di Pierfranco Bruni
Mi è stato chiesto di parlare, in un convegno, della devozione. Cosa è la devozione? Ho risposto, a chi mi ha proposto ciò, che non riesco a definire il concetto di devozione, semplicemente, perché non è una parola, non è dentro il vocabolario dei significati, non è un linguaggio al quale affidare la spiegazione.
La devozione è un sentiero dell’anima. O ci sei dentro o non ha senso parlarne. Mi ha fatto, comunque, molto piacere che mi si chiedesse, come uomo e come scrittore, di sviluppare una conversazione su una tale tematica. Complicata. Complessa. Difficile, a volte, da afferrare.
Avrei potuto accettare l’invito iniziando il mio conversare con questo discorrere: “La non devozione è…”. Oppure: “La devozione è affidarsi, rinunciare, accogliere…”. Ma tante sono le vie e non scavo tra i linguaggi, anzi non avrei scavato nei linguaggi della parola parlata. Avrei scavato nella mia anima, nei miei comportamenti, nei miei atteggiamenti per raccontare cosa è la devozione per uno scrittore che vive la vita da uomo, sapendo di essere uno scrittore.
Quale legame può esserci, nei giorni della cristianità che è natività, tra l’indefinibile dell’inquietudine e il coraggio della preghiera che va oltre l’Ave Maria e il Padre nostro del Rosario recitato nei giorni delle liturgie e nei giorni del racconto tra la vita e la morte degli uomini?
È certo che la devozione non conosce soltanto la strada che porta all’agire perché prima dell’azione c’è il cuore. Si è devoti e si resta devoti. Perché la devozione è per sempre. Tra i tanti interrogativi che mi sono stati posti, pur non accettando di conversare sulla devozione come valore o come “esercizio” dell’essere, c’è un percorso al quale resto legato da epoche: Si può essere devoti soltanto per amore?
Quando l’amore ha le sue pieghe e i suoi vuoti può diventare disamore. Il disamore ci allontana dall’essere devoti e dal vivere la devozione come comportamento del e nel nostro esistere. Ha un valore sempre religioso. Cristiano, buddista (ammesso che le vie del Tibet possano essere considerate religioni soltanto), musulmano.
Il Musulmano è devoto come lo è il Cristiano. Ma non può esserci devozione senza amore. Non si può essere devoti soltanto per legami di sangue. Lo si è per legami di cuore. Non so quante volte ho turbato la mia eleganza nel non raccogliermi nella devozione verso l’altro. Ci sono stati attraversamenti che mi hanno portato oltre, ma la devozione è uno scavo che supera lo stesso valore o lo stesso concetto di fedeltà.
Io posso anche essere devoto e non fedele, ma posso essere fedele e non devoto? Quando si fa della propria vita, come mi ha insegnato D’Annunzio, un’opera d’arte, per l’uomo e per lo scrittore cominciano non le inquietudini, quelle ci sono da sempre, non i turbamenti, quelli sono passaggi da Werter a Foscolo, ma i veri camminamenti nel deserto e nella grazia.
Io resto sempre convinto che la Grazia non è un interruttore che accendi e spegni. Ti giunge. Giunge dopo il buio, dopo le ombre, dopo la notte. Ma per toccare la Grazia bisogna attraversarlo quell’uomo finito raccolto nella solitudine di Papini. A volte, per vivere la devozione bisogna essere anche un po’ artisti. Come nei grandi amori. Per essere amanti, mi diceva Giuseppe Berto, bisogna anche essere degli artisti nella vita altrimenti l’amore non è resurrezione, ma la fine di tutto, disperazione, angoscia.
Cosa è dunque la devozione? Forse Barabba saprebbe rispondere. Non credo Pilato. Giuda sicuramente ha conosciuto la devozione sino a morirne. Come ha conosciuto la devozione Maria di Magdala (uno dei miei libri che resterà completamente non scritto) dopo il disegno profano.
È proprio vero: la devozione è un sentiero dell’anima. Pur non convivendo o pur non legandoli, devozione e fedeltà, io non posso raccogliere la sfida sulla divisione l’uno dall’altra. Che devozione ci sarebbe se dovesse venir meno la fedeltà? La sfida è proprio qui. E non è una sfida solo cristiana anche musulmana.
I monaci tibetani degli antichi Orienti hanno vinto questa sfida e non viene più proposta come aspetto filosofico. Devozione è fedeltà perché entrambi sono amore e contemplazione. Il problema non si pone. Con Giuda il problema si è posto e continua a restare irrisolto. Giuda resta la vera incognita del mondo cristiano perché è la necessaria ambiguità di una teologia che cerca di spiegare superando il mistero.
È ormai sera. Cerco di raggiungere la quiete con la notte, ma se non avessi scritto libri che raccontano l’amore, dopo averlo vissuto vivendolo, cosa sarebbe stata la mia vita? Se non avessi giocato con le metafore del mio viaggio, nel vento della spiritualità, cosa avrei raccolto nel granaio della mia sera? E cosa potrei lasciare ai miei figli?
La vita è sempre un testimoniarsi. Se non si offre la devozione cosa si testimonia? Oltre l’amore cosa lasceremo? Ho sempre creduto ai camminatori e ai seminatori di carità e di amore, e non di verità, e continuo a salutare con “Namasté” le persone alle quali voglio bene.
Namsté. Perché bisogna inchinarsi a chi si vuole bene. Bisogna inchinarsi a chi ti ha voluto bene. Bisogna inchinarsi davanti all’amore perché l’amore, e ha ragione Paolo, non finisce mai quando è amore.
Rileggendo e cancellando alcuni messaggi che mi sono stati inviati, sul mio telefonino, nel corso degli ultimi mesi ne ho conservato uno particolare, anzi straordinariamente speciale, che dice: “Ieri sera sulla casa dove una volta c’era una grande palma ho visto tante stelle… C’era Orione a vegliare quel silenzio… Tu sai ki è Orione! Il guerriero del cielo con la sua cintura ben tesa, le spalle forti e un piede e un ginokkio puntati x terra… Non è stato un caso. Il caso non esiste… e stasera davanti a quel cancello ke sa di storia ho rivisto gli okki di un guerriero… stanco ma pronto ad affrontare una nuova sfida xkè non è più tempo di stankezze ma è sempre tempo di coraggio…Con tutto l’amore di sempre e di domani”.
Cosa è il mistero di questo messaggio? Devozione e fedeltà, cuore e sangue, che raccolgono e raccontano l’amore perché l’amore vince, sempre.
Non rivelo il mittente di questo messaggio. Ma chi sa ha capito e chi ha capito sa. E chi ha capito e sa conosce la Via della Luce e dei camminatori della devozione.
Un antico guerriero sciamano un giorno mi disse: “Non pesare mai le parole come se fossero pietre. Non accogliere mai gli sguardi quando questi hanno già ingannato. Parla con il vento quando è stato attraversato dal volo di un’aquila perché il vento sa ciò che l’aquila ha detto e ciò che l’aquila ha detto ha il silenzio della devozione”.
Se mi dovessero invitare ad una nuova conversazione sulla devozione porterei come inizio di discorso questi incisi. Il resto va anche oltre la malinconia e la noia del mio caro amico Franco Califano perché se tutto il resto è noia bisogna sempre ancorarsi, soprattutto in questo nostro tempo, allo sguardo della salvezza.
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