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foto da un servizio de lL'Espresso |
di Pierfranco
Bruni
Il
dramma della fede di fronte a Gesù. Un
tema che più volte Carlo Maria Martini ha proposto come lettura della
nostra
esistenza. Avevo avuto modo di conoscere il Cardinale Carlo Maria
Martini. Aveva
una marcata sensibilità per il concetto di “straniero”. In un convegno
su
cultura e stranieri ci fu un suo limpido intervento che mi accompagnò e
mi
accompagna nei miei studi sulle etnie. Era il 2001, a Cesano
Maderno, nel
convegno: "Integrazione
e integralismi. La via del dialogo è possibile?".
La
letteratura, la parola, la scrittura costituivano elementi di
comprensione in
una dimensione etno – antropologica.
Nella
sua singolare visione del rapporto tra fede, mistero, vita, popoli c’era
sempre
un disegno che superava il senso ontologico della misericordia.
Carlo
Maria Martini era nato il 15 febbraio del 1927. Nel suo dialogare non ti
lasciava con delle risposte ma si poneva con una premessa di fondo che
rispondeva ad una riflessione metafisica: Cosa vuoi farne della fede?
Quando mi
disse di aver letto un mio antico saggio sulla “Simbologia del sacro
nella
letteratura” mi lasciò con una domanda che sottolineava il tema del rapporto tra la parola e la teologia
del linguaggio tra le civiltà.
Mi
disse: “La letteratura vive di sacro perché l’umanità della parola è nel
Cristo
rivelante. Per questo il suo saggio scava scava scava non solo nelle
anime ma
anche nella memoria della salvezza”.
Ricordo
bene. Tre volte quello “scavare”. Poi ebbi modo di dialogare brevemente
in
occasione del mio “Canto di Requiem”, il mio lungo poemetto dedicato a
Giovanni
Paolo II e mi invitò a definire quel mio scrivere come una unica
preghiera ma mi
disse anche: “A lei manca non la volontà di pregare, ma di pensare alle
sue
poesie come se fossero una preghiera costante perché la sua letteratura è
una
preghiera anche se lei non vuole ammetterlo”. Frasi che mi diedero un
tremore.
Poi sono rimaste cesellate nella mia anima. Continuo nel tentativo di
legare la
poesia alla preghiera.
Il
Cardinale Martini ha sempre usato un linguaggio elegante. I suoi libri
sono un
pensare nel pensiero. Le sue riflessioni, sino a quella di queste ore,
che
certamente farà discutere, riguardante l’accanimento terapeutico o meno.
Su
questo non mi trova concorde. Non mi ha trovato vicino tempo fa e tanto
meno
oggi. Penso a Martini non solo come uomo di chiesa. Ma come uomo di
fede, come
uomo in Cristo e “scavando”, proprio come egli mi suggeriva, nei suoi
testi e
nella sua presenza nella cristianità non posso fare a meno di legare le
sue
parole, su questo tema, che non condivido, al senso del Mistero, alla
certezza
del Miracolo, allo sguardo della Grazia.
Siamo in
Cristo non con il corpo, soltanto, ma vi restiamo con l’anima. E per un
cristiano l’anima non ha esilio e tanto meno debolezza ma speranza.
In
quell’incontro del 2001 il Cardinale Martini parlò del rapporto tra lo
straniero
e la Bibbia.
Annotai un concetto: “Davvero
la Bibbia
ci
pone davanti a un grande messaggio che sentiamo tanto lontano dai nostri
comportamenti, dalle nostre capacità. Ci fa comprendere che la morte di
Gesù in
croce abbatte ogni frontiera e ci fa membri di un'umanità che trova la
sua unità
in Cristo. E lo Spirito del Risorto suscita in ogni credente il carisma
della
accoglienza. Dobbiamo sentire che, sospinti da questa forza, noi
possiamo
aprirci alla scoperta di Cristo nello straniero che bussa alla nostra
porta.
Abbiamo tanti motivi, umani e civili, per accogliere lo straniero,
motivi a cui
forse pensiamo poco e che sono certamente molto esigenti e radicali”.
Sono passati anni.
Ma questo concetto resta una sottolineatura che non dimentico. Io non
raccolgo
il pensiero dell’eutanasia ma il monito della preghiera certamente.
Pregare in
Cristo per uscire dall’esilio dell’anima.
Uno dei
suoi ultimi libri che rileggo spesso è “Le ali
della libertà. L'uomo in ricerca e la scelta della fede. Meditazioni
sulla
Lettera ai Romani”, del
2009. Perché? Perché il legame tra perdono e misericordia resta centrale
e la
figura del Paolo viaggiatore ricercante in misterioso cammino è il mio
Paolo.
Il Paolo
del Mistero. Il Paolo che non concede voce al concetto dell’eutanasia.
Ma perché
proprio sul filo dell’orizzonte con l’infinito Carlo Maria Martini ci ha
toccato
con la riflessione sulla morte senza
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