Protagonista indiscusso della
storia e della letteratura del XIX e del XX secolo, il Vate ha saputo fino a
oggi mantenere vivo l’interesse su di sé, grazie alla sterminata e
raffinatissima produzione letteraria e alla testimonianza che ha lasciato delle
sue azioni eroiche e delle sue opere immortali attraverso la donazione agli
Italiani del Monumento della sua vita inimitabile: la
cittadella del Vittoriale, sul lago di Garda. Narrare! Raccontarsi, rivoltando le parole fino allo sputo!
Non importa come, dove, con chi, fosse anche uno specchio. La vita come arte,
sogno, avventura, rappresentazione, con quell'ossessione estetica di superare
l'umano, come una sfida alla miseria che lo circonda, alle sue paure, al suo
cranio calvo, a quell'odore di Abruzzo che gli resta addosso e lui sublima,
canta, vomitando in faccia al mondo le proprie origini e la sua grandezza.
Come
il demiurgo che getta i dadi e si diverte a sfidare il caso, dando un senso al
destino. Gabriele D'Annunzio, poeta, vate, comandante, seduttore, aviatore
simil futurista, decadente e vitalista, conquistatore di Fiume, prima o poi
doveva capitare da queste parti, in questo ventunesimo secolo dove ognuno
brucia il suo quarto d'ora di celebrità. No, non in televisione, come un
qualsiasi tronista. D'annunzio non vestirebbe mai i panni di un Casanova
dozzinale, da supermercato, lui che pure battezzò la Rinascente. Certo, anche
lui faceva sfilare le sue pretendenti come fanno quei tipi tatuati. La
differenza, però, è nel gesto e nell'orizzonte. Non si sarebbe mai accontentato
di quindici minuti di gloria, il suo orologio batteva solo l'eternità. È la
differenza incommensurabile tra un Vate e il tronista. D'Annunzio che sogna in
grande e vola su Vienna, bombardandola di volantini e sfidando i cavalieri del
cielo. D'Annunzio che grida contro la pace di Parigi e va a prendersi l'Italia
abbandonata, sull'altra sponda del Mediterraneo. D'Annunzio e le sue donne, che
anche disegnate a matita conservano il fascino e i peccati. Il lamento di
Maria, moglie troppo giovane, ricca e nobile e sciagurata, che vede sfiorire il
suo amore di tradimento in tradimento, perché come Dylan Dog il Vate non
conosce il principio della fedeltà. «Io - dice lui - sono la puttana d'Italia -
che si odia per amore». C'è Luisa la giovane pianista, che lo tenta, si
concede, si piega e lo ammalia in ginocchio e lo inganna legandolo con le
visioni e il vizio della polvere bianca. Luisa che deve contendersi la casa e
il letto con la timida cameriera francese Amélie, che si dona bocca a bocca.
D'Annunzio che a ogni donna cambia il nome, come fa un padrone, come fa un
padre. D'Annunzio che non riesce a dimenticare l'unica che come lui ha fatto
della vita un palcoscenico, la meravigliosa Duse, la divina Duse, la disperata
Eleonora Duse. È un gesto degno del Vate. È la sua firma. La firma di
quest'uomo «basso, calvo, occhi perennemente cerchiati dalla stanchezza, naso
lungo, la voce melata, un personaggio della commedia dell'arte, con l'arietta
furba e crudele di un Arlecchino». D'Annunzio.
…Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
( e il verde vigor rude
ci allaccia i melleoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione...
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blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis