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lunedì 30 dicembre 2013

Lettera a mio padre ad uno anno dal suo volo tra le aquile della pazienza.

di Pierfranco Bruni


Quella notte a vegliarti io e mia madre nel vento che non ha tramonti…

È rimasto il freddo e il giardino ingiallito. Non ci sono più limoni e l’aranceto è diventato spinoso. Un anno è andato via con la tua andata via. Le aquile in volo non hanno smesso di oltrepassare le nuvole. E tu sei un’aquila in volo tra i mari e i deserti…
Le rondini hanno sostato in un tempo misurato tra gli intagli della palma d’epoche.  Le tartarughe non hanno ancora compreso che non ci sei e restano ad aspettarti e anche quest’anno non sono andate in letargo.

Tu mi hai sempre insegnato che la religiosità della pazienza apre le finestre sullo spazio dell’infinito. Ti ho ascoltato e ti ascolto perché di te porto il silenzio e l’accettazione.
Non ho pregato con la conta dei grani del rosario. Ma mi sono rivolto a te non risparmiando mai il mio Namastè. L’ho inciso, io con la mia firma, sul marmo della tua tomba oltre che nel tuo cuore.
Ho abitato il deserto e cammino tra le vie del deserto perché sono convinto che soltanto il silenzio, mi hai insegnato anche questo, e la solitudine potranno condurmi lungo il vento dell’armonia. Se non hai armonia dentro di te  non puoi cercarla negli altri. Se il sorriso non è nel tuo sguardo nessuno potrà offrirtelo.
È trascorso un anno. I tuoi oggetti sono sempre lì. Quella casa sembra un mausoleo, o un insieme di reperti e di cimeli, sul quale è scesa la rassegnazione che è consapevolezza. Non sono state aperte porte dal giorno in cui, per l’ultima volta, non sei stato tu ad aprirle.
Qui sta il gioco che mi ha incastrato nella nostalgia dei miei quotidiani gesti in cui è mancata la forza necessaria per affrontare una nuova realtà. Eppure sono passati mesi e su quella casa, su mia madre, sulla devozione che si doveva a mia madre sono precipitate le assenze.
L’assenza tua non è soltanto una distanza o una misura di tempo. È il vuoto. Quando viene meno il rispetto per una assenza viene meno la devozione per chi resta. La devozione è cristiano rispetto. Chi non rispetta ha negli occhi la miseria.
Mia madre è lì, nella sua solitudine, con il mio conforto e il mio piccolo fare, ma la tua partenza ha alzato barriere. Non dimenticherò mai quella notte, l’ultima notte che abitasti, da morto, la nostra casa, in cui ti vegliammo soltanto io e mia madre, ovvero io e la tua compagna di una vita. Mia madre tu ed io nella stanza dello studio per l’ultima tua presenza con noi.
Io, tu e mia madre. Tu sai che non ho mai avuto paure e che ho affrontato la vita a viso aperto e mai colpendo alle spalle. Fa parte del mio sangue.  Del nostro sangue. Anche questo mi hai insegnato nella tua nobiltà.
Mi ritornano gli echi e il silenzio, i miei passi e il freddo gelido della notte in quella casa dove tu eri il comandante e il combattente, ma sai anche che la verità è verità anche se si tolgono le maschere alla realtà.
Io non ho mai recitato a soggetto perché non conosco l’odio, l’invidia, la gelosia e mi posso permettere di attraversare i silenzi dell’incomunicabilità e rendere leggibile la verità perché credo nell’impareggiabilità. Gli sciamani devono vivere l’impareggiabile del tempo e della vita.
Cosa è la verità… Ritorna l’incontro tra Gesù e Pilato…, sempre presente in me, o ritornano le parole del mio Cristo: In verità… in verità vi dico…E la verità della nostra storia ha avuto la sua ragione d’essere, e l’epilogo,  quando siamo ritornati, dopo la preghiera nella Chiesa dell’accoglienza, in quella che è stata la tua e nostra casa ricordandoti ad un anno di distanza della tua scomparsa.
La pietà ha sempre un senso se la pietà è caritatevole. Tu, caro papà, dal piano più alto del campanile, hai veduto.
Micol, tua nipote e mia figlia, in Chiesa, dopo le splendide parole di don Alfredo, che ha celebrato una Messa all’insegna della Luce e della mai mancata Speranza, ha voluto, a mia insaputa, regalarti alcune parole non dimenticando le tue radici arbereshe e ha letto, alla fine, in Chiesa, nella Chiesa che ascolta e tollera, il mio canto dello sciamano che avevo scritto per te e che ho pubblicato in “Come un volo d’aquila”.
Ha letto i tuoi insegnamenti di una vita…
Questo mio libro resta un fuoco d’amore perché è amore e carità nella pazienza della devozione, e  accende i cuori d’amore come nei guerrieri della luce che sanno raccogliersi intorno ai falò e cantare la preghiera dell’Altissimo mio Signore…
Ogni pagina di questo mio libro infiamma i cuori caritatevoli: per amore e con amore. Soltanto per amore verso di te, papà. Soltanto con amore ho scritto, per te papà.
Chi giudica non ha mai avuto il coraggio di specchiarsi in uno specchio fuori dalle proprie pareti. Resta un pavido.
Il moralismo non mi appartiene. L’etica sì. La morale sì. L’estetica anche. Ma io non mi lascio mai trascinare nelle competizioni dell’odio perché sono e resto un guerriero di luce, ma la verità, ho capito nel corso di quest’anno che le aquile portano sempre le verità e sono scomode per tanti illusionisti, infastidisce e rende completamente nudi davanti allo specchio della vita.
Sì, quella notte a vegliare il tuo silenzio eravamo soltanto io e mia madre e in quella stanza non si udiva rumore alcuno se non una leggera pioggia che toccava le pagine degli alberi del tuo giardino. Ma si è soli. Si è sempre soli anche quando ti dicono di non disperare. Illusioni.
Diceva il mio Cesare Pavese che chi non si salva da sé non lo salva nessuno. E poi? Io ti porto il sorriso, papà.
Il mio sorriso che tu amavi e nel mio sorriso c’è il rispetto di chi non ha mai smesso di raccontare le verità, perché nella mia eresia c’è il Cristo della verità e non la maschera dell’assurdo che Ionesco ci ha insegnato a capire e a non accettare. E questa devozione la dedico a mia madre!
Nel mio sorriso non c’è mai inganno. Non c’è mai stato. È passato un anno sul tempo dell’orologio, ma il tempo del cuore non ha misure e ogni volta che ritorno ti porto un ramo del tuo giardino, e ti racconto quanti voli l’aquila ha attraversato perdonando sempre e dimenticando mai.
Ora non sono triste. So che ci sei. Da qualche parte ci sei e mi osservi, mi guidi, mi ascolti, mi porti oltre le noie del quotidiano. Da qualche parte ci sei, come ha detto Micol dedicandoti un suo pensiero con la tua dignità, con la tua forza, con la tua persuasione e con la tua saggezza.
Tu uomo paziente e sapiente non smetti di raccogliere le voci, ma fai in modo che siano vento in una fugacità di attimi. E così io, caro papà, ho cercato di fare in questo anno frammentato di spine e di asfodeli. Ma la vita è semplicemente legata alla pazienza.
Resto su uno scoglio ad osservare il mare nelle sue stagioni. Ci sono state mareggiate, onde che hanno tagliato pezzi di roccia, vento d’altura che ha l’urlo delle navi che provengono da lontano. La pazienza vince nell’ascolto dell’amore.
Ma cosa è la verità? La verità è bellezza. Per un cristiano la verità deve sempre essere bellezza, perché come in Paolo, Seneca, Agostino, Francesco la verità è salvezza. Senza la verità non si è cristiani.
Pilato continua a lavarsi le mani, ma la sua inquietudine è angosciante nel momento in cui Claudia gli pone davanti lo specchio del mistero. Cosa è la verità… Dalle mani di Pilato scorre l’indifferenza, il disamore, la condanna…
Tu non ci sei più. Io sono rimasto sempre al mio posto. Ho cercato, come canta in una sua canzone Franco Califano riportata in un capitolo del mio libro a lui dedicato, il tuo poi.
Sono sereno perché non ho inquietudini. Sono in armonia con la mia coscienza. Bisogna sempre essere in armonia con la propria coscienza, mi ha insegnato il mio sciamano, perché soltanto così si potrà dialogare con l’altro ponendosi in ascolto, comunque e sempre, nella verità.
C’è un’antica preghiera che cantavano gli Apache prima del sorgere del sole e prima che la luna toccasse l’orizzonte.
“Anche quando una freccia colpirà le tue spalle allunga un braccio e toglila. Anche quando le parole saranno un urlo di odio lascia parlare il vento. Anche quando la notte coprirà gli assalitori con il buio, tu rivolgiti al tuo dio: ci sarà sempre una stella che specchierà sul fiume e i riflessi smaschereranno i loro occhi. Resta nella tua tenda anche se cercheranno di squarciarla. La tua pazienza, il tuo silenzio e il coraggio sconfiggeranno ogni gesto del loro male. Aspetta che il sole tramontato ritorni. Aspetta che la luna non vada oltre l’orizzonte. Nella verità il dio del Sole sarà sempre con te”.
Mi ripeto con la tua voce questo canto, questa preghiera, questo incidere di solchi d’anima.
Passeranno altri anni, altre stagioni, altre lune e prego sempre il dio del Sole affinché la pazienza resti a farmi compagnia.
Il vento non ha tramonti e ora sibila tra le pagine della palma nel giardino dei ricordi…


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