Un breve saggio su “Le etnie possibili, il Mediterraneo e il Risorgimento in Giovanni Pascoli” di Pierfranco Bruni è in distribuzione, per conto dell'IRAL, proprio in questi giorni nell’ambito dei suoi studi su “Etnie e Risorgimento” del Progetto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Un discorso che riguardava l’impresa di Libia e l’adesione dell’Italia ad un progetto Mediterraneo che doveva segnare una tappa fondamentale nei rapporti tra l’Europa e il Nord Africa. L’adesione di Pascoli è totale e viene sottoscritta con entusiasmo passando in rassegna le tappe focali che hanno riguardato il Risorgimento.
Il tema su <Giovanni Pascoli, il Risorgimento e ‘La Grande Proletaria si è mossa’> sarà motivo di discussione, nell’ambito del Progetto curato da Pierfranco Bruni per il MiBAC, nei prossimi giorni in tre Convegni che si svolgeranno a Roma (2 dicembre) a Cosenza (5 dicembre) e a Taranto (12 dicembre).
La Libia, secondo Pascoli, a parere di Pierfranco Bruni, doveva essere considerata parte significativa di un legame tra l’Italia e il Mediterraneo ed entrava nei processi storici in cui il Risorgimento doveva essere letto come modello non solo nazionale e identitario ma anche come modello di confronto e di accordi con la storia che ha sempre caratterizzato il rapporto tra l’Italia e le geografie inclusive del Regno di Napoli e dell’Africa settentrionale.
Un discorso molto coraggioso che poneva all’attenzione un Risorgimento con la sua forza identitaria ma anche in grado di guardare con dignità al futuro di altri popoli. Pascoli scriverà: “I miracoli del nostro Risorgimento non erano più ricordati, o, appunto, ricordati come miracoli di fortuna e d'astuzia. Non erano più i vincitori di San Martino e di Calatafimi, gl'italiani: erano i vinti di Abba-Garima. Non avevano essi mai impugnato il fucile, puntata la lancia, rotata la sciabola: non sapevano maneggiare che il coltello”.
“Il Pascoli Risorgimentale, ha dichiarato Pierfranco Bruni, è il Pascoli che trova nella politica una chiave di lettura straordinaria nel contesto dei primi anni del Secolo Nuovo. È un Pascoli che sembra lasciarsi alle spalle sia dal punto di vista letterario e soprattutto linguistico quei radicamenti romantici e si inserisce in un contesto in cui la stessa letteratura diventa antropologia delle civiltà e guardare con attenzione alla Libia significava sottolineare con forza non solo una questione che era quella dell’emigrazione ma anche quella dell’incontro tra civiltà. E da questo punto di vista, ha commentato Pierfranco Bruni, Pascoli comprende l’importanza dei processi etnici che interesseranno tutto il Novecento. Tanto che D’Annunzio si lega a questo discorso e a questa posizione per sviluppare una ulteriore visione che toccherà il conflitto di Fiume. Diritto, eroismo e dovere sono le chiavi di lettura che Pascoli pronuncia con enfasi e con molta convinzione”.
Pascoli riscopre tra l’altro anche un Risorgimento fortemente spirituale con una chiamata in causa di personaggi e santi che creano un intreccio notevole.
“C’è un Pascoli del plurilinguismo, ha cesellato Pierfranco Bruni, delle condivisioni tra le culture del Mediterraneo ma c’è anche un Pascoli che legge il Risorgimento con una interpretazione innovativa”.
Infatti nel suo discorso pronuncerà: “Ricorderemo che voi, o stranieri, avete voluto prestare i fermenti di barbarie che forse ancora brulicano nel vostro cuore, al popolo che con San Francesco rese più umano, se è lecito dirlo, persino Gesù Nazareno; che coi suoi soavi artisti fece dell'inaccessibile cielo una buona tiepida raccolta casa terrena piena d'amore; che col Beccaria abolì la tortura; che, quasi solo nel mondo, non ha più la pena di morte; che in Garibaldi ebbe un portentoso guerriero che odiava la guerra e preferiva la vanga alla spada e piangeva sul nemico vinto e sceso dal trono e perdonava al suo tortòre e non faceva distruggere un campo di grano, dove i nemici potevano nascondersi, perché il grano era quasi maturo e vicino a divenir pane.
O santi martiri nostri, o Pellico e Oroboni, o Tazzoli e Tito Speri, che vi faceste del duro carcere sotterraneo un tempio, e del patibolo un altare!”.
La Patria come punto di riferimento. Una Patria che si è fatta con il sangue e con i valori.
“Oggi il discorso di Pascoli del 1911, un anno prima dalla morte del poeta di cui celebreremo il centenario nei prossimi mesi, ha affermato Pierfranco Bruni, si presenta non solo attuale ma ci offre quelle entrature in una dialettica completamente in discussione sia sui temi risorgimentali sia sulle questioni legati al Mediterraneo sia all’intreccio tra storia e antropologia”.
Pascoli chiude il suo discorso con questo monito: “O capitano Pietro Verri che nel momento più periglioso guidasti al contrattacco, fuori delle Trincee, i mozzi di sedici e diciassette anni, i ragazzi del nostro mare, o sublime capitan Verri, tu va direttamente a Caprera, va a narrar la cosa a Giuseppe Garibaldi. Ripeterà esso a te il tuo appello: Garibaldini del mare! E ti ricorderà che egli aveva il suo battaglione di speranzini, ragazzi raccolti per le strade, i quali a Velletri, divini fanciulli, lo salvarono./Benedetti, o morti per la Patria! Voi non sapete che cosa siete per noi e per la Storia! Non sapete che cosa vi debba l'Italia! L'Italia, cinquant'anni or sono, era fatta. Nel sacro cinquantennario voi avete provato, ciò che era voto de' nostri grandi che non speravano si avesse da avverare in così breve tempo, voi avete provato che sono fatti anche gl'italiani”. Pascoli conferma una visione che è quella che riguarda una storia italiana dentro il Mediterraneo.
“Con il discorso sulla guerra di Libia, ha chiosato Pierfranco Bruni, Pascoli pronuncia e propone non solo un nuovo modello, militare e non, di approccio alle politiche mediterranee ma diversifica le interpretazioni sul Risorgimento e lo inserisce in quel filone che considera lo stesso Risorgimento costantemente in cammino tra le politiche nazionali ed europee, ma soprattutto come punto di riferimento di un’Italia al centro di una questione, oggi di sicura attualità, irrisolta. Il Risorgimento pascoliano continua con il 1911 e offre una lettura che va oltre la storiografia Ottocentesca. Tanto che verrà ripresa nel dibattito innescato da Giuseppe Bottai sulla rivista ‘Primato’. Molto trascurato il discorso del 1911, ma va ripreso per offrire una contestualizzazione sia geografica dell’Italia sia politico – storica sia letteraria. Pascoli, conclude Pierfranco Bruni, non è stato soltanto il poeta bucolico e dei dolori del quotidiano. È stato un pensatore che ha profetizzato la storia moderna. Da questo punto di vista è, certamente, un autore da riscoprire e rileggere. Il Risorgimento di Pascoli si inserisce non solo nei poemi ma anche in una meditazione che ha connotati filosofici”.
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