di Pierfranco
Bruni
Credo che sia
serio e
maturo aprire una vertenza beni culturali a Taranto e provincia. Non il
solito
discutere. Ma con una precisa indicazione e con un obiettivo forte. I
beni
culturali sono ormai la vera risorsa del territorio. Credo che sul piano
istituzionale il Governo centrale deve tenere in considerazione un Piano
Speciale, come più volte sostenuto in anni trascorsi. Ma nella
deflagrante
caduta economica solo i beni culturali costituiscono una vera identità
tra
sviluppo territoriale e prospettive economiche. Sono convinto, come più
volte
sottolineato, che non serve piagnucolare ma usare l’intelligenza per una
progettualità politica sui beni culturali nella loro complessità. È
necessario
che Taranto, in un contesto di grave disagio su economie e vocazioni,
venga
rivitalizzata, con un progetto articolato sul territorio, culturalmente
attraverso un Piano d’eccellenza riguardante i Beni culturali.
In una crisi
storica le
nuove potenzialità, che creano energie sistematiche tra sviluppo e
investimento,
sono, è un dato accertato, i beni culturali. Di questo ne abbiamo
discusso di
recente in un convegno a Roma parlando di “Sud, politiche e potenzialità
dei
patrimoni culturali”. Proprio nel corso del convegno ho sostenuto la
stesi di un
Piano Speciale per i Beni Culturali a Taranto. Questo
significa comunque riconsiderare
la dimensione strutturale dei Beni culturali con la diretta
partecipazione e la
precisa responsabilità di tutte le Istituzioni.
La situazione in
cui versa
Taranto si pone come questione nazionale e se l’investimento nelle
risorse
energetiche è scarso, l’investimento nel siderurgico sta ponendo un
dibattito
che non sappiamo ancora quali conseguenze potrebbe definire,
l’investimento nei
processi agricoli subisce delle competizioni con tutto il Sud, l’unico
tracciato
sulle economie avanzate può misurarsi con i beni culturali.
Ciò significa,
comunque,
che la stessa visione del bene culturale non può essere affidata
soltanto alla
scientificità e alla tutela ma sarebbe ora giunta il tempo di legare il
territorio sia ad un investimento legato ad altre vocazioni sia ad una
fase di
valorizzazione che abbia la capacità di creare un progetto sulla
fruizione.
Il Ministero per i
Beni e
le Attività Culturali e l’Università dovrebbero giocare un ruolo
significativo
accanto agli Enti locali perché non si tratta più di “organizzare” una
politica
sui beni culturali ma di “inventarsi” un “Piano Speciale Cultura” per
Taranto
partendo dalle strutture culturali presenti sul territorio e
trasformandole in
luoghi di investimento e non solo di conservazione.
Dal Museo
archeologico al
centro storico. Devono essere elementi di eventi eccezionali e non di
normale
gestione. Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali conosce bene
l’importante dibattito di alcuni anni fa sulla questione relativa alla
autonomia
del Museo ma sa bene che l’investimento necessario non può rispecchiare
il
normale investimento. Da questi due punti alle aree archeologiche, dai
monumenti, ai castelli, dalla aree rupestri ai modelli di barocco.
Realizzare una
rete,
soprattutto alla luce della nuova formalizzazione delle Province, tra
Taranto,
Martina Franca, le aree occidentali ed orientali grazie ad una politica
di
sviluppo significa interagire nei processi di una nuova economia nelle
politiche
meridionali. Concordo sul fatto che il Museo è modello di alta
conservazione e
percorso di conoscenza ma oggi non basta più come non è sufficiente
considerare
il bene culturale come memoria di una civiltà.
Abbiamo ormai
bisogno di
nuovi obiettivi politici sui beni culturali. Anche in questi termini si
ritorna
ad una politica ragionata sulla cultura. Occorre investire di più per
porre il
bene culturale come economia in una prospettiva a breve e non a medio
termine.
Nel disastro di
Taranto
solo i beni culturali potrebbero avviare una diversa stagione. Il
barocco di
Martina Franca non deve scontrarsi con la
Magna Grecia ionica. Bisogna lavorare
su un
“unicum” progettuale e in questo la capacità di riflettere in termini
politici
ha un senso. I beni culturali devono realizzare eventi e non una
quotidiana
gestione. Solo in questi termini si può riprendere un discorso sui
luoghi del
turismo e delle attività produttive. Le aree archeologiche dovrebbero
costituire
la centralità di un investimento per determinate aree geografiche.
Taranto, essendo
crocevia
in un Mediterraneo inclusivo, deve aprirsi ad una dialettica europea sui
beni
culturali. Il Convegno di studi sulla Magna Grecia continua a rimanere
una
finestra se pur importante aperta
comunque intorno a temi inerenti gli addetti ai lavori. Bisogna andare
oltre e
in questo “oltre” sia il Ministero per i beni e le attività culturali,
con le
realtà regionali e con una politica “speciale” nazionale, interessando
la
Presidenza del Consiglio dei Ministri e le Commissioni
cultura
dei due rami del Parlamento, sia l’Università (e non mi riferisco solo
ai corsi
specifici) nella sua complessità, sia il Ministero dell’Ambiente sono
punti
fermi per un rilancio di una Taranto che ha attraversato il siderurgico e
può
focalizzare, oggi, le sue competenze in un rapporto tra vocazione e
risorse.
Oggi i beni culturali restano centrali in un investimento – sviluppo per
una
città inquieta e debole. Certo, occorrono gli esperti ma accorre
soprattutto una
politica sui beni culturali. La scientificità, in questa prima fase, ha
la sua
importanza ma diventa nevralgico far discutere la cultura e l’università
con una
articolazione politica per un territorio smarrito e una città in caduta
libera.
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blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis