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mercoledì 26 settembre 2012

Taranto una città in caduta libera “Occorre Un Piano Speciale per i Beni Culturali”

di Pierfranco Bruni
Credo che sia serio e maturo aprire una vertenza beni culturali a Taranto e provincia. Non il solito discutere. Ma con una precisa indicazione e con un obiettivo forte. I beni culturali sono ormai la vera risorsa del territorio. Credo che sul piano istituzionale il Governo centrale deve tenere in considerazione un Piano Speciale, come più volte sostenuto in anni trascorsi. Ma nella deflagrante caduta economica solo i beni culturali costituiscono una vera identità tra sviluppo territoriale e prospettive economiche. Sono convinto, come più volte sottolineato, che non serve piagnucolare ma usare l’intelligenza per una progettualità politica sui beni culturali nella loro complessità. È necessario che Taranto, in un contesto di grave disagio su economie e vocazioni, venga rivitalizzata, con un progetto articolato sul territorio, culturalmente attraverso un Piano d’eccellenza riguardante i Beni culturali.
In una crisi storica le nuove potenzialità, che creano energie sistematiche tra sviluppo e investimento, sono, è un dato accertato, i beni culturali. Di questo ne abbiamo discusso di recente in un convegno a Roma parlando di “Sud, politiche e potenzialità dei patrimoni culturali”. Proprio nel corso del convegno ho sostenuto la stesi di un Piano Speciale per i Beni Culturali a Taranto.  Questo significa comunque riconsiderare la dimensione strutturale dei Beni culturali con la diretta partecipazione e la precisa responsabilità di tutte le Istituzioni.
La situazione in cui versa Taranto si pone come questione nazionale e se l’investimento nelle risorse energetiche è scarso, l’investimento nel siderurgico sta ponendo un dibattito che non sappiamo ancora quali conseguenze potrebbe definire, l’investimento nei processi agricoli subisce delle competizioni con tutto il Sud, l’unico tracciato sulle economie avanzate può misurarsi con i beni culturali.
Ciò significa, comunque, che la stessa visione del bene culturale non può essere affidata soltanto alla scientificità e alla tutela ma sarebbe ora giunta il tempo di legare il territorio sia ad un investimento legato ad altre vocazioni sia ad una fase di valorizzazione che abbia la capacità di creare un progetto sulla fruizione.
Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e l’Università dovrebbero giocare un ruolo significativo accanto agli Enti locali perché non si tratta più di “organizzare” una politica sui beni culturali ma di “inventarsi” un “Piano Speciale Cultura” per Taranto partendo dalle strutture culturali presenti sul territorio e trasformandole in luoghi di investimento e non solo di conservazione.
Dal Museo archeologico al centro storico. Devono essere elementi di eventi eccezionali e non di normale gestione. Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali conosce bene l’importante dibattito di alcuni anni fa sulla questione relativa alla autonomia del Museo ma sa bene che l’investimento necessario non può rispecchiare il normale investimento. Da questi due punti alle aree archeologiche, dai monumenti, ai castelli, dalla aree rupestri ai modelli di barocco.
Realizzare una rete, soprattutto alla luce della nuova formalizzazione delle Province, tra Taranto, Martina Franca, le aree occidentali ed orientali grazie ad una politica di sviluppo significa interagire nei processi di una nuova economia nelle politiche meridionali. Concordo sul fatto che il Museo è modello di alta conservazione e percorso di conoscenza ma oggi non basta più come non è sufficiente considerare il bene culturale come memoria di una civiltà.
Abbiamo ormai bisogno di nuovi obiettivi politici sui beni culturali. Anche in questi termini si ritorna ad una politica ragionata sulla cultura. Occorre investire di più per porre il bene culturale come economia in una prospettiva a breve e non a medio termine.
Nel disastro di Taranto solo i beni culturali potrebbero avviare una diversa stagione. Il barocco di Martina Franca non deve scontrarsi con la Magna Grecia ionica. Bisogna lavorare su un “unicum” progettuale e in questo la capacità di riflettere in termini politici ha un senso. I beni culturali devono realizzare eventi e non una quotidiana gestione. Solo in questi termini si può riprendere un discorso sui luoghi del turismo e delle attività produttive. Le aree archeologiche dovrebbero costituire la centralità di un investimento per determinate aree geografiche.
Taranto, essendo crocevia in un Mediterraneo inclusivo, deve aprirsi ad una dialettica europea sui beni culturali. Il Convegno di studi sulla Magna Grecia continua a rimanere una finestra se pur  importante aperta comunque intorno a temi inerenti gli addetti ai lavori. Bisogna andare oltre e in questo “oltre” sia il Ministero per i beni e le attività culturali, con le realtà regionali e con una politica “speciale” nazionale, interessando la Presidenza del Consiglio dei Ministri e le Commissioni cultura dei due rami del Parlamento, sia l’Università (e non mi riferisco solo ai corsi specifici) nella sua complessità, sia il Ministero dell’Ambiente sono punti fermi per un rilancio di una Taranto che ha attraversato il siderurgico e può focalizzare, oggi, le sue competenze in un rapporto tra vocazione e risorse. Oggi i beni culturali restano centrali in un investimento – sviluppo per una città inquieta e debole. Certo, occorrono gli esperti ma accorre soprattutto una politica sui beni culturali. La scientificità, in questa prima fase, ha la sua importanza ma diventa nevralgico far discutere la cultura e l’università con una articolazione politica per un territorio smarrito e una città in caduta libera.

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