L'Africa,culla di grandi civiltà, l'Antico Egitto, ma anche
il regno nubiano che per un periodo controllò l'Egitto dei faraoni, i regni etiopici
e le colonie fenice lungo tutta la costa fino al nord della Mauritania attuale.
Il porto di Alessandria, fondato nel 334 a.C., è rimasto il principale nodo di
scambio del Mediterraneo per vari secoli. L'Egitto è stato uno dei paesi più
sviluppati fino al XIX secolo. Siamo in molti, oggi, a credere che l'Africa sia
solo: guerre, carestia, fame, estrema povertà e invece no. Essa è,
paradossalmente, condannata a causa delle sue enormi ricchezze, è costretta a
viveve in miseria e molto spesso le sue disavventure sono ignorate, non così
invece i suoi giacimenti. Ieri: i mali della schiavitù, la colonizzazione, la guerra
fredda.Oggi: la globalizzazione. L'America civile, importa merce umana
catturata in Africa e ridotta in schiavitù. Questa abominevole deportazione
iniziata nel cinquecento si protrae quasi fino alla fine dell'ottocento.
Lo
scopo era avere manovalanza nelle piantagioni. I neri dell'Africa erano molto
robusti e resistenti alla fatica per cui erano preferiti agli indigeni.Alla
fine del XVIII secolo. un uomo giovane veniva acquistato per 26 sterline sulla
costa occidentale e rivenduto per 40 in America. Gli schiavi sbarcati
oltreoceano tra il 1501 e 1888 furono circa 9.475.000.A iniziare la tratta,
cioè la deportazione di centinaia di migliaia di neri verso l'America, furono i
portoghesi nel secolo XV, fin dai primi contatti con le popolazioni nere della
Guinea e, poco dopo che le tre caravelle di Cristoforo Colombo sbarcarono nel
nuovo mondo (12 ottobre 1492), Lisbona diventò un gigantesco mercato di
schiavi. Furono privati di dignità, umiliati, linciati ed emarginati, ma
soprattutto furono costretti a rinunciare ad un bene d’immenso valore: la
libertà. Con l'aumentare del volume degli affari legato al commercio degli
schiavi, molti regni africani giunsero a basare la propria economia su questo
traffico. Nessuno quindi può mettere in discussione che la tratta degli schiavi
abbia pesato in modo negativo sullo sviluppo del continente.La cifra totale di
schiavi che hanno lasciato il continente lungo i secoli è incerta. Non esistono
documenti completi.Qualunque sia la stima, è certamente vero che l'Africa ha
perso milioni di persone, solitamente le più giovani e forti e che interi
sistemi economico-sociali sono stati distrutti dalle razzie e dalle loro
conseguenze. Il colonialismo in Africa, ovvero la colonizzazione dell'Africa da
parte delle nazioni europee, raggiunse il proprio apice a partire dalla seconda
metà del XIX secolo, periodo in cui si ebbe una vera e propria spartizione
dell'Africa i cui protagonisti furono soprattutto Francia e Gran Bretagna e, in
misura minore, Germania, Portogallo, Italia, Belgio e Spagna. Pur riferendosi
spesso a una presunta "missione civilizzatrice" nei confronti
soprattutto dei popoli relativamente arretrati dell'Africa subsahariana, le
potenze coloniali europee si dedicarono soprattutto allo sfruttamento delle
risorse naturali del continente. Soltanto in alcuni casi la presenza europea in
Africa portò a un effettivo sviluppo delle regioni occupate, per esempio
attraverso la costruzione di infrastrutture. Nei luoghi in cui si stabilirono
comunità di origine europea (l'esempio più rappresentativo è il Sudafrica) la
popolazione locale fu in genere discriminata politicamente ed economicamente. Sebbene
non sia corretto addossare tutte le colpe dello stato attuale dell’Africa al
colonialismo, è indubbio che la spartizione dell’Africa tra le potenze europee
e le strutture messe in atto nei vari paesi hanno gravemente influito sulla
mancanza di sviluppo. Molti popoli sono stati divisi fra due, tre stati.
È il
caso dei Luo (Uganda, Tanzania, Kenya), degli Acholi (Uganda, Sudan), degli Tswana
(Sudafrica, Botswana), ecc. Questo processo fu fatto intenzionalmente per
dividere i popoli e controllare meglio il loro movimento. Così facendo si sono
anche disturbate le linee di commercio sviluppatesi negli anni. Si è anche
introdotto il pericoloso termine di paragone etnico. La tensione etnica,
fattore già presente nelle culture locali in molte regioni africane, è stata
usata ad arte per dividere le nazioni e permettere un migliore controllo
sociale. La ricaduta è stata quella di una più profonda divisione interna anche
nelle nuove nazioni indipendenti.Le economie locali sono state organizzate
verso l’esportazione di materie prime, e non sulla loro trasformazione per la
vendita di un prodotto finito. Questo non ha aiutato lo sviluppo di un’economia
locale capace di imporre il valore della propria produzione sul mercato
internazionale. Sulla stessa linea, la produzione di monoculture – sviluppo
imposto in epoca coloniale- cotone in Africa Occidentale, caffè e tè in Africa
Orientale, hanno esposto i paesi produttori ai capricci di mercato. Infatti, il
valore di questi prodotti non è deciso alla produzione, ma dalle borse di
Londra, New York e Amsterdam. Non vanno però dimenticate le cause locali. Il
tipo di processi decisionali e la disponibilità delle forze politiche a
rispettare la legislazione decisa dalle autorità del paese hanno determinato la
mancata crescita di molti paesi. In pratica, molti presidenti hanno applicato
metodologie e strutture di potere tradizionali a livello nazionale. Questo ha
solo favorito la cleptocrazia,ovvero le ruberie, la corruzione, il nepotismo.
Immense fortune sono state distribuite alle classi dirigenti, senza pensare
allo sviluppo del paese e impoverendo le strutture nazionali. Di qui la perdita
di potere d’acquisto delle masse più povere.Le potenze coloniali hanno, in
alcuni casi, tentato di migliorare la loro presenza durante gli ultimi anni del
colonialismo. Questo è stato fatto dotando i vari paesi di strutture che
sarebbero servite per lo sviluppo futuro, e preparando piani di sviluppo
economico. L’aumento demografico ha però reso del tutto inadeguate queste
misure. Nairobi, capitale del Kenya, venne progettata per crescere nei decenni
a venire e ospitare fino a duecentomila persone. Si stima che la popolazione di
Nairobi abbia ormai superato i 4 milioni, e si avvicini ai 6 milioni, se si
considerano le città satelliti ormai alla periferia della città. Esclusi pochi
casi, Botswana, Sudafrica, lo sviluppo delle infrastrutture è in netto ritardo
rispetto ai bisogni, soffocando lo sviluppo possibile. Aggiungiamoci anche le
continue guerre intestine ed il quadro è completo.Negli ultimi 15 anni, si sono
combattute più guerre in Africa che non nel resto del mondo. Guerre tra stati e
guerre civili hanno distrutto le infrastrutture, deviato l’uso di ingenti
capitali dallo sviluppo, creato barriere e inimicizie che bloccano il libero
commercio e limitano la crescita. Il Sudan non ha conosciuto pace – se non per
brevi periodi - sin dall’indipendenza. La Somalia non ha un governo da due
decenni e l’insicurezza nel paese è totale. L’Uganda convive con una guerra
civile da due decenni. La lista potrebbe continuare.
Le guerre si sono
dimostrate una buona fonte di finanziamento per alcuni (vendita di armamenti,
mercato illegale di materie prime ) ma un terribile fardello da portare per i
più poveri .Non Africa degli animali o
Africa degli uomini, ma un’Africa dell’anima, profonda e misteriosa, complessa
e affascinante che amo. Pulsa al ritmo dei tamburi, si muove lenta come le dune
del deserto, veloce come le rapide del fiume, ha i colori fiammeggianti degli
abiti della festa, l’aroma del cumino e del berberè, riconosce nelle parole dei
vecchi la voce dei saggi, ha gli occhi dei bambini che racchiudono tutti i
sogni e le speranze del mondo.
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blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis