro, annota Belli, che fu compiuto da ciechi, da pazzi,
per collocare l'attuale gigantesco 'apparato' industriale a un
chilometro e mezzo esatto, in linea d'area, dal centro della città!
I proprietari di quei terreni, con la carica che infonde la cupidigia
dell'oro, riuscirono a travolgere le più sensate obiezioni. Nulla
avrebbe perduto Taranto, aggiunge ancora Belli, collocando la zona
industriale una decina di chilometri più a nord - ovest. Non valsero
consigli, proteste, indignazioni. Perdemmo anche quella battaglia:
fummo ancora scornati dal vitello d'oro. Oggi Taranto è asfissiata.
Una nube di veleni permane sopra la città. E delle bellezze
straordinarie dei suoi paraggi, non rimangono che alcune fotografie.
Questo accadde per la volontà di sei o sette uomini".
Queste parole dure Belli le scrisse
sulla rivista "Magna Graecia" della metà e fine anni
Sessanta, in lettere private (tra le quali una indirizzata a Giuseppe
Selvaggi, questa è stata da me pubblicata in un mio saggio dal
titolo “Magna Grecia ed Europa di Carlo Belli” (Il Coscile,
1993), sul suo diario privato.
Nel 1969, sempre su "Magna
Graecia", diretta da Tanino De Santis, si leggono queste parole
di Belli: "Bisogna … tornare a concepire l'industria come un
mezzo e non come un fine. Essa non è che uno dei molti mezzi
necessari allo sviluppo delle attività umane. Essa non è l'unico
strumento di vita, tanto è vero che là dove ha stabilito il proprio
potere in modo imperioso, annullando il fondamentale equilibrio tra
altre attività umane, quali l'agricoltura e l'artigianato, è sempre
insorta una crisi gravissima". Profezia, uomo che leggeva con i
filtri degli sciamani o soltanto un intellettuale che riusciva a
capire la realtà e interpretava le politiche, le economie e
l’importanza dei territori nel Sud. Belli considerava
l’industrializzazione del Sud come un giacimento culturale del
Mediterraneo. Durissime furone le parole anche per Gioia Tauro.
Infatti nel 1973 troviamo Belli in prima linea contro l'nstallazione
dell'impianto siderurgico di Gioia Tauro in Calabria.
Scrive un articolo di fuoco su
"Magna Graecia" del luglio - agosto 1973. "Diabolica è
la insistenza con la quale si vuole attuare il cosiddetto V Centro
siderurgico di Gioia Tauro, letteralmente a tutti i costi". E
questa fu una battaglia vinta. Nonostante il "pacchetto Colombo"
il Siderurgico non si fece. Ma la cosa più drammatica è che non ci
fu l'industria sia a Sibari che a Gioia Tauro ma non ci fu neppure
quel processo di valorizzazione dei territori interessati per ciò
che riguarda il patrimonio culturale. A Taranto il Centro siderurgico
si fece ma a discapito di tutte quelle attività produttive e
culturali che avrebbero potuto creare realmente degli indotti.
Belli ricorda che "certi
maggiorenti di Taranto avevano dato al sottoscritto, otto anni prima"
delle "assicurazioni" in riferimento all'ubicazione del
Centro siderurgico. Assicurazioni che non sono state mantenute. E
parla di battaglia persa. Ma per Belli Taranto, Sibari, Gallipoli
costituivano un itinerario da salvaguardare perché aveva constatato
che: "Ovunque riluceva un tesoro da custodire, immenso prestigio
del Paese, cospicuo reddito per il turismo: lì, proprio in quel
sito, come nessun altro fosse disponibile, stanziamento di volgari
casoni, pompe di benzina, zone industriali".
Un discorso "antico"?
un problema che ha sfidato i territori, le politiche, le economie e
soprattutto la società moderna e quelle città che ancora non
riescono a fare in conti con le proprie eredità, con una storia, la
quale, ha ragione Belli, "non è soltanto storia di stili e
'maniere', ma è soprattutto, e in ogni età, storia dell'uomo".
Il caso di Taranto. Questa immensa
Magna Grecia che vive nel sonno del passato senza rendersi, forse,
conto che questo passato è lì in attesa.
Lasciando Taranto nel 1968 Belli
scrive una lettera a Giuseppe Selvaggi nella quale annota: Lascio
alle mie spalle il puzzo delle ciminiere. Non vedo futuro per questa
città. Ha perso le sue ragioni storiche e noi siamo stati impotenti.
Mi auguro che in Calabria non succeda la stessa cosa. Il suo articolo
di fondo trattando questi aspetti aveva come titolo: "Ricorso al
buonsenso Dopo la sagra della demagogia". E successivamente
disse che dopo l’esperienza di Taranto "Diabolica è la
insistenza con la quale si vuole attuare il cosiddetto V Centro
siderurgico di Gioia Tauro, letteralmente a tutti i costi". E fu
anche il titolo di un altro suo articolo apparso su "Magna
Graecia" del luglio - agosto 1973.
Commentando queste frasi in un
salone della sua Villa – Museo del Casaletto a Roma, mentre
dialogavo per preparare un dei miei quattro libri sulla sua opera
mi disse: Mio caro, Taranto ha un paesaggio che ci ha regalato la
civiltà di un Mediterraneo moderno nella tradizione dell’antico.
Noi non abbiamo avuto la forza per lottare. Ma verrà un giorno che
tutti rimpiangeranno. Ma il rimpianto non appartiene ai morti perché
io non ci sarò più. Belli, roveretano, fondò il Convegno di Studi
della Magna Grecia a Taranto proprio nell’anno della nascita del
Centro Siderurgico. Carlo Belli è stato un maestro. Per questo ho
scritto tanto su di lui. Libri, articoli e pubblicati, grazie alla
cara Paola, la dolce compagna di vita di Carlo, tanti inediti. È
stato un profeta che ha saputo leggere la tristezza del deserto di
Taranto.
Ora, dopo un magistrato coraggioso, tutti a parlare di veleni e malattie,anche quelli che hanno sempre sorretto il sistema.Si sapeva anche prima di questo schifo delle malattie, ma nessuno parlava perchè non conveniva farlo.
RispondiEliminaOra pseudo intellettuali da strapazzo, salite sul carro dei vincitori?
Volete prendere i consensi della gente che protesta contro le malattie? La vera cultura tira sempre ditta in maniera coerente e non a colpi di vento e di comodi.
Perciò pseudo intellettuali voi rappresentate voi stessi,figuriamoci quanto valete!
Signora Lilli sei invitata a pubblicare e non a cestinare.
il giustiziere del giorno